Sacralità della nobiltà e suo carattere religioso

giovedì 30 novembre 1995

introduzione al tema di padre Costantino Gilardi O.P.

E’chiaro che c’è da parte mia una certa temerarietà ad affrontare un tema così vasto e difficile.

Dividerò la mia esposizione di carattere più teologico che giuridico in due parti. Nella prima parte analizzerò due coppie di concetti “sacro e santo” e “natura e grazia”.

Questo permetterà di situare meglio i concetti di sacralità e di religiosità della nobiltà, concetti che attraversano tutti gli altri temi che verranno trattati da Vivant, sulle nobiltà al plurale.

Analizzerò come la sacralità fletta in un senso o nell’altro, in base a dottrine politiche, ad elementi teologici e specifiche elaborazioni giuridiche, quindi un incontro di varie competenze e materie.

Tradizionalmente vi sono due grandi teorie sul potere .

– che viene dal basso (questa teoria ha conosciuto momenti di grande successo, ma poi è caduta)

– che viene dall’alto.

La sacralità, il tipo di sacralità dipende da quale teoria si adotti.

Enuncerò ora alcune tesi, anche se un po’ rigide nel loro schematismo.

Nella prospettiva cristiana il sacro è attraversato dal santo e il santo tendenzialmente mira quasi ad azzerare il sacro.

Nella tradizione giudaica e ancor più in quella cristiana è il santo che prevale. Il sacro è una dimensione antropologica, è un funzionamento psichico e culturale che esiste in tutte le culture. Molto significativo è il libro “Il sacro” di Rudolph Otto che accentua il sacro con due concetti : il primo è visto come il luminoso, qualcosa che ha anche a vedere con l’intoccabile, con l’alto, con l’eccelso, qualcosa di desiderato e a cui nello stesso tempo non si ha accesso.

Il secondo è visto come il “tremendum”, come dimensione di paura, di timore reverenziale.

Nella Bibbia possiamo ricordare il roveto ardente, quando a Mosè viene detto di togliersi i calzari, non avvicinarsi, coprirsi il volto con il mantello.

Questo sta ad indicare come ciò che è più desiderato da noi, è più prezioso per noi, ha da sempre una dimensione di timore.

Lo vediamo anche nella nostra vita personale : ciò che più desideriamo ci fa anche paura, perché ci fa accedere a qualche cosa che è quasi divino, cioè portatore in se di una pienezza, di un assoluto e quindi tale da suscitare timore.

Tutte le culture conoscono il sacro, che ha sempre un regime separato, intoccabile e di rapporto di venerazione, ossequio; Può essere nei confronti della divinità in senso stretto, o verso oggetti o luoghi in qualche modo correlati alla divinità.

Basti pensare al tempio di Israele, con le zone sempre meno accessibili sino a quella in cui solo una volta all’anno e solo il Gran Sacerdote poteva accedere e che custodiva l’Arca dell’Alleanza e le Tavole.

Collegato a questo tema è la purità, la purità rituale.

Il giudaismo ed il cristianesimo incontrano questa dimensione del sacro nelle culture precedenti ed adottano alcuni atteggiamenti che la ridimensionano.

A questo proposito valga l’esempio del terreno che, se in ambito islamico viene consacrato a Dio, di questo terreno non se ne potrà più fare nulla, è assolutamente ed in modo irrevocabile sacro, consacrato a Dio.

Nell’ebraismo invece non esiste questo assolutismo : basti ricordare l’episodio dei pani offerti al Tempio, riservati a Dio ed intoccabili, che però in un momento di carestia i grandi sacerdoti decidono di dare al popolo.

Così i gioielli della Consolata, in momenti di gravi necessità quali pesti o carestie, sono stati venduti per venire incontro alla necessità del popolo.

Siamo in due regimi diversi di sacralità, uno che accentua l’assoluto, la consacrazione assoluta, totale de irreversibile, e l’altro che in qualche modo ne fa un uso strumentale, dove la persona umana rimane superiore alla cosa.

Questo può anche dispiacere da un punto di vista storico-artistico, quando si leggano gli inventario delle cose di chiesa venduti, fusi. Come fece anche San Carlo Borromeo in occasione della peste.

Un altro accenno va fatto alla proprietà.

Il diritto romano, in senso generale, aveva una concezione della proprietà come ius utendi et abutendi, cioè il diritto di fare ciò che si vuole con i propri beni.

Il cristianesimo invece introduce una concezione della proprietà per cui i beni della terra sono di tutti gli uomini e anche se ci sono ripartizioni diverse per legittime ragioni storiche, il cristiano è amministratore di un bene che sì gli appartiene, ma di cui ha una responsabilità anche nei confronti degli altri.

Ci sono quindi accentuazioni diverse riguardo ad un qualche cosa che tende verso l’assoluto e che mantiene viva una finalità.

Questo tema del sacro e del santo andrebbe ancora sviluppato. Bastino alcuni accenni conclusivi.

In Ebraico la parola che indica Santo è Kodesh, derivante da una radice che significa tagliare, separare, e quindi separazione dal profano; le cose sante sono quelle che non si toccano, a cui non ci si avvicina se non in determinate condizioni di purità rituale.

La nozione biblica di santità è più ricca e non si accontenta di presentare la reazione dell’uomo davanti al Divino o al sacro, come si è cercato di illustrare, o di definire la santità mediante la negazione del profano.

La Bibbia contiene la rivelazione di Dio stesso, che E’ il santo e si è santi (l’uomo, il luogo, ecc.) nella misura in cui si partecipa della Sua santità:

C’è una santità esteriore delle persone, dei luoghi, degli oggetti che vengono quindi resi sacri dalla santità di Dio; questa santità derivata non diventa reale de intera se non mediante il dono dello Spirito Santo.

I capisaldi di questa dottrina è che in primo luogo la santità è di Dio. Dio vuol, essere santificato (ricordiamo il triplice Santo della Messa), esige un’obbedienza, un culto, una purità e desidera comunicare la Sua Santità. Per questo il popolo di Dio è detto Santo.

Gesù apporta alcuni correttivi a questa concezione giudaica ed è intimamente legata la sua Santità al fatto di essere figlio di Dio.

Cristo santifica i cristiani, l’azione dello Spirito Santo è l’agente principale di questa santificazione. Nel Nuovo Testamento i cristiani vengono semplicemente detti “santi”.

Anche il tema della purità meriterebbe di esser sviluppato, ma qui bastino solo alcuni grandi punti di riferimento.

Concludo questo primo punto riguardante i concetti di sacro e di santo ribadendo come il sacro sia una dimensione antropologica e religiosa propria di tutte le religioni.

Ci sono alcuni dati trasversali e comuni a tutte le religioni in quanto facenti parte del patrimonio dell’umanità : tra questi è il concetto di sacro, considerato come tremendum, separazione rigida, assoluta.

Esso viene in qualche modo evangelizzato da Cristo e dall’Antico Testamento che tendono a farlo diventare santo piuttosto che sacro.

Affronto ora il secondo punto riguardante i concetti di grazia e natura.

E’ un tema che la teologia contemporanea ed i testi del Concilio Vaticano II sviluppano con una terminologia moderna : “autonomia delle realtà terrestri”, ma nel dibattito classico della teologia era “natura e grazia”.

All’inizio della Summa San Tommaso dice “gratia non tollit sed perficit naturam”, la grazia porta a compimento la natura, non la elimina:

E’ un tema fondamentale, tutte le eresie sono o l’accentuazione della divinità di Cristo negandone l’umanità, o l’accentuazione dell’umanità tanto da negare la divinità.

Il fatto che Cristo fosse e Dio e Uomo, e che quindi anche il Cristiano abbia qualcosa di umano e di divino, è tema difficile, ma proprio di tutta la storia del cristianesimo.

I credenti affermano che sia Dio che ha creato il mondo e che ciò che noi vediamo, le leggi fisiche di funzionamento del mondo, sono create da Dio. Per il non credente, però, queste leggi sono le stesse, e il credente non ha accesso alle scienze, alle leggi fisiche, chimiche ecc. più di quanto non abbia il non credente.

Il credente su questi argomenti, sulla scienza in genere, non ha una conoscenza dovuta a rivelazione divina: il credente ed il non credente, in questo campo, sono sullo stesso piano.

La grazia quindi trova già una natura, sia pure ritenuta dal credente opera della creazione. Un altro esempio . Quando la Chiesa battezza un bambino, non lo fabbrica, lo trova già in natura, confermando così, con questo esempio, l’autonomia delle realtà terrestri; non c’è una fisica cristiana, non c’è neppure una filosofia cristiana se non negativamente in quanto è cristiana quella filosofia che non insegna cose contrarie al cristianesimo, ma la ricerca filosofica è affidata alle risorse umane, è naturale.

Il cristianesimo evangelizza, trasforma queste realtà naturali, però mantenendo l’autonomia delle realtà terrestri. C’è un’autonomia di ricerca, come testimoniano anche i documenti pontifici sul tema scienza – fede.

Anche nella costituzione conciliare “Gaudium et spes” c’è un capitolo su questo tema.

E’ comprensibile questa autonomia della natura, sia pure avente origine dalla creazione, con un mondo affidato alla ricerca dell’uomo, credente o non : la Chiesa dunque trova delle realtà che evangelizza, che battezza, ma che non costruisce lei.

Ancora un esempio : i monasteri dei trappisti assomigliano, come pratica monastica, in modo impressionante ad altri non cristiani, quali i buddhisti, ecc. Per di più è difficile dedurre dal Vangelo una indicazione verso una vita di totale silenzio, di totale separazione dal mondo, come certi monaci vivono, anzi il Vangelo dice “andate , predicate, annunciate”.

Queste forme, proprie di altre culture occidentali ed orientali, sono probabilmente legate a temperamenti, a scelte di vita non direttamente derivanti dal Vangelo; il cristianesimo le evangelizza, le battezza, in qualche modo le fa proprie irrorandole attraverso la parola di Cristo.

Dunque il Cristianesimo trova delle realtà che battezza; così anche verso le forme politiche, i governi, le culture (ad esempio quella Greca e Romana), il cristianesimo accetta e fa proprie, evangelizzandole , ma mantenendone alcuni elementi.

Questi due duplici concetti “sacro e santo “ e “natura e grazia” ci permettono di situare anche il tema della “sacralità e santità” della nobiltà e il tema della “natura e grazia” ci permette di situare il fatto che il cristianesimo incontra delle realtà che non crea, ma che accoglie e che in parte o totalmente modifica.

Clamoroso, che stupisce i moderni, è l’incontro del cristianesimo con la schiavitù, che non condanna; San Paolo (lettera a Filemone) raccomanda solo di trattare gli schiavi bene, come fratelli di fede: il cristianesimo incontrando la schiavitù non la condanna, ma la evangelizza.

Dunque alcune realtà hanno un’origine autonoma ed indipendente dal cristianesimo, che incontrandole non le modifica immediatamente, ma tende a farle diventare conformi alla parola di Dio.

Il tema della sacralità della nobiltà richiama subito il concetto di nobiltà di diritto divino ovvero di appartenenza a classi sociali per diritto divino, accentuando una teoria di una realtà che viene dall’alto, da Dio: L a sacralità della nobiltà è radicata nella sacralità della funzione regale (pensiamo ad Israele o alla Francia dove il Re veniva consacrato, unto). Per partecipazione a questa funzione sacrale della regalità anche la nobiltà, in maniera derivata, aveva una dimensione sacrale.

Non sempre e non in tutte le culture è stato così.

Si contrappone a questa concezione quella che sostiene che il potere viene dal basso, concezione alla quale spetta probabilmente la priorità cronologica.

Tacito, parlando del modo in cui si governano le tribù germaniche, afferma che la fonte originaria del potere era il popolo, spettava all’assemblea eleggere i capi militari, i duchi o i re e tutte le altre cariche.

Costoro non avevano altro potere che quello che era stato conferito loro dall’assemblea elettorale. Si ammetteva quindi il diritto di resistenza agli ordini, i re venivano con facilità deposti e sostituiti.

A questa concezione si contrapponeva l’altra, secondo la quale il potere discende dall’alto. Essa faceva coincidere la fonte del potere con l’essere supremo, il quale in seguito, con il prevalere delle idee cristiane, era identificato con la divinità stessa. Nel V° secolo Sant’Agostino aveva detto che Dio impartisce le sue leggi all’umanità per mezzo dei Re. San Tommaso ribadiva la stessa idea nel XIII secolo, affermando che il potere deriva da Dio.

Anche in questo caso possiamo servirci della metafora della piramide, ma questa volta la fonte di ogni potere si trova al vertice.

Frequentemente si citava, per sostenere questa tesi, San Paolo, che affermava che ogni potere deriva dall’alto e non c’è potere che non derivi da Dio. Anche il testo di San Giovanni “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” diventa un caposaldo dell’interpretazione della derivazione dall’alto del potere.

Ci sono state oscillazioni, ma questo far discendere dall’alto il potere spiega il carattere fortemente ecclesiastico e la tino che il pensiero politico assunse nell’alto medioevo.

I suoi esponenti erano quasi tutti ecclesiastici, forniti di cultura per essere in grado di esprimersi in modo adeguato. Fino all’XI secolo manca assolutamente quella che si usa chiamare la classe dei laici colti.

Questo presupporrebbe un inoltrarci nelle dottrine politiche e, per la parte più moderna, in dottrine costituzionalistiche che ci porterebbero ad una grande complicazione.

Esaminiamo invece alcune importanti tappe che potranno essere discusse negli incontri di Vivant successivi.

Il fatto che il papato si sviluppi a Roma porta all’assunzione di una serie di funzionamenti propriamente politici legato all’Impero Romano e di derivazione romana.

Avvenne un contrasto tra Roma e Costantinopoli in occasione del trasferimento della capitale dell’impero da occidente ad oriente. Gli imperatori pretendevano che tutto fosse trasportato a Costantinopoli e che la nuova Roma fosse in toto Costantinopoli.

I Papi rivendicavano alcune caratteristiche proprie del papato che dovevano rimanere a Roma e che non erano trasportabili, anche se il potere sacro dell’Imperatore era ampiamente ammesso : si sviluppava allora una concezione monarchica, imperiale, legata all’imperatore.

Un altro e diverso esempio si ha con Carlo Magno e la divisione che ne segue in area Franca e Germanica e come questo venga interpretato.

In questo tipo di società prevale ampiamente, ancora, una dimensione sacrale della regalità e quindi della nobiltà.

Difficile dare una definizione della nobiltà in quest’epoca e in quelle successive ; qualcuno propone di usare il termine classe o, qualora sembrasse troppo “marxista”, ceto (anche se Pio XII ha sempre parlato di classi) dirigente. Per tutto il medioevo queste società sono caratterizzate dagli “ordines” e cioè le gerarchie sociali del basso impero, dell’alto e del basso medioevo sono legate agli ordini. C’è una stratificazione sociale per ordini, per caste e per classi, pur non mancando tipi intermedi di stratificazione sociale.

Sono Società di “ordines” : militare, amministrativo, sacerdotale, tecnocratico.

L’appartenenza a questi ordini dà lo status. La ricerca sulle classi dirigenti, le varie forme europee di nobiltà sono, in questi ultimi anni, diventati oggetto di approfonditi studi e ricerche.

Parallelamente si sta studiando molto seriamente l’araldica, preziosa disciplina ausiliaria della storia dell’arte, per poter datare opere in base agli stammi o risalire alla famiglia committente, ecc.

In occidente nessun re o imperatore ha avuto funzioni liturgiche, però tutto l’apparato dello stato e della simbologia era molto vicino alla liturgia religiosa.

Un altro punto da sviluppare è la cavalleria, e in particolare gli ordini che hanno unito cavalleria e una qualche dimensione ospedaliera di cui il più noto è l’Ordine di San Giovanni. In questo Ordine l’intuizione radicale del fondatore, Gerardo, è la signoria del malato. – ancor oggi si dice “Signori Malati” – ed è un termine estremamente importante. Il beato Gerardo ha capovolto la concezione della signoria feudale mettendo il malato in posizione di “signore”. Questo argomento, che meriterebbe un suo sviluppo, è complesso perché introduce il tema delle milizie armate, delle crociate : c’è una dimensione sacrale, in certi casi estremizzate, come risulta dai testi del periodo, dai quali si ricava l’impressione che i cavalieri, nel pronunciare i loro voti, praticamente facessero un voto dio martirio, sapendo che sarebbero quasi certamente morti combattendo. Si ha una connotazione che nella tradizione religiosa occidentale viene chiamata martirio, cioè offerta della propria vita per la difesa delle fede e della cristianità, in particolare quindi di quella organizzazione sociale che era la cristianità occidentale.

Questo modo di organizzare le cose, decisamente connotato dalla dimensione “dall’alto” e dalla forte dimensione sacrale, è messo in crisi dai liberi comuni, che nascono in contrapposizione alla nobiltà feudale, dove si sviluppa la mercatura, la funzione della “banca” così da permettere il costituirsi di ampie fortune a cui consegue l’acquisto di estesi territori. Accade per i due grandi comuni piemontesi., Asti e Vercelli, che costituiscono un’organizzazione politica in un primo tempo distaccandosi dalla nobiltà feudale, ma con un fenomeno di neofeudalizzazione, anche se non totale, circa 100 – 150 anni dopo.

Le grandi famiglie patrizie astigiane, ad esempio, cercano infestazioni imperiali, facendo erigere in feudo le loro grandi estensioni terriere (3-4.000 giornate), chiedendo una investitura all’Imperatore.

Ci sono però alcune famiglie che conservano una sorta di orgoglio comunale, rifiutando di farsi infeudare, ancora in pieno ‘600. Basti l’esempio dei Malabaila, famiglia di grandi banchieri, divisi in vari rami tra i quali alcuni si fanno infeudare (della Montà, di Canale), ma i Malabaila detti di Belotto, che subentrano agli Asinari nella zona di Villanova e Villafranca, non si fecero mai infeudare. Chiamarli Signori di Belotto era un titolo che non derivava da investitura, definendosi nei documenti ufficiali “miles” e “cives”.

Miles fa chiaramente riferimento agli ordines e questo termine evidenzia l’importanza della nobilitazione per via militare, dove appunto il miles apparteneva ad un ordine.

Questo sistema va ulteriormente in crisi verso il ‘400 – ‘500 ed appaiono nuove forme di accesso alla nobiltà.

Ci sono dunque periodi in cui le classi dirigenti o la nobiltà in modo specifico si aprono, diventando più facile l’accesso, e dei momenti in cui si chiudono, diventando molto più difficile entrarvi.

Nel ‘400-’500 vi si accede con un’altra modalità, più aperta, evidenziando una concezione della nobiltà molto meno sacrale.

Il testo di Lodovico della Chiesa, autore piemontese del 1618 “Della nobiltà civile ossia mondana” (non c’è più l’aspetto militare o degli ordines), come molti altri testi successivi, pone il problema di individuare una serie di indicatori che qualifichino il nobile.

Si è nobili se questo insieme di indicatori coincidono. Della Chiesa dà due definizioni della nobiltà, dove gli indicatori sono :

– virtù

– feudo e ricchezze antiche

– parenti

– amicizie grandi

– dignità e magistrati

– armi (blasone)

– fama e buona opinione degli uomini

Quando erano presenti questi elementi, tutti insieme, nessuno escluso, la famiglia poteva essere dichiarata nobile, cosa che avveniva nei tribunali dell’epoca (il Senato). C’è dunque un accesso diverso, più facile, e si è perso il concetto di dimensione sacrale, dall’alto, dell’origine della nobiltà.

Del resto Federico II affermava che nobiltà non fosse altro che ricchezze antiche, anche se il Donati cerca, con il suo trattato, di controbattere a questa visione molto materiale.

Gli indicatori di nobiltà sono ancora presenti nel parere del 1738 di Vittorio Amedeo II che, avendo avocato a se i feudi ed aventi saldamente rimesso in mano alla monarchia la lo distribuzione e vendita, aveva specificato nelle sue Costituzioni che potevano acquistare feudi soltanto i nobili. Si poneva quindi nuovamente il problema di chi fossero i nobili. Il parere del 1738 dei primi Presidenti “di molto peso in questa materia” era che vi fossero tre generi di nobiltà :

– per diploma del principe

– di sangue, che grosso modo corrisponde sia agli antichi patriziati, sia agli indicatori detti, molto simili a quelli definiti nel 1738

– di carica, cioè che si acquisiva dopo un certo numero di anni in cariche specifiche.

Questo tipo di cose durò sino alla Costituzione del 1848 che riconosceva, per il passato, questi tre tipi di nobiltà, ma dal 1848 solo più quello per diploma reale, non essendo più ammessi tutti gli altri tipi di accesso.

Se prevale la concessione reale o imperiale c’è una procedura dall’alto e una sacralità che partecipa della sacralità dell’imperatore o del re.

Nei momenti in cui prevalgono altri modi di acceso possono invece prevalere aspetti meno sacrali.

Per questo motivo si deve parlare delle nobiltà, al plurale.

La funzione religiosa della nobiltà può essere riassunta proprio nei concetti espressi secondo cui il Cristianesimo trova realtà che non trasforma completamente, ma evangelizza; questo avviene anche nei confronti delle organizzazioni sociali, dove non ne propone una propria, ma trova quelle specifiche di determinate epoche.

Il Cristianesimo cerca di evangelizzarle mettendo l’accenti sul fatto che la funzione della classe dirigente e della nobiltà in particolare è legata al bene comune, è cioè legata al servire la res publica, e, nella misura in cui si serva la pubblica, si serve anche Dio.

Alcuni passi di Pio XII e di Benedetto XV nei discorsi alla nobiltà romana accentuano fortemente questi aspetti.

Si potrebbe ancora parlare a lungo : in questa chiacchierata ho anche cercato di dare alcuni elementi di metodo per situare questo problema.

Segue il DIBATTITO

Fabrizio Antonielli, accennando al lavoro da lui svolto e che qui viene allegato, apre il dibattito.

Padre Gilardi richiama due frasi del testo di San Bernardo scritto per gli ordini cavallereschi.

I cavalieri di Cristo possono con tranquillità di coscienza combattere le battaglie del Signore senza tenere in alcun modo ne di peccare per l’uccisione del nemico, nè il pericolo di morire. Poiché in questo caso la morte inflitta o sofferta per Cristo non ha nulla di criminoso e molte volte comporta il merito della gloria. Infatti come con la prima dà gloria a Cristo, così con la seconda si ottime Cristo stesso.”

I pagani non dovrebbero essere uccisi se si potesse impedire in qualche altro modo le loro gravissime

vessazioni, sottraendo loro i mezzi per opprimere i fedeli, ma attualmente è meglio che vengano uccisi affinché in questo modo i giusti non si pieghino davanti alla potenza della loro iniquità perché altrimenti per certo rimarrà la frusta dei peccatori sulla stirpe dei giusti.”

Anche la percezione stessa del Cristianesimo evolve secondo le epoche, commenta padre Gilardi, come già osservato per la schiavitù, anche se molti contemporanei di San Bernardo non condividevano questa impostazione. Le affinazioni sono anche dovute all’evoluzione della cultura, non necessariamente legata al cristianesimo.

Mi ha colpito una cosa che mi ha raccontato Guido Gentile, prosegue padre Gilardi, cioè che un giorno la Marchesa di Barolo, Giulietta Colbert, discendente dal Ministro della Finanza si Luigi XIV, a chi la lodava per tutte le opere di bene che faceva, abbia risposto secca “Non faccio altro che restituire quello che i miei antenati hanno rubato”. Ritroviamo questa funzione di restituzione, nella continuità della famiglia; questo episodio mi richiama alla mente quelle cene di digiuno che si fanno al SERMIG dove quello che si sarebbe speso per il pasto viene “restituito” ai poveri.

Giorgio Casartelli sottolinea come Carlo Magno, fondando quella nobiltà che forse è la nostra più che non quella di diritto romano, ha proprio impostato la cristianità della nobiltà. Quindi se è vero che la fondazione dell’attuale nobiltà si fa risalire a Carlo Mango, la cristianità è insita in essa, anche se il concetto di sacralità del sangue era precedente, era Franca o Merovingia.

Padre Gilardi richiama i momenti di ingresso nella nobiltà, diversi nelle varie epoche. Ad esempio in Piemonte, sotto Vittorio Amedeo III, la nobiltà diventa molto chiusa anche perché era già estremamente numerosa, ponendo dei problemi di mantenimento, per cui certe cariche militari ed ecclesiastiche erano riservate ai cadetti, proprio per trovare loro una collocazione. Importante era poi la vita a Corte, prossima al Sovrano, cose che di per sè aveva una funzione nobilitante, facilitando l’ingresso nella nobiltà.

Il termine “sangue” non voleva dire sangue vero e proprio, in senso fisico, ma un insieme di indicatori che fanno nobili, dove l’espressione “sangue” è una metafora.

Giorgio Casartelli sottolinea come tutte le regole di ingresso nella nobiltà si siano sviluppate in epoche tarde, dal ‘500 al ‘700. Nel medioevo era più una questione di fatto che non di diritto, essendo le regole poste solo più tardi e nei periodi di maggior chiusura della nobiltà.

Sandro Cavalchini ritiene che il concetto di sacralità si verifichi con l’avvento del cristianesimo, mentre il patriziato romano si distingueva solo per il censo e per la posizione sociale. I concetti che portano alla sacralità arrivano col cristianesimo, che indice il fondamentale aspetto del servizio della cavalleria, delle crociate, della nobiltà. Non gli sembra che sia stato considerato, continua Sandro Cavalchini, in quello che si è detto, come si evolva questa sacralità che ad un determinato momento storico, quello dei movimenti rivoluzionari, violenti, decade. Questa autorità che viene da Dio e che comporta quindi il servizio verso il prossimo, nel Signore, viene con la rivoluzione a cadere, tanto da far cedere anche teste. Si fonda una nuova sacralità, del sacrificio, con una sorta di rifondazione.

Padre Gilardi ricorda come nell’Impero Romano l’Imperatore fosse considerato un semidio, e come la persona dell’imperatore fosse rivestita di una dimensione sacra. Quindi la sacralità non è solo cristiana, è anche pagana, mentre lo specifico del cristianesimo è la santità. Certamente la dimensione sacrale, imperiale, dell’imperatore romano rimane in qualche modo nell’imperatore cristiano, ma viene battezzata, evangelizzata.

Ci sono poi epoche diverse: più le monarchie evolvono verso una dimensione costituzionale, è più diminuisce la funzione sacrale. La monarchia coniuga una dimensione che rimane dall’alto con una dimensione dal basso; d’altra parte si parla a volte di monarchia assoluta, mentre in realtà la monarchia assoluta, sia piemontese, sia francese, ad esempio, era fortemente temperata da tutta una serie di cose, come ad esempio il fatto che tutte le leggi dovessero essere interinate in Senato. Il Re non poteva fare una legge come voleva, anche se ogni tanto i Re (un esempio era proprio Vittorio Emanuele II) giubilavano i senatori per far passare le leggi che loro volevano.

Dunque di per sè c’erano dei temperamenti all’assolutismo monarchico tanto da non renderlo mai del tutto assoluto; certo è che nelle storia si sono alternate nei governi forme più o meno democratiche, più o meno centralizzate. La stria presenta oscillazioni nel sistema di governo accentuando ora una origine del potere dall’alto, ora un origine del potere dal basso.

San Tommaso, ad esempio, introduce Aristotele, legato alla repubblica, alla democrazia, tanto che sostiene che un potere ereditario si corrompe. ‘è una oscillazione, tutt’oggi abbiamo elementi medioevali e quindi “dall’alto” presenti; Per contro una certa componente democratica è comunque presente anche nelle monarchia assoluta, perché altrimenti è impossibile governare senza un minimo di consenso o di accettazione da parte del popolo.

Padre Gilardi aggiunge poi che difficilmente le varie forme di nobiltà possono essere staccate, per fare uno studio corretto, o dal concetto di classe dirigente, o da quello di ^elite. E’ proprio di un’élite di essere massimamente inserita, e massimamente staccata, a parte. Se è solo inserita è come tutti gli altri, deve essere a parte, coltivare alcuni degli obiettivi riportati da Fabrizio Antonielli, senza farne un fine a se stesso, e avere anche una funzione sociale, essendo presente nel tessuto sociale dell’epoca. Sono due cose contraddittorie, ma che devono coesistere.

Tommaso Ricardi, aggiunge padre Gilardi, mi ha raccontato come i Piossasco, di cui è ormai uno specialista, abbiano resistito ai Savoia e più i Savoia prendevano potere, più i Piossasco, antica famiglia feudale, resistevano, come del resto altre antiche famiglie. Capitò così che la famiglia, rimanendo troppo fedele all’organizzazione precedente e non consentendo un pochino alla nuova organizzazione, sparisse.

E’ quindi necessaria una capacità di adattamento per sopravvivere,

Insisterei sulla questione di questa presenza con una funzione sociale e di essere nello stesso tempo a parte. L’essere solo a parte può portare ad una emarginazione, al non contare più nulla e alla fine all’estinzione.

C’è stata un’identità che si è rifatta. Un momento di grossa crisi in Piemonte si è avuto con la Restaurazione, quando era stata abolita la feudalità, essendo questa molto radicata nella nobiltà piemontese. I notabili di allora, tra cui il Cibrario, Solaro ed altri, non sapendo come riproporre alla restaurazione il concetto di nobiltà, fecero un tentativo di ripristinare i Conti Palatini, cioè prevedendo delle concessioni nobiliari senza predicato. In questo periodo quindi gli stessi sovrani e gli stessi loro primi ministri non sapevano bene che cosa fare.

Il cristianesimo propone il proprio messaggio alle appartenenze sociali, a tutte, anche alle elites che in un certo modo potrebbero parere in contraddizione con lo stesso cristianesimo, con i suoi principi di povertà, ecc. Qualcuno può, a proposito della povertà, rinunciare a tutto, ma il cristianesimo non chiede ciò, non vuol dire rinunciare ai beni. Certo il cristianesimo ha un atteggiamento verso i beni, come ho già detto, di utilizzo, tenendo sempre presente le necessità della collettività, senza abusarne.

Il libro che più accentua la sacralità della nobiltà, osserva ancora padre Gilardi, ed il filone delle discesa del potere divino attraverso la sacralità regale è “Nobiltà ed elites tradizionali analoghe” di Corrado Oliveira. Usando una serie di testi pontifici accentua fortemente la dimensione dall’alto, sacrale. Ci sono dunque, anche nelle quotidianità ed all’interno di gruppi sociali omogenei, stili che accentuano in modo diverso un aspetto o l’altro.

Padre Costantino Gilardi conclude indicando una bibliografia sugli argomenti trattati.