Il conte Tommaso di Morienna concede (5 ott. 1223) il diritto di fedeltà de’ luoghi di Busca e Scarnafiggi al conte Manfredo Marchese di Saluzzo

Tra storia e curiosità . 2.

Il conte Tommaso di Morienna concede (5 8bre 1223) il diritto di fedeltà de’ luoghi di Busca e Scarnafiggi al conte Manfredo March/se di Saluzzo.

L’esame (1), ancorchè parziale, dell’archivio privato della nobile famiglia Piemontese SA= LUZZO-PAESANA ha consentito la lettura di un documento in data 30 mag 1721, ricavato da una scrittura su pergamena («Extrait d’un Parchemin…etant aux Archives de la chambre des Comtes de Dauphiné…») stilata a DOGLIANI (2) il 18 apr 1360 e recante, a sua volta, il testo dell’investitura concessa, nel 1223, da Tommaso I di SAVOIA (3), a Manfredo III (detto Manfredino) Marchese di SALUZZO (4), nato nel 1205 e deceduto nel 1244(5).

Qui,di seguito, il testo dell’interessante documento:«Anno Dominicae Incarnationis mille simo ducentesimo vigesimo tertio inditione undecima», il 27 7bre «..quinto Kalendas Oc= tobris...» in Vigone (6), nella chiesa di San Giusto, il Signore Tommaso Conte di Maurien= ne sciolse «…absolvit Dominum Guillelmum Marchionem de Buscha de fidelitate illa...» che si era assunto su BUSCA (7) e SCARNAFIGI (8), «…concedendo dictam fidelitatem Domino Manfredo Marchioni Saluciarum, promittendo per stipulationem solemnem quod numquam per aliquod tempus per se nec per suos haeredes de praedicta fidelitate appellabit, sed….» in tutto e per tutto il suddetto Signore Tommaso Conte «…dicto Domino Manfredo concessit et investivit …»come é detto negli atti stipulati tra il Signore Tommaso «...Comitem Sabaudiae et Dominum Manfredum Marchionem Saluciarum, promittendo omnia praedicta firma et rata usque in perpetuum habere, et numquam contravenire, quae cartulae sunt in uno tenore,...»la qual pubblica scrittura é integrale, «… nomina testium sunt haec, D.Bonifacius Marchio de cena grata palea, rodulphus de grexeo, david de la Croce, anserinus de Languilia, et ego Thomas notarius Sacri palatii...», richiesto, intervenni e scrissi.

—— Paolo ORSINI

(1) = Archivio di Stato di TORINO, corte, archivi privati.

(2) = DOGLIANI (CN): 295 m s.m., ab.(1981) 4854. Appartenne, anticamente, ai Vagienni. Fu feudo dei Marchesi di SUSA, dei Marchesi di BUSCA, dei Marchesi di MONFER RATO e di quelli di SALUZZO.

(3) = Tommaso I (1178-1233), figlio di Umberto III (circa 1135 – 89): ottenuta dall’Impe ratore Federico Barbarossa l’abrogazione della messa al bando dell’Impero inflitta al padre, comincio’ a ricostruire l’avito dominio in PIEMONTE e lo amplio’ in SA

VOIA. Federico II lo fece (1225) vicario dell’Impero .

(4) = Capostipite fu Manfredo I (uno degli otto figli di Bonifacio del VASTO) che assunse il titolo di M. di S. nel 1142. (5) = A.MANNO, Patriziato Subalpino, vol.XXIV, p. 59. (6) = VIGONE (TO):260 m s.m., ab.(1981)5148. BUSCA (CN):500 m s.m.,ab.(1981) 8182. Nel m.e., città fortificata e cplg. del M/to di B. i cui rappresentanti lottarono valoro= samente contro i M.di SALUZZO. SCARNAFIGI (CN): 296 m s.m., ab.(1981) 1839.

Qualche ricordo personale su re Umberto II

QUALCHE RICORDO PERSONALE SU RE UMBERTO II

di Carlo Gustavo Figarolo di Gropello

Lo chiamavano tuttora «il principino» le vecchie persone di servizio (allora ce ne erano ancora nelle nostre case …) ed i fittavoli più anziani reduci della “Grande Guerra” ma in realtà, alla fine degli anni 1930 era già da tempo Generale d’Armata oltre che Principe Ereditario. Lo vidi da vicino la prima volta nel Febbraio del 1941 quando fu testimonio di nozze al matrimonio del fratello di mia madre, ufficiale di marina, con l’unica figlia del Grande Ammiraglio Thaon di Revel, a Roma dove tutti vivevamo.

Si era ormai in piena guerra e ricordo bene la preoccupazione generale, le critiche mormorate e le barzellette (queste invece quasi pubbliche) sul Duce ormai al minimo della propria popolarità, mentre pure rammento la perdurante simpatia verso il Principe Umberto: tuttavia durante quel matrimonio di famiglia l’atmosfera era ovviamente serena almeno all’apparenza e rivedo ancor oggi l’arrivo di Sua Altezza Reale il Principe di Piemonte nella sua bellissima uniforme, con tutto un seguito di «pezzi grossi» militari che facevano, per la verità, la figura di modeste comparse rispetto alla elegante personalità del giovane Principe il quale per tutti, anche per me bambino, ebbe care parole.

Seguirono poi gli anni tragici del conflitto, la caduta del fascismo e l’armistizio dell’8/9/1943: il mio ricordo si sposta a Brindisi nel 1944-45 dove mio padre, Capitano di Vascello della Regia Marina, era stato nominato Comandante della Base Navale dopo l’inverno 1943-44, da noi tutti passato «alla macchia» nella Roma occupata dai nazisti.

Nella città pugliese trovammo proprio l’atmosfera da «Regno del Sud» quale fu poi definito: come era bello rivedere, dopo le contumelie e persecuzioni nazifasciste, le insegne sabaude sulle nostre belle navi in perfetta efficienza, nonché risentire i “Viva al Re” al termine delle cerimonie ma soprattutto applaudire l’ormai Luogotenente Generale del Regno durante le Sue frequenti visite a Brindisi dove pure si era trasferita la Regia Accademia Navale!

Noi abitavamo nella medesima palazzina «erariale» all’interno della «Difesa Militare-Marittima» di Brindisi dove il Principe Umberto aveva anche vissuto, insieme al Re, alla Regina ed al Maresciallo Badoglio, nei due mesi successivi all’armistizio. Lo stesso Principe volle rivedere la casa durante una delle Sue visite e fu così che io ebbi l’onore di incontrarlo una seconda volta: mio padre mi disse poi che in quell’occasione Sua Altezza Reale esternò soprattutto la Sua pena per la fine tragica di un ex allievo di papà, il Comandante Carlo Fecia di Cossato, Medaglia d’Oro al Valor Militare, suicidatosi perché vedeva tradito dai nuovi politicanti di governo il principio di fedeltà al Re, capo dello Stato, in nome del quale solamente la Marina e lui stesso avevano compiuto il soffertissimo sacrificio di non autoaffondare le proprie navi dopo l’armistizio.

Nell’autunno del 1945 rientrammo a Roma, senza mio padre nel frattempo trasferitosi ai Laghi Amari, in Egitto, quale Comandante della Regia Corazzata Italia (ex Littorio) colà internata, ma destinata alla guerra contro il Giappone poi arresosi, ripiombando nel clima antimonarchico già conosciuto sotto i nazifascisti, con il Luogotenente del Regno praticamente confinato nel Quirinale, ma noi del Fronte Monarchico Giovanile potevamo a volte vederLo la Domenica pomeriggio nei giardini del palazzo, aperto al pubblico in alcune occasioni.

Ci si avviava chiaramente verso lo «show down» Monarchia-Repubblica ad armi del tutto impari con Ministri, partiti politici; giornali e così via tutti dichiaratamente repubblicani e con la propaganda monarchica osteggiata in tutte le maniere, anche con la forza bruta, dalle stesse forze di polizia (come il famigerato 3° Celere tutto composto da ex partigiani comunisti fatti affluire a Roma dal Ministro dell’Interno, il socialista Romita).

Purtroppo ci mancava una «leadership» vera e  propria ed un vago coordinamento ci veniva solo, frammentariamente, da poche benemerite personalità, spesso troppo anziane, come il Senatore Alberto Bergamini, il Generale Roberto Bencivenga (entrambi fondatori della «Concentrazione Democratico-Liberale»), l’Onorevole Alfredo Misuri, l’avvocato Roberto Lucifero, il giornalista Manlio Lupinacci e soprattutto Enzo Selvaggi fondatore del Partito Democratico Italiano con l’unico quotidiano dichiaratamente monarchico, ITALIA NUOVA.

Venne però finalmente il giorno che noi giovani monarchici romani di allora abbiamo ben scolpito nella memoria, quando il 5 Maggio 1946 un semplice comizio (eravamo ormai già in campagna elettorale per il referendum istituzionale) al Palatino, presieduto dal Prof. Natale Addamiano, si trasformò progressivamente in una grandiosa manifestazione di popolo che con un interminabile corteo attraverso le vie della Capitale fece letteralmente esplodere la fede monarchica di tantissimi, compressa per troppo tempo. La manifestazione terminò nella piazza del Quirinale, gremita di popolo con la Famiglia Reale continuamente affacciata, per rispondere agli applausi durati più di un’ora e la stessa indimenticabile scena si ripetè dopo 5 giorni, il successivo 10 Maggio, per salutare nuovamente «il principino» divenuto ormai Re d’Italia, dopo l’abdicazione di Vittorio Emanuele III avvenuta in quei giorni.

Ma vennero purtroppo poco dopo anche i giorni tristissimi della «Grande frode» e fu allora che ebbi il privilegio di rivedere Sua Maestà essendo riuscito, seguendo mia Madre, (papà era sempre imbarcato e non potè neppure votare come molti altri) a sorpassare i cordoni della polizia intorno al Quirinale ed introdurmi con lei nelle sale del palazzo dove, dopo aver assistito alla Santa Messa (era la Domenica 9 Giugno 1946), alla presenza di Sua Maestà in procinto di lasciare l’Italia per sempre, potemmo salutare un’ultima volta in Italia l’amato Sovrano, insieme a tanti fedelissimi, con grande commozione di tutti.

Per ognuno il Re ebbe parole carine, come solo Lui sapeva dire in ogni circostanza ed io fui ben orgoglioso quando vedendomi con mia madre che voleva presentarmi disse: «Ma io suo figlio lo conosco già bene …». Tra i molti personaggi presenti  a quell’ultimo addio (ambasciatori, ammiragli, generali, ecc.) ricordo gli aiutanti di campo Generale Infante ed Ammiraglio Garofalo ma soprattutto l’aiutante di campo di servizio quel giorno, il piemontese Capitano di Corvetta Giorgio Balbo di Vinadio perché fece poi avere alla mia genitrice una bellissima fotografia di Sua Maestà con dedica e data di quello stesso giorno da me gelosamente conservata.

Quasi 15 anni dopo, nei primissimi giorni del Luglio 1960, rividi finalmente il Sovrano a Cascais, subito dopo il mio trasferimento a Lisbona come numero 2 della locale Filiale FIAT e durante tutti i 5 anni di mia permanenza in Portogallo fui sempre onorato della benevolenza del Re che godeva del massimo prestigio, in ogni ambiente lusitano dove si faceva a gara nell’invitarLo ed incontrarLo.

Ma Umberto II tendeva piuttosto ad una vita scevra di mondanità, frequentando pochi amici e privilegiando soprattutto gli incontri con la numerosa comunità italiana che si riuniva solitamente intorno al Sovrano ogni Domenica, dopo la S. Messa, nell’antica Chiesa degli Italiani a Lisbona.

Il Re era confortato soprattutto dalla vicinanza della sorella, la Regina Giovanna di Bulgaria, nonché dai personaggi a Lui strettamente legati quali il Conte di Parigi, capo della Casa Reale Borbone-Orleans, il Conte di Barcellona padre dell’attuale Re di Spagna ed altri come la piemontesissima marchesa Olga de Cadaval nata di Robilant, considerata la prima signora di Lisbona per le sue qualità personali oltre che per il nome della famiglia di acquisto, ramo di quella Reale portoghese. Un altro piemontese «portoghesizzato» per matrimonio era il conte Carlo Nigra (discendente del famoso Costantino) al quale il Re si appoggiava spesso per tante incombenze delicate.

“Capo della Casa di Sua Maestà” ovvero primo aiutante del Sovrano era il Generale Conte Federico Avogadro di Vigliano, gran signore che teneva tra l’altro anche i collegamenti con l’Ambasciata d’Italia (il Re ovviamente non poteva, direttamente), alternandosi durante le proprie assenze con sostituti quali il barone Galli-Zugaro, il generale Giberti, il conte Pianzola e forse altri che non rammento. Capo amministrativo della piccola corte di Cascais era il conte Raimondo Olivieri coadiuvato dal Comm. Turconi e dal Cav. Cecinato mentre segretaria particolare del Re era la ben conosciuta Signorina Maria Luisa Rabbia. Particolarmente caro al Sovrano era il Suo domestico personale, l’ex corazziere Trigatti, sposatosi con una portoghese, purtroppo prematuramente scomparso negli anni della mia permanenza a Lisbona.

Personaggio assai interessante era il Generale Medico Prof. Castellani, conte di Chisimaio, già Capo della Sanità Militare del Regio Esercito, massimo esperto di malattie tropicali, il quale pur vecchissimo aveva voluto seguire in esilio il Sovrano creando però a Cascais non poco scompiglio tra i collaboratori del Re per la continuazione di esperimenti su batteri da lui allevati in provetta con pericolose “fuoriuscite” dei batteri stessi … Tutta questa vera e propria Corte, anche se ridottissima, viveva a Villa Fert e Villa Azzurra, entrambe poco discoste da Villa Italia dove risiedeva Sua Maestà senza più la Regina ed i figli (salvo saltuariamente la principessa Maria Beatrice).

Passarono per me altri 12 anni dopo la mia partenza nel 1965 quando al Cairo, dove ero diventato il responsabile della struttura FIAT in Egitto, ebbi l’onore di organizzare la visita del Re per le commemorazioni del trentennale della morte in quel paese del Re Vittorio Emanuele III negli ultimi giorni del Dicembre 1977 e furono quelli anche giorni indimenticabili al Cairo, ad Alessandria d’Egitto (dove è sepolto il padre di Re Umberto) e ad El Alamein dove il Sovrano volle assolutamente recarsi per onorare il Sacrario dei caduti.

Le Autorità egiziane ebbero la massima considerazione possibile e Re Umberto fu accolto ovunque, ma specie dalla importante colonia italiana locale, con onori quasi ufficiali. Lo stesso nostro Ambasciatore dette ogni collaborazione in via privata e tutto fu insomma un grande successo: io ebbi l’onore di essere decorato personalmente dal Re dell’Ordine di S. Maurizio e Lazzaro, prima della sua partenza al termine della visita.

Sua Maestà venne in Egitto successivamente altre due volte, l’ultima nel 1981 poco prima del mio trasferimento dal Cairo e posso dire quindi, modestamente, di avere conosciuto l’amato nostro ultimo Sovrano da quando era ancora chiamato il «principino», pur essendo già un giovane Generale d’Armata, a poco prima della Sua morte nel 1983: un ricordo, scolpito per sempre nel cuore, con un esempio di grandissima dignità di vita quale Sovrano, quale Signore e quale Uomo, ricordo particolarmente struggente oggi nel 25° anniversario della Sua morte!

La Volpe Savoiarda e l’Assedio di Torino Vittorio Amedeo II Re di Sardegna

  La Volpe Savoiarda e l’Assedio di Torino

       Vittorio Amedeo  II  Re di Sardegna

Carlo Emanuele II mori’ a poco piu’ di 40 anni il 12 Giugno 1675,e l’esuberante Giovanna Battista di Savoia Nemours,ultima del ramo di Filippo Senza Terra,e sua seconda moglie dopo la morte della Colombina d’Amore ,Francesca d’Orleans,divenne Reggente.

Cosi’ a Torino si aveva un principe fanciullo,Vittorio Amedeo II e nuovamente una Reggente francese,molto ligia alle indicazioni e determinazioni del re di Francia,Luigi XIV,il Re Sole.

E gli esempi fin dall’inizio,non mancano: nel 1677,un esercito francese attraversa il Piemonte senza autorizzazione,e cosi’ nel 1681 per le truppe che vanno ad occupare Casale,e nel 1682 con un corpo di cavalleria…

Essendosi ammalato il Duchino,la Duchessa si offri’ in moglie al Principe di Carignano,per averne dei figli e….continuare a regnare…

Progetto’ di sposare il Duca alla cugina del Portogallo,la figlia della sorella Maria Elisabetta,sposa di Alfonso VI del Portogallo….ma Vittorio Amedeo resistette all’intrigo,dicendosi ammalato,quando le navi portoghesi erano nel porto di Genova…

(Vi presento le Memorie manoscritte ed originali della Duchessa,con i termini dell’accordo che avrebbe dovuto regolare il matrimonio: sono datati 1679 !).

Nel 1684 non pote’ rifiutare la moglie impostagli dal Re Sole e dalla madre:Anna d’Orleans,che arrivo’ a Torino mentre la flotta francese bombardava Genova.

Fanciullo precoce ed intelligentissimo osservava cosa succedeva intorno a lui ,comprendeva che la madre era succube del ministro francese Louvois,inteso alla conquista silenziosa del Piemonte.

Il 14 Maggio 1680,raggiunti i 14 anni,fu proclamato maggiorenne,ma dovette pregare la madre di continuare nel Governo:cosi’ aveva dovuto fare suo padre con la madre Cristina,prima delle due Madame reali.

Rapporti tesi :non affetto ma repulsione,biasimo per certe decisioni:nel 1683 la Duchessa scriveva a Parigi ‘’  Melanconia triste,dissimulazione profonda,simpatia per gente bassa con cui passa la giornata:si informa di tutto di nascosto e vi costruisce ragionamenti’’.

Il 14 Marzo del 1684,il Duca,recatosi a Rivoli emano’ un proclama che annunciava ai sudditi di aver assunto il potere: congedata la madre,senza ‘’remerciements’’,licenziate le sue persone fidate,richiamo’ in servizio il Parella ,il Pianezza,il Druent,ed inizio’ il governo.

A 18 anni,scrisse un ‘’Memoire pour le gouvernement de mon Etat’’ che passa in rassegna,senza fronzoli ma analiticamente tutto l’ordinamento dello Stato,indicandone soluzioni che stupiscono per la loro modernita’.

‘’Unificare le amministrazioni,aumentare i redditi,diminuire le spese superflue,recuperare i beni demaniali perduti o alienati,riorganizzare le gabelle,eliminare le frodi…’’

Ridusse drasticamente le cariche di corte,di cui diceva che la meta’ era inutile,criticava e implacabilmente eliminava tutto il fasto esteriore che non corrispondeva ad una solida ‘’grandeur’’,deplorava lo sperpero dell’ava,Cristina di Francia, e della madre.La sua attenzione si focalizzo’ sull’esercito,imponendo una rigida disciplina ed il rispetto del grado,non del rango di nobilta’: il che in quei tempi era una vera rivoluzione…

Per la giustizia,un codice nuovo,pene gravi ma rapidita’ di processi….

Era da ammirare la lucida visione dei problemi politici e la freddezza con cui parlava dei governi e della Curia romana.

Le riunioni dei Consigli erano lungo la settimana:al lunedi’,le Finanze,al martedi’,il Consiglio di Guerra,al mercoledi’ il Consiglio di Stato,al Giovedi’,il Consiglio di Giustizia,al venerdi’gli Esteri : i ministri avrebbero riferito ed il Duca avrebbe deciso da sé.

Vediamo rapidamente i fatti salienti del suo regno,concentrandoci su tre eventi:l’Assedio di Torino ,la corona Reale e l’Abdicazione a favore del figlio.

A vent’anni il Duca aveva al suo passivo la persecuzione dei valdesi,impostagli dal potente zio di Parigi,che aveva revocato l’Editto di Nantes:Vittorio Amedeo ubbidi’ e si riscatto’ piu’ tardi della non lodevole impresa.

Poi nonostante la parentela,visto che Parigi non concedeva nulla,volse lo sguardo a Vienna.

La ribellione allo zio non ebbe fortuna e fu sconfitto dal Catinat (aveva 24 anni) a Staffarda,il 18 Agosto 1690: e’ del 1691,l’episodio di Carmagnola,recuperata dai francesi,quando,in cospetto alle spaventose condizioni del popolo,spezzo’ il Collare dell’Annunziata che gli pendeva dal collo,lo distribui’ ed utilizzo’ anche le somme destinate alle paghe degli ufficiali.

Nel 1692,i confederati,si tratta della famosa Lega di Augusta,invasero il Delfinato e la Provenza ,ed alla campagna partecipo’ pure il Duca che fu pero’ colpito dal vaiolo e ridotto in fin di vita:non avendo ancora avuto prole maschile da Anna d’Orleans,si predispose addirittura la successione,con un bambino di 7 anni:Emanuele di Carignano,figlio del Principe Eugenio:ma il Duca si riprese e rientro’ a Torino.

Dopo un ulteriore sconfitta del 1693,riapri’ le trattative con Parigi,nel tentativo di liberare Pinerolo:anche perche’ austriaci,spagnoli ed olandesi non volevano continuare la campagna d’Italia.

La Duchessa Anna ebbe due aborti e poi due femmine,mentre il Duca vedeva nascere un maschio dalla sua relazione con la marchesa di Verrua.

Finalmente nel 1699,aveva 33 anni,nacque il Principe Ereditario,Vittorio Filippo.

Purtroppo mori’ giovinetto,ed il padre lo pianse a lungo: era risoluto,audace,scattante,buon parlatore :l’antitesi dell’altro fratello nato in seguito: Carlo Emanuele.

Un temporale si profilava ad occidente,per la sucessione di Spagna,coinvolgendo Olanda,Inghilterra,Austria, e Francia, e…..il piccolo Piemonte.

Il temporale scoppio’ nel 1703,tre anni dopo la scomparsa di Carlo III di Spagna ,con la scoperta di una trattativa segreta tra Piemonte ed Austria,e Vittorio Amedeo dovette ancora una volta saltare il fosso e passare dalla parte dell’Imperatore d’Austria,affrontando l’ira dello zio di Francia: Dal settembre di quell’anno al settembre del 1706,Vittorio Amedeo visse il momento piu’ avventuroso della sua vita:di fronte al colosso francese,il subalpino , (la volpe contro l’elefante) seppe coinvolgere tutta Europa ed alla fine uscirne vittorioso!

Quando si dice che Vittorio Amedeo fu la ‘’Volpe Savoiarda’’,in realta’ di da’ una cornice ad un personaggio coraggioso,ma che ‘’vaso di creta tra vasi di ferro’’dovette tutta la vita barcamenare la propria indipendenza ed il tentativo di aumentare il proprio territorio,tra Francia de Austria,entrando poi anche nell’agone europeo che coinvolse Olanda ed Inghilterra al momento della successione di Carlo III di Spagna.

E l’Inghilterra,amica ai tempi della regina Anna,favorevole alla assegnazione a Vittorio Amedeo della corona reale di Sicilia,in cambio interessato che le permettesse di farne una base navale inglese nel mediterraneo, passo’ sull’altro versante politico ,morta Anna,costringendo Vittorio Amedeo a rinunciare alla Sicilia ed accontentarsi,e fu sorte,della povera economicamente Sardegna.

Ed e’ di quel periodo la sorpresa militare nella quale i francesi disarmarono le truppe sabaude loro alleate a San Benedetto: siamo al 21 agosto 1703.

Ed il Duca…..manda ad arrestare nei loro palazzi ,gli Ambasciatori di Spagna e di Francia ,tenendoli ostaggi come garanzia per la futura liberazione delle sue truppe.

Raccontano le cronache che i due Ambasciatori si trovavano insieme nel Palazzo d’Ormea,in Via Arsenale,e che reagirono a parole violentemente,insultando il Duca….il quale per risposta, mando’ ad arrestare e portare in cittadella tutti i cittadini francesi abitanti a Torino…

Gli storici  francesi dell’epoca,il Haussonville ed il Saint-Beuve,hanno giustificato incredibilmente Vittorio Amedeo,che da un lato aveva dimostrato una ‘’duplicitè’’e ‘’conduite astucieuse’’,ma che ci era stato tirato per i capelli dall’abuso della forza da parte del re Sole.

E’ interessante cercare di capire da dove era uscita la notizia che aveva portato i francesi a disarmare di sorpresa le truppe sabaude: abbiamo visto che il Duca non si fidava ne confidava,con la madre,o con la moglie,legate alla Francia…ed allora?

Uno storico piemontese,il Carlo Contessa,sostiene che l’indiscrezione fu austriaca,per porre il Duca davanti al fatto compiuto ed impedirgli un eventuale ennesima giravolta in lato francese.

Il quale Duca,nel frattempo impegna tutte le gioie della corona ed i vasellami di Palazzo reale,per far denaro per il pagamento delle truppe.

Nel 1703 il Duca aveva ricevuto un aiuto di 14 mila imperiali,e non aveva visto invaso il suo territorio,perche’ il generalissimo francese,il Vendòme,aveva dovuto rinviare il passaggio del Po e della Sesia all’anno successivo:pensava di riuscirci nel 1704,ma non aveva fatto i conti con i difensori di Verrua e con l’irriducibile Vittorio Amedeo.

1704: un anno difficile! Il Duca avuto sentore del tentativo di accerchiamento del Vendòme,usci’ dalla citta’ (che non doveva rivedere per 11 mesi) e con la cavalleria si mette a battere la campagna,con attacchi fulminei e ritirate contro i corpi francesi.

Visita il forte di Verrua e provvede a rinforzare le linee di difesa,chiama una leva in Piemonte di duemila uomini,accompagna lo scambio di prigionieri:da parte piemontese furono restituiti:

1 generale,67 ufficiali e 357 uomini.I francesi,liberarono 1 Maresciallo di Campo,46 ufficiali e 616 uomini.

Nel movimento di truppe,sabaude ed imperiali verso Crescentino,i francesi catturano il Generale Vaubonne,che comandava la cavalleria di retroguardia e per poco,il Duca : se fosse avvenuto la storia avrebbe registrato un altro cammino…

Intanto il Re Sole,dispone che il maresciallo Le Feuillade scenda con una armata dal Monginevro,investendo Susa,mentre il Vendòme passa il Po: purtroppo a Susa ,un pavido Governatore,il conte Paolo Emilio Caron,in urto con il comandante del forte,il Cavaliere Giuseppe T.Bernardi, in dieci giorni si arrende aprendo la strada ai francesi,i quali ben felici della debole resistenza permettono alle truppe di uscire dal forte con l’onore delle armi e scendere verso Torino.

Il Duca,furioso,convoco’ la corte marziale che condanno’ i due alla decapitazione.La sentenza determino’ malumore in citta’:la moglie disperata del Bernardi si reco’ dal Comandante della Piazza,il conte di Starhemberg,con lettere della Duchessa madre,chiedendo la grazia: a malincuore il Duca la concesse,ma volle che fosse all’ultimo minuto,sul palco montato con il boia,i tamburi ed il Bernardi sul luogo del supplizio.

Il confortatore,era il Beato Valfre’.

E dopo soli un mese e mezzo,cadeva Vercelli,ed il Duca,angosciato,scriveva al Principe Eugenio ‘’ Ho ragione di tutto temere ,dopo le deboli prove di valore e fedelta’ degli ufficiali piemontesi:tutta la mia fiducia e’ ora posta nelle truppe dell’Imperatore’’.

Dopo Vercelli,cadde Ivrea,questa dovette cedere alla forza di 37 battaglioni e 59 squadroni di cavalieri contro soli tre mila piemontesi.

Il forte di Bard,affidato al comando di uno svizzero e praticamente imprendibile,si arrese senza sparare un colpo ,ed il comandante,Colonnello Reding,fu dal Vendome assunto come…Maresciallo di Campo….

Povero Duca…..

Le cadute di Susa,Ivrea,Vercelli e Bard in cinque mesi,erano un bilancio fallimentare:restava Verrua  come ultima speranza.

Il forte,contro ogni previsione,resiste eroicamente ben sei mesi,ed il Vendòme non puo’ passare ilPo.

Costantino Nigra,nei suoi’’Canti Popolari del Piemonte’’scrisse alcuni versi:

Castello de Verùa

S’a l’è tan bin piantà

Piantà su cùle roche

Ch’a i passa ‘Po da là

La bela a la finestra

An bass l’là risguardà:

L’ha vist veni’na barca

Carià de gente armà

La bela tira na pera

La l’è sparfundà

Na fùssa de cula pera

Verrua saria pià

Saria pià Verrua

Castel de Munferà.

Durante l’assedio il Duca sollecita invano Vienna per anticipare l’intervento del Principe Eugenio,l’Imperatore si preoccupava piu’del Reno che del Po,e Vittorio Amedeo continuava ad essere solo.

Solo dopo una strenua resistenza,il comandante del forte,Colonnello Fresen,si arrendeva il 9 Marzo del 1705 con gli ultimi 1250 uomini che gli erano rimasti.

La lettera con la quale informo’ il Duca,diceva ‘’Monsignore,con le lacrime agli occhi notifico che ho arresa Verrua per mancanza assoluta di viveri :mi chiusi nel mastio e diedi fuoco a tutte le mine ,quantunque Monsignor Vendòme mi avesse minacciato di negarci quartiere se io avessi fatto saltare le mura…’’

Verrua,salvo’ il Ducato di Savoia ,bloccando i gallo-ispani per sei mesi,con la perdita di 6 generali,547 uffciali,30 ingegneri e ben 12 mila soldati….il Duca ormai non disponeva pero’ di piu’ di tremila soldati al campo….

Intanto cadeva Nizza ed agonizzava il forte di Montmèlian.

Il Vendòme,aggirando la forte piazza di Chivasso,che il Duca aveva fortificato,pose l’assedio a Torino,mentre il Principe Eugenio,purtroppo,non riusciva a superare il Mincio.

Sarebbe interessante avere la possibilita’ di studiare le geniali difese di Chivasso,costruite dal Bertola,grande ingegnere militare piemontese:riusci’ a costruire una strada coperta Duomo-riva del Po,che consenti’ alle truppe austro-piemontesi di sganciarsi dal nemico.

Intanto la resistenza di Verrua,aveva anche il risultato di…riaprire la borsa degli Olandesi,piuttosto sconcertati dalle tante fortezze cadute,e questo sollevava il tesoro ormai esausto del Duca.

Nel frattempo,commettendo un grande errore,il Maresciallo de La Feuillade,si ritira a Venaria

attendendo   rinforzi dalla Francia ed il Duca,secondo lo spirito dei tempi,gli manda in omaggio essenze e rinfreschi,considerandolo suo ospite…

Luigi XIV abbandonato il tentativo di sorprendere Torino,dispose che tutto il Piemonte venisse occupato,isolando la capitale.

Il Vendome a nord del Po,il La Feuillade a sud,il Tessè in Savoia.

Vittorio Amedeo ,fatto esperto,evito’ battaglie campali,attendendo l’arrivo degli imperiali in forze.

Il 17 dicembre,dopo ben due anni di assedio,capitolava l’eroica Montmèlian, il 1706,vedeva su Torino  il La Feuillade con 44 mila uomini,110 cannoni ,60 mortai,48 ingegneri.

Torino resisteva con continue sortite,mentre il Duca,dalla collina effettuava puntate alle spalle dei francesi:finalmente il Luglio il Principe Eugenio riusci’ a passare l’Adige, e scese sotto il Po,in marcia per Torino.

Torino era agli estremi.Il 26 Agosto c’era stato un violentissimo attacco,il 29,un minatore,Pietro Micca,detto Pasapertut,salvo’ la cittadella da una invasione sotterranea,facendo saltare la galleria e sacrificandosi per la salvezza di Torino.

Il 2 Settembre,il Principe Eugenio ed il Duca Vittorio Amedeo dalla vetta di Superga studiavano il piano di battaglia:i comandanti francesi,ripetendo l’errore di Francesco I a Pavia,rimasero fermi nelle trincee e furono travolti.

La Basilica di Superga ricorda da piu’ di due secoli la giornata del 7 settembre 1706.

Luigi XIV ritiro’ tutte le sue forze dall’Italia con la convenzione del 1707.Il Duca attacco’ tutte le fortezze delle alpi:Fenestrelle,Exilles, Perosa,per creare una linea di difesa alpina.

Gli Stati Generali di Olanda convocarono un congresso di pace ad Utrecht il 12 gennaio 1712,che inizio’ in verita’ il 29 del mese: grande l’astio dei piccoli Principi italiani,di Venezia,e Firenze, e Farnese,ed Este,rimasti fuori del Congresso,furiosi con la delegazione piemontese: ma Vittorio Amedeo combatteva da 20 anni,mentre gli altri stavano a guardare attendendo di inchinarsi al vincitore…

Molte combinazioni vennero ventilate,addirittura il regno di Spagna per Vittorio Amedeo,con l’appoggio della Inghilterra: comunque alla fine,causa i lutti della casa di Borbone ,che rimaneva rappresentata da un bambino di due anni,il Duca d’Angio’,il 22 agosto,dopo la rinuncia alla Sicilia di Filippo V,questa fu data al Duca Vittorio Amedeo: finalmente la corona regia appariva sullo stemma di Savoia!

Lo Stato Sabaudo usciva dal grande conflitto europeo ingrandito moralmente e territorialmente:recuperata la Savoia,Nizza,privato solo di Barcellonetta,ad oriente annetteva la Valsesia,la Lomellina,parte del Monferrato,di Alessandria e Valenza:terre ricche economicamente.Solo la mancanza del Novarese e della Valle d’Ossola,toglieva sicurezza alla linea del confine.

Il titolo Regio,poneva i Savoia al di sopra di tutti i piccoli medi Principi italiani ,in diritto come nella realta’.

Vittorio Amedeo assunse solennemente il titolo di Re di Sicilia, a Torino il 22 settembre 1713,e da Nizza parti’ per Palermo,con un corpo di 6 mila fanti per occupare le fortezze:ricuso’ una offerta di inglese,di altri 4 mila,perche’ sarebbe sembrato una forma velata di protettorato.

A Vienna ed a Londra,i nuovi sovrani,per motivi diversi erano fieri avversari del Piemonte: a Londra,era salito al trono ,dopo la morte della regina Anna,Giorgio d’Hannover,legato agli Asburgo ; a Vienna,l’Imperatore Carlo VI arrivo’ al punto di far espellere i diplomatici piemontesi che dovevano comunicare alla Dieta,l’ascensione al trono di Sicilia.

Sicuro dalla parte francese,dove scomparso Luigi XIV era salito al trono come Luigi XV un bambino di soli 5 anni,che avrebbe a lungo avuto come tutore il Duca d’Orleans,di scarsa capacita’ e prestigio,l’Imperatore si preparava ad invadere il Piemonte,con un corpo di 30 mila uomini da Tortona,intanto che si preparava uno sbarco in Sicilia: un accordo di lega difensiva con l’Inghilterra che temeva un tentativo francese per ristabilire gli Stuart,copriva le spalle all’Imperatore,ormai libero di attaccare il Piemonte.

Da Madrid,la nuova Regina Elisabetta  ed il Ministro Alberini,cospiravano per riprendere in Italia le vecchie posizioni,a danno di Austria e Piemonte.

Il 1 Luglio del 1718,truppe spagnole sbarcavano a Palermo:la reazione europea fu immediata:l’Imperatore ebbe la Sicilia e Vittorio Amedeo la Sardegna,;Filippo V ottenne per i figli natigli da Elisabetta Farnese, i Ducati di Parma,Piacenza e la Toscana;La flotta inglese ebbe l’incarico di ’’gendarme’’ per effettuare queste decisioni.

Vittorio Amedeo,si batte’ per avere i ducati e la Toscana,con il titolo di Re di Liguria,ma dovette rassegnarsi ad accettare la Sardegna.Il 8 Novembre firmo’ la transazione.Solo nel 1719 la Spagna accetto’ la decisione della quadruplice alleanza.

Ora in Torino si radicarono profondamente i sentimenti antiaustriaci :il nemico piu’ pericoloso per il Piemonte era l’Austria.

Vittorio Amedeo trovo’ poca gioia in famiglia:Anna d’Orleans venne a Torino a 14 anni,ed il Duca ne aveva 19.Pare che avesse un temperamento affettuoso,e che stento’ ad assuefarsi con la ruvidezza di Vittorio Amedeo : tra l’altro pare che la ruvidezza del Duca non fosse giustificata e che Anna mai si intromise in affari politici.

Ebbero tre femmine nell’1685,87,ed 88.

Verso il 1688,la donna fatale entro’ nel cuore del Duca: Giovanna di Luynes,sposa del conte di Verrua.Il Verrua,meno spiritoso del marchese di Montespan,marito della favorita di Luigi XVI,si ritirò a Parigi con i figli..Da Giovanna ebbe due figli,Vittoria e Vittorio Francesco,che riconobbe e ricevettero il titolo di marchese e marchesa di  Susa .La Verrua divenne la spia del re di Francia,poi nel 1700,temendo di essere scoperta,fuggi in Francia,mascherata da uomo,portando con se la collezione di arte raccolta con i fondi del Duca,e lasciandogli i figli.

Si rinsaldarono i rapporti con la Duchessa che lo curò con amore quando si ammalò di vaiolo.Nacque nel 1699,Vittorio Amedeo Principe di Piemonte,nel 1701, Carlo Emanuele,nel 1705 Emanuele Filiberto.

La morte falcidiò la famiglia ducale,ultimo Vittorio Amedeo nel 1715: le speranze del Ducato furono affidate al solo Carlo Emanuele,che il padre chiamava Carlin.

Abbiamo detto all’inizio di questo saggio,che il Duca già in giovane età ,aveva ben chiare le norme e le concezioni che voleva applicare allo Stato ed il progetto fu portato avanti : nessun sovrano europeo era servito cosi’ a buon prezzo e con tanta fedeltà : modeste le retribuzioni,precisati gli organici,sincerità nei preventivi,premi ai meritevoli. Già nel 1698 aveva iniziato il Catasto generale e nel 1730,l’opera gigantesca era compiuta.Si era instaurata una giustizia tributaria.

Tralasciamo il capitolo interessante che potremmo scrivere sui rapporti con il Clero,soprattutto la questione dell’immunità dai tributi statali.Per anni a Torino non ci fu il Nunzio,fu espulso senza preoccuparsi di interdetti o scomuniche.Solo nel 1726,il più abile dei suoi Ministri, l’Ormea, concordò con la S.Sede un accordo,che fu firmato dal Papa  Benedetto XII.

Nel 1713 convocò a Rivoli i grandi dello Stato e comunicò che abdicava in favore del figlio Carlo Emanuele: e qui inizia il periodo più  angoscioso della sua vita.

Nel suo concetto,Carlin non aveva le qualità del fratello scomparso,per cui,lui,il Duca,si ritirava per poterlo assistere con il consiglio della sua esperienza. Si sarebbe ritirato in Savoia,a Chambèry,dove avrebbe trovato la pace dell’anima e la quiete delle passioni.

Per la sua abdicazione chiese al Casotti,Presidente del Senato,di usare come traccia la abdicazione di Carlo V.

Il 12 Agosto,(era rimasto vedovo),nella sua cappella privata, sposo’ Anna Teresa Canalis di Cumiana,vedova del conte Novarina di S.Sebastiano dama d’onore a corte e madre del futuro eroe della battaglia dell’Assietta.

Il matrimonio segreto,tale rimase fino alla abdicazione del Settembre.

Rifiutò il titolo di re,che gli si voleva conservare e chiese che semplicemente sulle lettere si scrivesse ’’Vittorio di Savoia’’.

Alle comunicazioni devote che il figlio mandava da Torino,rispondeva con sollecitudine paterna:ma iniziò la tensione con il Ministro d’Ormea: questi dirigeva il Re Carlo Emanuele,ma non Vittorio Amedeo.

La tensione fu crescendo e si diceva che il Re era a Torino,ma chi muoveva le marionette era a Chambery. Il 22 Agosto Vittorio Amedeo fu a Torino,precisamente a Moncalieri.Il marchese di Ormea convinse Carlo Emanuele del pericolo che Vittorio Amedeo lo facesse imprigionare guidando un colpo di stato,e porgendogli una penna per firmare l’ordine di arresto,pronunciò la famosa frase ’’Maesta’,ci va della vita e dell’onore di tutti’’.I’Arcivescovo di Torino,Arborio Gattinara lo appoggiò. Il vecchio Re,fu arrestato e portato al castello di Rivoli,la marchesa di Spigno al Castello di Ceva.Non furono trovate carte o documenti su nessun complotto e l’unica cosa che fu trovata,furono 600 libbre di….cioccolato in un cofano.

Mori’ il 31 Ottobre 1732,nel Castello di Moncalieri,dove era ritornato il 10 Aprile,e la marchesa di Spigno fu mandata al Monastero di San Giuseppe a Carignano.

Il D’Ormea e la Regina Polissena,impedirono a Carlo Emanuele di rivedere il padre che avrebbe desiderato vederlo per l’ultima volta: fu una pagina molto triste nella storia della dinastia.

Carlo Emanuele III era nelle mani del Ministro d’Ormea…..ma questa è già un’altra storia.

Giuseppe Lantermo di Montelupo.

Eugenio di Savoia Soissons. Un grande condottiero europeo

Nell’estate del 1683 il Sultano Maometto IV cinge d’assedio la città di Vienna, facilitato nella sua politica di conquista dal comportamento del Re di Francia, Luigi XIV, nemico giurato dell’imperatore asburgico, erede del Sacro Romano Impero.

Fra i non pochi cavalieri francesi a cui Luigi XIV non ha potuto impedire di partecipare alla guerra santa, vi è un giovane che, pur provenendo dalla Francia è di stirpe sabauda: è Eugenio di Savoia Soisson, nipote del principe Tommaso di Savoia, fondatore del ramo Savoia Carignano, che nei secoli darà molti sovrani alla Reale Casa di Savoia.

Eugenio Maurizio, il nostro principe Eugenio, nacque a Parigi il 13 ottobre 1663, ultimo di cinque figli maschi di Maurizio Eugenio di Savoia Soissons, morto in Westfalia nel 1673 e di Olimpia Mancini nipote del Cardinale Mazzarino.

Durante l’esilio della madre la nonna paterna Maria di Borbone, che iniziò il ramo di Soissons della discendenza Sabauda, ebbe cura dell’educazione dei nipoti; per Eugenio si previde la carriera ecclesiastica, per altro non gradita al giovane principe, che preferiva gli studi delle arti marziali e della matematica e, che, con gran scandalo della nonna, senza lasciare l’abito talare si dedicava con vera passione alla scherma e all’equitazione. Oltre alla passione per le armi Eugenio nutriva una forte antipatia e disprezzo per la corte di Versailles, nel ricordo dei recenti torti subiti dalla sua famiglia.

A vent’anni, nel 1683, egli rivolse a Luigi XIV la domanda per essere accolto nell’esercito: la domanda però fu respinta dal sovrano e per questo motivo Eugenio decise di lasciar la Francia per l’Austria.

Il nostro Principe affrontò il viaggio quasi squattrinato e con i pochi oggetti di valore che aveva potuto portare con sé da Parigi. Respinse l’emissario di Luigi XIV inviato per indurlo a fare ritorno, con la minaccia di espropriare i suoi beni. Il giorno 20 agosto 1683 si presentò a Leopoldo I chiedendo di essere ammesso nell’esercito imperiale.

Fu accolto dall’Imperatore in modo molto lusinghiero, ma non incontrò il fratello Giulio, morto per le ferite riportate contro i Turchi al comando del suo reggimento di Dragoni.

Si presentò come volontario nell’esercito dell’Imperatore, accolto dai suoi cugini, il Malgravio Luigi di Baden e l’Elettore Massimiliano di Baviera, figli di due duchesse di Savoia.

Si distinse particolarmente nella battaglia del 12 settembre 1683 contro i Turchi ormai alle porte di Vienna, e il suo valore ebbe come ricompensa il comando del reggimento dei Dragoni di Kuefstein, cosa che gli permise anche di non dipendere più economicamente da Vittorio Amedeo II di Savoia la cui ultima elargizione fu infatti del 28 gennaio 1684.

Moltissime le sue vittorie: famosa quella contro il sultano Mustafà a Zenta, in Ungheria in cui rifulse il suo coraggio e la sua abilità di comandante.

Si stava intanto preparando la guerra contro Luigi XIV di Francia che intendeva estendere il suo predominio su tutta l’Europa. In questi anni Eugenio di Savoia si schierò con l’armata imperiale a fianco del cugino Voittorio Amedeo II nella difesa del Piemonte dagli attacchi dell’armata francese guidata dal generale Catinat. Nel novembre del 1700 muore Carlo II di Spagna senza eredi diretti e con Luigi XIV e Leopoldo I entrambi in grado di vantare diritti successori per parentele con principesse spagnole. Iniziò così la guerra di successione spagnola, che durò circa 15 anni. Nel 1701 venne affidato ad Eugenio di Savoia il comando della campagna d’Italia per riconquistare la Lombardia che era passata sotto il dominio spagnolo con Filippo d’Angiò, nominato erede dal re Carlo II e che diventerà Filippo V di Spagna. La Lombardia non venne riconquistata, ma l’esercito francese evidenziò la sua debolezza nel mantenere le posizioni in Italia.

Eugenio di Savoia ottenne importanti vittorie benché l’Imperatore, che comunque molto lo stimava, fosse sempre restio a concedere rifornimenti di uomini, mezzi e denari

Fu anche abile diplomatico, riuscendo a sciogliere l’alleanza tra Piemonte e Francia e consentendo all’Impero di aprire in Italia un nuovo fronte contro la Francia.

Nel 1704 Eugenio fu nominato dall’Imperatore Presidente del Consiglio di Guerra e trasferito sul fronte franco-tedesco, dove l’esercito francese, rafforzato dall’armata bavarese del traditore principe Ettore Massimiliano Emanuele, venne sconfitto dal nostro Principe alleato agli Inglesi al comando di John Churchill, duca di Marlborough, giunto a tappe forzate dai Paesi Bassi sino al Danubio.

Nacque così lo spirito di collaborazione ed amicizia tra il Principe ed il duca di Marlborough, antenato di Wiston Chirchill, ritratti insieme anche su un medaglione coniato per l’occasione come Castore e Polluce.

Il principe Eugenio, pur ammirando il duca di Marlborough, non riuscì a nascondere l’invidia per i festeggiamenti che questi ricevette tornando in Inghilterra, cosa che a Lui non era mai toccata, essendo i viennesi troppo abituati alle sue frequenti vittorie e covando presso la Corte un sentimento di invidia e di odio contro di Lui.

Si giunge così al 1706; gli Imperiali e i loro alleati (Inghilterra, Olanda e Danimarca) riportarono importanti vittorie sui franco-spagnoli, nei Paesi Bassi guidati dal duca di Marlborough e in Italia dal principe Eugenio, che mantenne ottimi rapporti anche col successore di Leopoldo I, Giuseppe I.

Nominato comandante supremo sul fronte italiano, si attestò nel trentino rincuorando le truppe pressate pesantemente dall’armata franco-spagnola al comando del maresciallo Vendome.

I Francesi erano ottimisti sia per l’apparente immobilità dell’esercito austriaco, sia perché il generale La Feuillade aveva garantito che Torino sarebbe caduta entro l’estate.

Gli Imperiali potevano contare su 36mila uomini a piedi e 7mila a cavallo; l’armata franco-spagnola schierava 43mila uomini tra fanti e cavalieri, ai quali erano da aggiungersi i 30/40mila uomini impegnati all’assedio di Torino. L’armata sabauda poteva invece contare solo su 15mila uomini più le poche migliaia di armati rimasti nella città assediata, a corto di munizioni e di viveri.

Con una lunga marcia preceduta da diversivi che ingannarono gli austriaci, il principe Eugenio arrivò in Piemonte percorrendo circa 400 km e superando grandi difficoltà climatiche.

Il duca di Orlreans, credendo ai suoi generali, pensò di difendere la Lombardia, non ritenendo possibile che Eugenio puntasse direttamente su Torino assediata.

Vittorio Amedeo II ed Eugenio si incontrarono il 29 agosto a Carmagnola, concordando che il punto più indifeso dello schieramento francese fosse ad occidente di Torino. La battaglia dunque avvenne tra Dora e Stura il 7 settembre 1706.

Vittorio Amedeo ed Eugenio attaccarono all’alba, i francesi, pur sorpresi, si batterono bene, Eugenio guidò la cavalleria e in battaglia il suo cavallo fu ferito, ma continuò a combattere e a guidare le manovre. Le truppe piemontesi chiuse nella Torino assediata, con molti civili, uscirono al contrattacco: colte dal panico le truppe francesi si ritirarono verso Pinerolo e verso la Francia.

Grande vittoria: 5mila prigionieri, 3mila cavalli e la maggior parte delle salmerie furono catturati dagli austro-piemontesi. Nel pomeriggio, neri di polvere e macchiati di sangue, i due Principi assisterono al Te deum ove vennero esposte 150 bandiere tolte al nemico. Anche il feldmaresciallo austriaco Leopold von Daun, comandate della Torino assediata, venne coinvolto nei festeggiamenti tanto da offrire presso la sede del suo comando, palazzo Graneri, una “superba cena” che ebbe luogo alle tre di notte.

Per assolvere al voto fatto dai due Principi venne costruita, da Filippo Juvarra, la Basilica di Superga.

La battaglia di Torino, modello di arte militare, suscitò molto entusiasmo soprattutto in Inghilterra dimostrando come Luigi XIV non fosse imbattibile.

Eugenio di Savoia entrò quindi trionfalmente in Milano e fu nominato Governatore del Ducato di Milano da Carlo d’Asburgo, fratello dell’Imperatore e pretendente al trono di Spagna in concorrenza con Filippo d’Angiò; l’Imperatore Giuseppe I gli conferì il titolo di Luogotenente Generale e Feldmaresciallo dell’Impero.

Il nostro Principe partecipò poi all’assedio di Tolone, impresa che non ebbe successo per la troppo rischiosa lontananza dai centri di rifornimento dell’esercito, essendo nel cuore della potenza francese, mentre gli imperiali al comando di von Daun conquistavano Napoli, quasi senza combattere.

Il fronte si spostò per gli anni successivi nelle Fiandre, dove il Principe vinse a Malplaquet, sia pure con pesanti perdite.

Era il momento più difficile per Luigi XIV e già il Principe Eugenio pensava di avverare il suo sogno giovanile di marciare da vincitore su Parigi, ma ciò non avvenne, sia perché gli imperiali volevano cessare la guerra durata oltre 10 anni, sia perché il 17 aprile 1711 moriva Giuseppe I, amico e sostenitore del Nostro.

Gli successe il fratello Carlo, eletto imperatore col nome di Carlo VI, interessato soprattutto a difendere i suoi diritti sul trono di Spagna.

La fine della guerra di successione spagnola avvenne soprattutto per stanchezza delle due parti e venne sancita con i trattati di Utrecht e di Rastadt del 1713 e del 1714. A Rastadt il principe Eugenio si distinse anche come abile diplomatico e si trovò a trattare con il suo antico avversario, il maresciallo di Francia Villars, ottenendo la “Bilance of power”, ossia un giusto compromesso tra le potenze che si erano affrontate per tredici anni.

In seguito alle vittorie del Principe Eugenio l’Imperatore ottenne quasi tutta l’Italia, l’Ungheria e i Paesi Bassi meridionali di cui il nostro Principe diverrà Governatore e Capitano nel 1716, carica che mantenne sino al 1724.

Alla pace sul fronte occidentale non corrispose la pace verso i Turchi. Nel 17171 il Principe Eugenio conquistò Belgrado con un attacco di sorpresa lanciato all’alba del 16 agosto contro l’esercito di Halil Pascià. L’esercito Turco, poco disciplinato, non seppe resistere a lungo contro l’organizzazione dell’armata imperiale e si dette alla fuga; dopo una settimana Belgrado, pur disponendo di viveri e munizioni per altri 6 mesi, si arrese.

In questa battaglia il Nostro fu ferito da una sciabolata “credo che sia stata la mia tredicesima e verosimilmente la mia ultima ferita”. Fu infatti l’ultima battaglia del Principe, e il trattato di Passarowitz sanzionò la conquista di Belgrado e di gran parte della Serbia.

In realtà comandò ancora le truppe imperiali in occasione delle guerra di successione polacca; con un esercito nettamente inferiore riuscì a fermare sul Reno le truppe francesi evitando così una possibile invasione francese.

Il principe Eugenio avrebbe voluto finire la sua vita in battaglia: si spense invece nella notte tra il 20 e il 21 aprile 1736 nel suo palazzo viennese di Himmelforgasse per una paralisi ai polmoni.

Non cittadino europeo di un’Europa che non esisteva, ma il primo e il più fedele suddito dell’Imperatore del Sacro Romano Impero, che riuniva comunque popoli di etnie diverse.

La stima verso il condottiero da parte di tutti i popoli del continente ne fece un vero eroe europeo.

Eugenio portò sempre il massimo rispetto per la terra di origine della sua famiglia dimostrata dall’aiuto che sempre diede al cugino Vittorio Amedeo II.

Riservato, poco si sa della sua vita privata. Perse tutti i nipoti sui quali contava per la prosecuzione della stirpe, impedito di formarsi una famiglia per i continui spostamenti. Anche dei suoi rapporti con l’altro sesso, spesso accompagnati da maldicenze, poco si sa.

A Vienna negli ultimi anni frequentò assiduamente la contessa Eleonora Battyany, ma non si seppe mai la vera natura di questa relazione.

Fu ideatore e proprietario di magnifiche residenze, collezionista di opere d’arte, bibliofilo. Tra i famosi palazzi vi fu il Palazzo del Belvedere, a sudest di Vienna, opera dell’architetto Hildebrant, con un parco lussureggiante, tanto che Monetsquieu ebbe a rallegrarsi di conoscere un paese nel quali i sudditi vivono di gran lunga più lussuosamente del loro Sovrano..

Morto senza testamento, tutti i beni furono incamerati dallo Stato Imperiale Austriaco. La quadreria e la biblioteca andarono alla parente più prossima, Vittoria di Savoia Soisson, principessa di Sassonia, che vendette i libri all’Imperatore ed i quadri a Carlo Emanuele III di Savoia, tramite il conte Malabaila ambasciatore sabaudo a Vienna. Tra queste tele le dieci raffiguranti le battaglie vinte, dipinte da Huchtenburg, che entrarono a far parte della Galleria Sabauda.

A conclusione riporto quanto Cesare Cantù nel’800 scrisse:

“…Egli stava di continuo sull’avviso, i propri falli riconosceva, di quelli dei nemici profittava, per superarli nel momento di lor debolezza: d’attività senza pari, di gran coraggio e presenza di spirito, pronto a cogliere il buon momento, prendea gran cura dei feriti e degli ammalati, volendo soffrire egli stesso piuttosto che far soffrire i soldati.

Uomo del resto moderatissimo, di carattere irreprensibile, non tollerava complimenti per le sue vittorie: per franchezza ledeva sin la civiltà, inimicandosi così la ciurmaglia cortigiana; colto e di gran memoria, appassionato delle scienze e delle belle arti, e tanto valore in campo quanto prudente nel governare, perpetuamente consigliava la pace”.

Riassunto a cura di Fabrizio Antonielli d’Oulx

Per colpa di Woodcock la repubblica paga il “re”

da Il Giornale

L’Italia deve chiedere scusa a Vittorio Emanuele, principe di quella casa Savoia che avevamo spedito in esilio dopo il disastro della guerra. Ora a doversi vergognare è lo Stato che ha messo le manette a Vittorio Emanuele, l’ha tenuto in una cella, nel carcere di Potenza, poi l’ha umiliato agli arresti domiciliari, infine ha visto evaporare una dopo l’altra tutte le accuse che l’avevano ricoperto di fango. Qualche tempo fa il Ministero dell’economia ha staccato l’assegno: quasi 40 mila euro per voltare pagina e cancellare l’ignominia sulla testa coronata.
«Il principe racconta l’avvocato Francesco Murgia era amareggiato per quel che era successo in patria. Ora è più sereno». Tutto comincia il 16 giugno 2006, quando Vittorio Emanuele viene ammanettato sulle rive del lago di Como, chiuso dentro Non perdete il convegno Non perdete il convegno Araldica: Araldica: attualità e prospettive attualità e prospettive sabato 20 giugno 2015 sabato 20 giugno 2015 abato 20 giugno 2015 una Punto e portato di volata a Potenza. Il pm Henry John Woodcock conduce un’inchiesta clamorosa che contempla una sfilza di capi d’accusa: Vittorio Emanuele deve rispondere di una caterva di reati.
In sostanza gli si contesta mezzo codice penale: associazione a delinquere, lui e i suoi presunti complici pure in manette, finalizzata alla corruzione e al gioco d’azzardo; ancora associazione a delinquere finalizzata, addirittura, allo sfruttamento della prostituzione, altri illeciti. Lo scettro di casa Savoia è nel fango, il mondo intero assiste al declino che pare irreversibile di una delle famiglie più blasonate d’Europa. Il 23 giugno, dopo una settimana, il principe ottiene gli arresti a casa, dove resta blindato fino al 21 luglio quando torna in libertà.

La sua reputazione pare compromessa, ma i colpi di scena non sono finiti. L’inchiesta, tanto per cominciare, viene divisa per competenza in tanti pezzi: una parte resta in Basilicata, alcuni fascicoli prendono la strada di Como, altri approdano a Roma, altri ancora in Umbria. Un guazzabuglio in cui è difficile districarsi. E lo spezzatino già visto in tante indagini firmate da Woodcock.
In breve le contestazioni perdono forza, si rivelano esili, perché i pm hanno fra le mani solo centinaia di pagine di intercettazioni, andate avanti un anno e mezzo-due, in cui gli indagati dicono tutto e il contrario di tutto.
Il principe diventa una barzelletta per i giornali, ma della corruzione del sindaco di Campione e dei funzionari dei monopoli si perdono le tracce, cosi come dello sfruttamento delle escort. Incredibile, ma a Como non si arriva nemmeno a processo: i Pm mandano tutto in archivio.

I diversi segmenti in giro per l’Italia si perdono, solo un filone resiste fino al dibattimento e all’assoluzione con formula piena, sollecitata addirittura dall’accusa. Un fiasco senza precedenti. «Ho fatto richiesta di indennizzo alla corte d’appello di Roma spiega al giornale l’avvocato Murgia era giusto che l’Italia risarcisse Vittorio Emanuele per l’incredibile disavventura, per i 7 giorni in cella, per il disastro d’immagine, per l’imbarazzante espulsione da alcuni circoli esclusivi. Al termine di un’estenuante battaglia, il riconoscimento è arrivato: il principe è felice per questa pronuncia. Era rimasto sconvolto per quello che alcuni magistrati del suo Paese, ma lui preferisce la parola patria, gli avevano fatto». Ora la patria, matrigna, ha rimediato. E la cronaca si è presa una rivincita sulla storia.

Savoie, bonnes nouvelles

Una mostra e un convegno di studi storici nel 600° anniversario del Ducato di Savoia Il 1416 è una delle date più importanti della millenaria storia degli Stati sabaudi.

Fu allora, infatti, che la Contea di Savoia fu eretta in Ducato dall’Imperatore e da questo momento Amedeo VIII (in realtà Amedeo VIII fu, sì, il primo duca di Savoia ma non il primo duca sabaudo dato che era il 10°, duca di Aosta e di Chiablese) e i suoi discendenti usarono il titolo di duca di Savoia prima d’ogni altro sino al 1713 quando ascesero al trono reale. La ricorrenza dei 600 anni da tale avvenimento offre quindi l’occasione per una riflessione su questa storia, in una fase in cui Torino e il Piemonte sono impegnati ormai da tempo a confrontarsi con la propria storia – e con il patrimonio che questa ha lasciato – per meglio affrontare le sfide del presente.

Nasce così, organizzata dalla Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, dal Centro Studi Piemontesi e dal Consiglio regionale del Piemonte, con il sostegno della Compagnia di San Paolo, la mostra ha come nucleo principale il patrimonio librario della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, erede diretta dell’antica biblioteca della Regia Università, uno dei luoghi di formazione della classe dirigente sabauda e una fra le più importanti espressioni del collezionismo sabaudo.

L’esposizione, quindi, si pone come una riflessione sugli Stati sabaudi, sulla loro identità al plurale, sovra-nazionale e pluri-linguistica, perché guardare alle proprie radici non rappresenta uno sterile esercizio d’erudizione ma un impegno necessario nell’Europa che cerca, pur fra mille diffi1416 600 anni di Ducato coltà, una sua unità, e, di riflesso, favorisce una riflessione sul Piemonte che su questa storia sta costruendo una parte importante del proprio futuro. (dall’introduzione dei curatori nel Catalogo della mostra) Dal 1416, guardando avanti, sino al 1720: una breve storia della Dinastia (https://it.wikipedia.org/wiki/Du cato_di_Savoia) Il Ducato nasce nel 1416 in seguito all’assegnazione del titolo ducale da parte di Sigismondo di Lussemburgo al conte Amedeo VIII di Savoia. Il territorio del Ducato si estendeva alla Savoia, alla Moriana, alla Valle d’Aosta, mentre il Piemonte, soggetto a varie signorie, tra cui i marchesati di Monferrato e di Saluzzo, era dominio dei Savoia nell’area occidentale (Valle di Susa, Canavese e città come Pinerolo – capoluogo dei Savoia-Acaia – Savigliano, Fossano, Cuneo e Torino). Lo sbocco sul mare, conquistato dal 1388 consiste in pochi chilometri di costa intorno a Nizza. Amedeo VIII segnò profondamente la storia dello stato.

Nel suo lungo regno vi furono molte guerre (estese la geografia del Ducato sconfiggendo le signorie di Monferrato e di Saluzzo), riforme ed editti, episodi controversi: primo fra tutti, il ritiro che, spontaneamente, egli scelse per sé nel 1434, e che lo portò a vivere nel castello di Ripaglia. Qui fondò l’ordine di San Maurizio, qui ricevette la nomina ad antipapa nel 1439, che accettò con il nome di Felice V e a cui rinunciò dieci anni dopo, per ricostituire l’unità religiosa dei cristiani.
Il figlio Amedeo si spense prematuramente nel 1431¸ gli succedette il figlio secondogenito Ludovico. Gli stati italiani nel 1494 Uomo colto e raffinato, il duca Amedeo diede grande impulso all’arte (lavorò al suo seguito, tra gli altri, il celebre Giacomo Jaquerio), alla letteratura e all’architettura.
Al debole Ludovico succedette Amedeo IX di Savoia, duca estremamente religioso (venne proclamato beato) ma di poco spirito pratico, al punto che permise alla moglie, Iolanda di Francia (detta anche Violante di Francia o di Valois), sorella di Luigi XI, di prendere decisioni estremamente importanti, rendendo vincolato il Piemonte alla corona di Parigi: non stupisce se la nobiltà, capeggiata da Filippo II di Savoia, cercò di scavalcare il debole Amedeo per porre l’energico Filippo al trono.

Uscito il ducato in pessime condizioni economiche non solo dalla guerra (con la Pace di Ghemme del 1467), ma anche dalla scarsa amministrazione di Iolanda e dalle continue elargizioni che Amedeo IX permetteva ai bisognosi di Vercelli, il futuro della nazione venne affidato a un ragazzo, Filiberto I di Savoia, che si spense appena diciassettenne dopo dieci anni di regno.
A questi succedette Carlo I di Savoia, il Guerriero: anch’egli si spense prematuramente lasciando alla moglie Bianca di Monferrato l’incarico di reggere lo Stato in nome del piccolissimo figlioletto Carlo Giovanni Amedeo di Savoia, che comunque, dopo un anno di regno, morì. Il cosiddetto “ramo comitale” dei Savoia si estinse, quindi, nella persona del giovane Carlo II, lasciando libero spazio all’ambizioso Filippo II che già al tempo di Amedeo IX aveva cercato il potere.

Cresciuto, così come il successore Filiberto II, alla corte francese, non poté però fermare l’irresistibile ascesa che la Francia stava esercitando sul Piemonte, generando i germi della futura invasione d’oltralpe. Alla scomparsa di Filiberto II di Savoia, nel 1504, gli succedette il fratellastro Carlo III il Buono, un duca debole, che con la sua politica filospagnola si attirò le attenzioni negative della corte francese: fin dal 1515 il Piemonte venne occupato da armate straniere, mentre Francesco I di Francia aspettava solo l’occasione per annettere definitivamente la Savoia e il ducato ai suoi possedimenti. Nel 1536 Francesco I decretò l’occupazione del Ducato, che venne invaso da un forte contingente militare: Mappa approssimativa del Ducato sabaudo nel 1494, nella sua parte italiana Carlo III si ritirò a Vercelli, cercando di proseguire la lotta, ma non vide mai il suo Stato libero dall’occupante.
Emanuele Filiberto I di Savoia, con la Pace di CateauCambrésis, siglata nel 1559, ripristinò la completa autonomia del ducato. Compreso che non si poteva più mirare alla Francia come terreno di conquista, spostò il baricentro dello Stato in Piemonte, e la capitale passò a Torino, che rese meglio difendibile promuovendo la costruzione della Cittadella. Grazie alle sue esperienze militari nelle Fiandre creò un apparato stabile formato da soldati piemontesi addestrati appositamente.

Il figlio, Carlo Emanuele I, ebbe buon gioco a cercare di estendere il ducato a scapito delle signorie di Monferrato e del territorio di Saluzzo, ceduto dalla Francia, che annesse nel 1601 con il Trattato di Lione, dopo la breve guerra franco-savoiarda. L’acquisizione del saluzzese non fu tuttavia indolore, poiché il Ducato di Savoia dovette cedere in cambio al regno di Francia la Bresse, il Bugey, il Valromey e Gex.
Sfortunatamente, le guerre di Carlo Emanuele furono in gran parte delle sconfitte, eppure egli viene spesso ricordato con l’appellativo di “Grande”: uomo versatile e colto, poeta, abile riformatore, seppe gestire il ducato in un momento di grave crisi con le potenze europee. L’11 dicembre 1602 Carlo Emanuele I tentò d’impadronirsi della città di Ginevra con un assalto notturno, ma questo fallì (sconfitta dell’Escalade) e il duca dovette accettare una pace durevole, suggellata dal trattato di Saint-Julien del 12 luglio 1603 che riconosceva l’indipendenza della città.

Il duca cominciò quindi una politica di alleanze: quella con gli Estensi del ducato di Modena e Reggio, il cui futuro duca Alfonso sposò a Torino, il 28 febbraio1608, la figlia di Carlo Emanuele, Isabella. Nello stesso anno venne sancita la riconciliazione con i Gonzaga dal matrimonio della figlia di Carlo Emanuele, Margherita, con il futuro (1612) duca di Mantova e marchese del Monferrato, Francesco Gonzaga. Carlo Emanuele concluse poi un’alleanza con Enrico IV in chiave anti-spagnola, che venne sottoscritta fra il 21 e il 25 aprile1610 nel Castello di Bruzolo, in Valle di Susa. Questo trattato impegnava il ducato a sostenere i francesi contro la Spagna, mentre i francesi avrebbero sostenuto il Ducato di Savoia nell’occupazione di quello di Milano.

Il tutto sancito dal matrimonio fra il figlio di Carlo Emanuele I, Vittorio Amedeo, con Elisabetta, figlia di Enrico IV. Ma il trattato era destinato a rimanere lettera morta, compreso il matrimonio fra l’erede dei Savoia e la principessa reale francese: pochi giorni dopo la sua sottoscrizione Enrico IV cadeva sotto i colpi di pugnale di François Ravaillac. A Enrico succedette il figlio Luigi, ma non avendo questi ancora l’età per regnare, subentrò la reggenza della madre, Maria de’ Medici, che operò per un deciso riavvicinamento alla Spagna. Già nel 1611 l’ambasciatore francese, Claudio di Bullion notificò a Carlo Emanuele la decadenza del trattato di Bruzolo. La morte improvvisa del duca di Mantova, Francesco Gonzaga, genero di Carlo Emanuele, scompigliò nuovamente la situazione: Francesco Gonzaga aveva avuto da Margherita di Savoia una figlia, Maria, e un figlio, Ludovico, morto però poco prima del padre.

Subentrò a Francesco il fratello Ferdinando Gonzaga. Carlo Emanuele non accettò e, sostenendo di voler difendere i diritti della nipote Maria, entrò in armi occupando nell’aprile 1613 Trino, Moncalvo e Alba. Insorsero le altre potenze, vi furono rovesciamenti di fronte (Luigi XIII mandò nel 1617 persino un esercito, al comando del Lesdiguières, in soccorso del ducato per la riconquista, riuscita, di Alba, occupata dagli spagnoli) e la guerra si trascinò fino al 1618 con un nulla di fatto, ma con un importante risultato d’immagine, che mise in luce la figura di Carlo Emanuele I come unico principe italiano capace di opporsi alle grandi potenze europee. Nel corso del Seicento tornò a farsi sentire l’influenza della corte di Versailles sul Piemonte.

La vicinanza del Ducato di Milano, dov’erano stanziate truppe francesi, e la cessione di Pinerolo (una delle più importanti piazzeforti sabaude), vincolò strettamente Torino a Parigi. La corte, che era stata spagnola sotto Carlo Emanuele I, divenne francese sotto i suoi tre successori: il matrimonio di Vittorio Amedeo I di Savoia con Maria Cristina di Borbone-Francia, futura Madama Reale, non fece che stringere questo legame. Cristina mantenne il vero potere in Savoia durante il breve periodo di Francesco Giacinto e nella giovane età di Carlo Emanuele II di Savoia. Alla forte influenza francese, si sommarono varie disgrazie che, ripetutamente, colpirono il Piemonte. Prima di tutto la peste, sviluppatasi nel 1630: o è la stessa riportata dal Manzoni nei Promessi Sposi. Nella sola capitale sabauda morirono 3.000 persone.
Ai lutti delle Guerre di Successione del Monferrato si sommò il conflitto ideato da Vittorio Amedeo I per creare una lega antispagnola in Italia, tra il 1636 e il 1637.

Il Piemonte, poi, s’impegnò a cedere la piazzaforte di Pinerolo alla Francia, con il Trattato di Cherasco nel 1631, ma ottenendo l’inserimento nel Ducato di Savoia delle città di Trino e Alba e relativi circondari. A Vittorio Amedeo I succedettero i figli: il primogenito Francesco Giacinto di Savoia mori piccolo e il secondogenito Carlo Emanuele II fu affidato alla reggenza della madre Maria Cristina, Madama Reale; i suoi sostenitori presero il nome di Madamisti. Contro questa preponderanza francese si mobilitarono i principi Maurizio di Savoia e Tommaso di Savoia, i cui seguaci presero nome di Principisti. La città di Torino fu presto assediata da entrambe le fazioni.
La ebbero vinta i Principisti, che sottoposero Torino a un crudo saccheggio il 27 luglio 1639. Durante la reggenza vi fu una recrudescenza delle guerre di religione. Nel 1655, le truppe del Ducato assalirono la popolazione protestante delle valli Valdesi, nell’episodio noto come Pasque piemontesi. Un accordo definitivo con i Valdesi fu portato a termine nel 1664.
Il governo di Carlo Emanuele II fu un primo passo verso le grandi riforme del successore e del secolo successivo: creò le milizie sabaude ed il primo sistema di scuola pubblica, nel 1661. Uomo colto, ma anche ottimo statista, volle circoscrivere la corte nella sontuosa Reggia di Venaria Reale, promosse l’espansione di Torino e la sua ricostruzione barocca.

Alla sua morte seguirà un periodo di reggenza, tenuta dalla nuova Madama Reale, Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours.
Il figlio di Carlo Emanuele II, Vittorio Amedeo II di Savoia, rimase sotto la reggenza della madre Maria Giovanna Battista nei primi anni di regno; uscito con determinazione dalla mano della reggente, Vittorio Amedeo entrò in pessimi rapporti con la corona di Parigi, cosa che comportò l’invasione del ducato da parte delle forze francesi. Il Piemonte sconfisse l’esercito di Luigi XIV nell’Assedio di Cuneo, ma venne drasticamente sconfitto nelle battaglie di Staffarda e della Marsaglia. Carta del ducato di Savoia durante la guerra di successione spagnola Dopo la Guerra della Grande Alleanza, il duca, militando nella prima fase della Guerra di Successione Spagnola a fianco di Luigi XIV, cambiando fronte di alleanze seppe tenere testa alla nuova invasione francese del Piemonte e riuscì a sconfiggere a Torino le truppe del marchese della Fouillade. grazie all’arrivo sul campo di battaglia del cugino del duca, Eugenio di Savoia.
Al termine dell’atto bellico, nel 1713, Vittorio Amedeo ottenne il Regno di Sicilia. Nel 1720, in ottemperanza del Trattato di Londra del 1718, cedette la Sicilia in cambio del regno di Sardegna.

Avanti Savoia!

Casa Reale è tornata tra noi in questa domenica 31 maggio, con il principe Emanuele Filiberto impegnato in onorevole tenzone politica, nel segno di valori religiosi e civici da tutti condivisibili, indipendentemente dal voto elettorale di ciascuno: ben tornato, Altezza Reale, in questo Piemonte che da tempo attende, dopo la fine dell’esilio ingiusto, l’assunzione di ruolo che compete naturalmente, pure in regime repubblicano, all’erede del primogenito della dinastia sabauda! Anche l’erede dell’altro ramo di Casa Savoia, unente idealmente nel nome di Aosta le cime nevose del ducato “d’Fer” con le gloriose ambe abissine del Vicerè Amedeo, opera attivamente nel mondo di oggi perfettamente in linea con il ruolo a Lui spettante nella società odierna. Più lontana, al di là dell’Atlantico, ma altrettanto vicina a noi nel cuore e nella naturale collocazione dinastica, vive degnamente l’unica superstite del terzo dei tre rami sabaudi discesi dal primo Re d’Italia e ci è ben presente con quanta regale dignità la principessa Isabella di Savoia – Genova provvide recentemente al trasporto dal Brasile ed alla sepoltura nella Basilica di Superga della salma del proprio padre, Sua Altezza Reale il principe Eugenio di Savoia – Genova, ultimo duca di Genova, ricordato dalla vecchia generazione come il duca di Ancona. E’ proprio sui rappresentanti della giovani generazioni sabaude che si fondano ora le attese di tanti, per un vero e proprio, coraggioso “rilancio” di sentimenti familiari unificanti, senza più divisioni, tenendo sempre presente l’esempio eletto del nostro amatissimo, rimpianto Sovrano, Sua Maestà il Re Umberto II. Ad essi vada quindi, dal profondo di tanti cuori, quell’incitamento a bene operare che attraverso i secoli animò intere generazioni, non solo di valorosi soldati su campo di battaglia: avanti, sempre AVANTI SAVOIA!

Di Carlo Gustavo Figarolo di Gropello