NOBILI SICILIANI AL SERVIZIO DEI SAVOIA NEL XVIII SECOLO

NOBILI SICILIANI AL SERVIZIO DEI SAVOIA NEL XVIII SECOLO

Di Alberico Lo Faso di Serradidafalco

                      

La signoria di Vittorio Amedeo II in Sicilia durò formalmente lo spazio di 7 anni e di fatto solo 5, fra il 1713 ed il ’18, periodo di tempo assai breve nelle millenarie vicende del Piemonte e dell’ Isola, essa è perciò stata spesso trascurata e fatta scivolare fra quei fatti della storia che si possono non considerare o perché il loro esito non fu felice o perché di durata insufficiente a produrre effetti duraturi nel tempo. D’ altra parte se si prende un testo di storia dei licei, nel capitolo dedicato all’ Europa all’ inizio del 700, al tutto non sono dedicate più di due o tre righe ” la Sicilia passò a Vittorio Amedeo II assieme al titolo regio” e poi ” a Vittorio Amedeo fu imposto il cambio della Sicilia che passava all’ Austria con la Sardegna”. Molto poco per trattare di una esperienza storica, che, a parte la scossa che diede agli isolani, sottraendoli all’ influenza spagnola e aprendo un’ era di riforme, consentì l’ instaurarsi di un legame fra Sicilia e Piemonte e i Savoia che fu proficuo per tutte le parti e che si mantenne a lungo. Il fatto è che questo legame viene del tutto ignorato dalla moderna storiografia perché ad essa non interes- sano i fatti ma solo tesi da dimostrare ed è ripreso solo in chiave, per così dire, campanilistica da qualche storico siciliano che cita un paio di personalità ma solo per esaltare le capacità dei suoi corregionali.

Prima di soffermarsi su alcuni degli isolani che seguirono Vittorio Amedeo II a Torino e che rimasero al servizio suo e dei successori val la pena di gettare uno sguardo sulla nobiltà siciliana di allora perché la sua formazione appare assai diversa da quella savoiardo-piemontese. Quest’ ultima era costituita per la maggior parte da elementi autoctoni, cosa che non era affatto per quella siciliana. Per fare qualche considerazione su questa al momento del passaggio dell’ isola sotto la sovranità di Vittorio Amedeo prenderò in esame il gruppo dei maggiori feudatari, principi e duchi. A quell’ epoca erano stati concessi in Sicilia 113 titoli di principe e 71 di duca, ripartiti fra 101 famiglie di cui solo 10 apparentemente autoctone e le altre di diversa origine. 2 erano giunte nell’ isola coi bizantini, 1 con gli arabi, 9 coi Normanni, 13 con gli Svevi, 5 con gli Angiò, 30 nel primo periodo aragonese fra il 1282 e il 1377, 19 nel secondo periodo aragonese fra il 1392 e il 1516, 12 con Carlo V e i suoi successori. L’ origine di queste famiglie era la più diversa, tralasciando quelle fantasiose e leggendarie e riferendosi alla terra da cui giunse- ro in Sicilia i primi membri di tali famiglie se ne hanno 50 italiane (da Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia, Toscana e Napoletano), 22 spagnole, 10 francesi, 6 tedesche, 2 greco-bizantine ed una araba. Un misto che era stato amalgamato gradatamente sotto la dominazione spagnola. Una cosa che può sembrare strana, ma che è una caratteristica peculiare della nobiltà dell’ isola, è come questa origine non siciliana sia sempre stata sottolineata con enfasi e non c’ è storia familiare che non metta l’ accento su di essa.  Per togliere subito qualche curiosità erano di origine piemontese i dal Pozzo, principi del Parco, degli alessandrini giunti nei primi anni del 300, gli Oneto, principi di San Bartolomeo e di San Lorenzo, anch’ essi giunti agli inizi del 300, fra i liguri, una famiglia notissima nella storia piemontese, i del Carretto, Principi di Ventimiglia, il cui primo titolo fu quello di Conti di Regalmuto e che dopo aver avuto gran peso nella storia siciliana si estinsero all’ inizio della dominazione sabauda, e i Ventimiglia, principi di Castelbuono e di Belmontino. Si potrebbe evidentemente continuare ancora ma non è questo lo scopo di questa chiacchierata (1). Altrettanto diversa che dal Piemonte e del resto d’ Italia la nascita del feudo in Sicilia, importato dai Normanni, che passarono lo stretto nel 1061 guidati da Roberto il Guiscardo e fratello Ruggero. Ruggero rimasto nel 1099 Gran Conte di Sicilia ricompensò i suoi compagni di conquista distribuendo terre e castelli. Durante il periodo normanno, a parte alcuni membri della famiglia reale, il titolo era quello di signore o barone, anche perché gli Altavilla furono re solo dal 1129, così il primo conte, non della famiglia reale fu un guerriero normanno dal nome di Gualtieri, cui fu assegnata, proprio sul finire della dominazione normanna, la contea di Modica, che resta il più antico titolo di conte nell’ isola. Nel corso dei periodi aragonesi, a parte un membro della famiglia reale, il figlio secondogenito del re Federico II d’ Aragona, Giovanni cui fu dato il titolo di Marchese di Randazzo nel 1334, il primo titolo di marchese fu conferito nel 1433 a Giovanni Ventimiglia, elevando a marchesato la contea di Geraci, passarono poi quasi 80 anni prima che un altro ricevesse lo stesso titolo, Ugone Santapau, marchese di Licodia. Il primo titolo di duca fu concesso nel 1554 dall’ Imperatore Carlo V a Pietro de Luna, conte di Caltabellotta, che divenne duca di Bivona; il primo titolo di principe fu invece conferito da Filippo II di Spagna nel 1563 ad Ambrogio Santapau e Branciforte, già marchese di Licodia, che divenne principe di Butera, fra il ’63 e il 65 furono poi dati altri tre titoli di principe (2). Nel linguaggio comune i feudatari siciliani sono indicati come baroni, cosa che discende dalle costituzioni dell’ Imperatore Federico II che indi- cavano genericamente come tali i possessori di un feudo che prestasse servizio militare e dal designare con la parola baronaggio il corpo dei feudatari.

Tutti questi nobili di origine assai diversa ma nella quasi totalità infeudati e con titoli concessi da spagnoli consideravano Re di Sicilia, il Re di Spagna essendo uniti questi due regni nella persona del sovrano, riconobbero come loro re Vittorio Amedeo II solo dopo che Filippo V ebbe rinunciato al trono di Sicilia e dopo l’ azione di convincimento svolta da un suo emissario, il principe di Campofiorito. Una parte della nobiltà siciliana, timorosa di perdere i propri privilegi guardò tuttavia con diffidenza il nuovo re, un’ altra si legò invece a questi e alla sua casa con devozione ed affetto ed è a questa che la chiacchierata si riferisce.

Le figure più note tra i personaggi che restarono al servizio del Piemonte o meglio sarebbe dire del Regno di Sardegna dopo la perdita della Sicilia furono fra i diplomatici e gli uomini di cultura, l’ Ossorio e il Pensabene, abbastanza conosciuto è anche il D’ Aguirre che però restò a Torino solo sino al 1720  e seguì le sorti della patria d’ origine ponendosi al servizio del nuovo signore della sua terra, l’ Imperatore Carlo VI, anche se lasciò un segno non trascurabile della sua permanenza a Torino, dello Juvarra non parlerò affatto, è sin troppo noto e per lui parlano le tante opere che ha lasciato. D. Giuseppe Ossorio, nobile trapanese entrato giovane paggio alla Corte di Vittorio Amedeo nel 1714, fu fatto specializzare dal sovrano sabuado nella conoscenza delle lingue e in scienze politiche e diplomatiche presso l’ università di Leida,  quindi fu inviato nel ’22 attachè alla Legazione di Sardegna in Olanda  nel mandarvelo il re disse a Carlo Emanuele “mando l’ Osorio in Olanda per darvi un giorno un eccellente diplomatico”. Nel ’30 fu ambasciatore in Gran Bretagna, ove rimase per quasi vent’ anni riuscendo a far superare, nel 1733 il risentimento inglese per l’ alleanza della Sardegna con Francia e Spagna, fu il negozia- tore per il Piemonte del Trattato di Worms nel 1743, che stabiliva i vantaggi territoriali che sa- rebbero venuti a Carlo Emanuele III per il suo appoggio a Maria Teresa d’ Austria, e di Aix le Chapelle o pace di Aquisgrana nel 1748, fu poi ambasciatore straordinario a Madrid nel 1749 per la trattativa delle nozze fra Vittorio Amedeo, principe ereditario, e l’ Infanta Maria Antonietta, sorella del re di Spagna, Gran Croce nel 1730 e Conservatore dell’ Ordine dei S.S. Maurizio e Lazzaro nel 1732, primo Segretario di Stato agli esteri e segretario dell’ Ordine del- la S.S. Annunziata dal 1750, cavaliere dell’ Ordine della SS. Annunziata nel 1762, per fedeltà al suo sovrano rinunciò alla più prestigiosa decorazione del tempo, il Toson d’ oro, offertagli da Ferdinando VI ma ritenuta dalla Corte sabauda incompatibile col suo incarico, e che morì a Torino nel 1763 venendo sepolto nella cripta della Magistrale Basilica Mauriziana. La sua ere- dità fu relativamente poca cosa, non aveva mai approfittato dei suoi incarichi, lasciò i beni di Sicilia ai congiunti trapanesi, l’ argenteria al re a risarcimento delle spese da lui compiute nel corso della sua carriera e della missione in Spagna per le nozze del Duca di Savoia, ove aveva fatto fare una splendida figura al suo sovrano per i doni fatti, secondo il costume del tempo, ai ministri e alle dame di Corte spagnoli, la biblioteca all’ Abate Bentivoglio e 12000 lire all’ Os- pedale dei S.S. Maurizio e Lazzaro.

Nicola Pensabene, palermitano, all’ arrivo di Vittorio Amedeo II in Sicilia era già un magistrato affermato che aveva ricoperto gli incarichi di giudice della Corte pretoriana di Palermo (3), di Sindacatore di Catania (4) e di avvocato fiscale della Regia Gran Corte (5). Il sovrano sabaudo lo nominò membro della giunta per gli affari ecclesiastici di Sicilia e quindi nel 1716 lo chiamò in Piemonte quale reggente del supremo consiglio di Sicilia. Essendo iniziata la riforma dell’ università di Torino il re gliene affidò la direzione con un incarico che si può considerare l’ omologo dell’ odierno Rettore. Le conoscenze giuridiche e la capacità ne fecero uno dei giuri- sti e degli uomini di cultura più consultati dal sovrano sabaudo. Uno dei pareri che gli fu chiesto riguardò la pretesa sollevata dalla Sede Apostolica riguardo l’ investitura del Regno di Sardegna. La Corte romana facendosi forte di una supposta donazione al Pontefice delle isole di Sicilia, Sardegna e Corsica da parte di Ludovico il Pio, ne deduceva il supremo dominio della Sede Apostolica sulla Sardegna e la necessità che Vittorio Amedeo, per potersi considerare re di quest’ isola, ne ricevesse formale investitura dal Papa. Entrava questa pretesa nella lotta che da tempo la Corte romana conduceva contro il duca di Savoia, era stata uno dei più decisi oppositori della concessione della Sicilia a Vittorio Amedeo, aveva appoggiato senza ritegno il proditorio attacco all’ isola da parte della Spagna nel 1718, con cui correva voce avesse concertato quella stessa invasione, che in ogni caso aveva in parte finanziato. Il parere giuridico fornito dal Pensabene al sovrano fu netto, si trattava di una pretesa senza alcun fondamento basata su documenti apocrifi e inverosimili, tanto poco credibili che la stessa Santa Sede non aveva, sulla base di essi,  mai rivolto una simile richiesta alla Spagna nel corso di 4 secoli. Assolse così bene gli incarichi che, oltre quello di Conservatore dell’ Università, gli venivano assegnati che il sovrano lo nominò Ministro di Stato nel 1728 e l’ anno dopo lo investì sul cognome del titolo di marchese. Morì a Torino qualche mese dopo, il 3 febbraio del 1730 e si dice fu sepolto nella chiesa della Madonna degli Angeli.

Francesco D’ Aguirre nacque a Salemi il 7 aprile del 1682, nel 1710 all’ età di solo 28 anni venne nominato maestro razionale della Regia Gran Corte (6), nel 1714 Vittorio Amedeo che aveva avuto modo di apprezzarlo durante il suo soggiorno a Palermo lo portò con sè in Pie- monte ove gli affidò lo studio del piano di riforma e ammodernamento degli studi dell’ Università di Torino, rimasta ancorata alla Ratio studiorum del 1586.  Compiuto il lavoro e avutane l’ approvazione, nel maggio del 1717 fu nominato avvocato fiscale, carica che può considerarsi pari a quella odierna di direttore amministrativo, della stessa università al fine di curare la con- creta attuazione del nuovo ordinamento. La sua riforma fu molto apprezzata e pose questo centro di studi ai primi posti in Italia e in Europa. Sollecitò anche il sovrano a costituire il Collegio delle Province, una sorta di liceo, dove far ammettere agli studi allievi meritevoli provenienti dalle diverse parti del regno, istituto che fu realizzato qualche anno dopo. Fu per quei tempi un’ istituzione rivoluzionaria, per la prima volta venivano ammessi agli studi superiori studenti poveri esclusivamente sulla base delle loro capacità. Il suo contributo al Piemonte anche se molto intenso durò poco, col passaggio della Sicilia all’ Imperatore, volle seguirne le sorti, ma non tornò nell’ isola perché Carlo VI lo volle prima a Milano, poi a Vienna nel gran consiglio di Spagna e quindi nuovamente a Milano.

Passando ora a quegli isolani che vennero in Piemonte nel secolo XVIII per servire in armi il sovrano sabaudo mi limiterò solo ad alcuni, come ho già detto furono assai di più di quel che comunemente si pensa e non tutti appartenenti alla nobiltà. Vista l’ impossibilità di utilizzare unità siciliane già esistenti non liberate dai loro vincoli dagli Spagnoli, per far fronte alle esigenze militari i Piemontesi costituirono in Sicilia, con elementi isolani, due reggimenti di fanteria che presero il nome dai rispettivi comandanti, Gioeni, quello comandato da D. Ottavio di Gioeni dei duchi d’ Angiò, e Valguarnera, quello agli ordini di D. Saverio principe di Valguarnera. Il primo rimase in Sicilia ed il secondo fu trasferito a presidiare le piazze di Alessandria e Valenza. Il Gioeni fu l’ unico reparto siciliano inquadrato nell’ esercito sabaudo che combatté contro gli Spagnoli nella guerra di Sicilia fra il 1718 e il ’20 comportandosi onorevolmente a Messina e Siracusa, ebbe è vero a soffrire nella fase iniziale del conflitto il fenomeno della diserzione, allora assai diffuso, ma dall’ agosto del 1718 al 1720 i disertori furono in tutto 5, me- no di quelli di un reparto di elite quale era il reggimento Dragoni di Piemonte. Il suo comandante, Ottavio Gioeni, uno dei pochissimi ufficiali già appartenenti all’ esercito spagnolo che avevano ottenuto da Filippo V la dispensa per poter servire alle dipendenze di Vittorio Amedeo, non volle lasciare il servizio dei Savoia e fu trasferito in Piemonte ove il 16 marzo del 1721 gli fu affidato il comando dei dragoni del Genevois. Il sovrano conoscendo le sue necessità finanziarie dato che non poteva seguire i suoi interessi in Sicilia, oltre lo stipendio gli con- cesse anche una pensione di 2000 lire. Abbinato al comando di reggimento ebbe l’ incarico di governatore di Mondovì e Ceva e quindi di Vercelli, sedi ove era stanziata la sua unità. Restò al servizio dei Savoia sino al 1730, sempre al comando dei Dragoni del Genevois, quando motivi di famiglia lo richiamarono in Sicilia ove nel 1735, dopo l’ assunzione al trono delle due Sicilie di Carlo III di Borbone riprese la carriera militare.

Il reggimento Valguarnera, nel 1722, cambiò denominazione in reggimento di Sicilia, e in esso continuarono a servire i siciliani. Fra essi, quasi tutti gli ufficiali e buona parte della truppa. Partecipò alle campagne contro il banditismo in Sardegna, alla guerra di successione polacca ed a quella successione austriaca combattendo a Villafranca, Modena e all’ Assietta e nel 1751 fu sciolto, ma ormai i Siciliani erano quasi del tutto scomparsi. In effetto nel corso degli anni mentre la percentuale di ufficiali e sottufficiali di origine siciliana si era mantenuta abbastanza ele- vata, quella dei militari di truppa era scesa sino a divenire pressoché nulla e a partire dal 1737 circa il 40% dei suoi componenti era di origine sarda.

Il maggior numero di aristocratici siciliani che seguì Vittorio Amedeo in Piemonte  faceva parte della terza Compagnia delle Guardie del Corpo di S.M., formata a Palermo nell’ aprile del 1714, la quale si affiancava ai due preesistenti reparti di eguale compito e denominazione, il primo, composto da savoiardi, e il secondo da piemontesi. Questa unità restò per molti anni formata in gran parte da siciliani, anche dopo la perdita dell’ isola, ad essi si aggiunsero nel tempo elementi sardi e piemontesi per rimpiazzare o chi passava ad altro incarico o chi rien- trava in patria, tuttavia gli ufficiali che si alternarono al suo comando, sino al 1768, furono tutti siciliani.

Uno degli uomini che seppe con la sue qualità conquistare il cuore di Vittorio Amedeo fu il principe di Villafranca, primo comandante della terza compagnia delle Guardie del Corpo. Era stato uno dei nobili siciliani che, nel settembre del 1713, aveva assistito a Torino alla proclamazione del Duca di Savoia a Re di Sicilia e che dopo averlo servito nell’ Isola lo aveva seguito in Piemonte, ove risedette sino al 1722 quando fu costretto a tornare in Sicilia per motivi politici ed economici. L’ Imperatore d’ Austria, che non aveva mai riconosciuto Vittorio Amedeo come re di Sicilia, non poteva ammettere che uno dei rappresentanti più in vista dell’ aristocrazia siciliana servisse a Torino così fece sapere all’ interessato che se non fosse rientrato nell’ isola avrebbe provveduto a sequestrare i suoi beni. A malincuore e con l’ autorizzazione del sovrano sabaudo tornò in Sicilia dove, pur insignito dall’ Imperatore Carlo VI della dignità di Grande di Spagna di I^ classe, mantenne con Vittorio Amedeo, sino alla morte avvenuta nel 1727, una corrispondenza costante che mostra l’ amicizia e la confidenza stabilitasi fra i due. I rapporti fra gli Alliata ed i Savoia non si esaurirono con D. Giuseppe, proseguirono ancora a lungo, sino al 1789 si trovano richieste fatte da personaggi di casa Alliata ai sovrani sabaudi per essere appoggiati presso la Corte dei Borboni. Un esempio dell’ attaccamento della famiglia è dato dalla lettera con la quale il figlio di D. Giuseppe, D. Domenico Alliata e Paruta, scrisse nel 1730 a Vittorio Amedeo II per ricevere l’ assenso al suo matrimonio con Vittoria di Giovanni dei duchi di Saponara.

D. Carlo di Requesens e Morso nel maggio del 1713, quando ancora erano in corso le trattative per la conclusione della cessione dell’ isola al Duca di Savoia, aveva ottenuto dal Viceré spagnolo il permesso di recarsi a Torino per avere il privilegio di essere il primo siciliano a porgere il saluto al nuovo sovrano. Entusiastico il giudizio che diede del re e della Corte piemontese: ” fortunato Regno di Sicilia d’ havere un Prencipe si glorioso, sì giusto, ed amante della giustizia. ………… Questa Corte mi è parsa famosa, e vi sono bellezze straordinarie,..> “.

Nel 1714 fu luogotenente nella costituenda compagnia delle guardie del corpo, nel 1721 fu scelto come gentiluomo di camera del re, promosso generale di battaglia e nominato Governatore di Chieri ove restò sino al 1732 quando, dopo aver raggiunto il grado di tenente maresciallo, divenne Governatore di Saluzzo e della sua provincia, ove rimase sino al 1736, anno dal quale si perde notizia ogni notizia di lui. Considerato che si sono recentemente celebrati i 900 anni del Sovrano Militare Ordine di Malta mette conto aggiungere che era Commendatore Frà dell’ Ordine.

Mette conto ora parlare dei tre fratelli Valguarnera, il primo dei quali, il principe Saverio, fu il comandante dell’ omonimo reggimento di fanteria siciliana, nel 1721 sostituì il Villafranca nel comando delle Guardie,  restò nell’ incarico sino al 1732 per passare al comando di un altro re- parto della casa militare del re, la guardia svizzera, ed esser nominato Generale della Nazione Svizzera nel regno (un siciliano al comando di svizzeri, una cosa quasi incredibile), il 19 marzo del 1737 fu creato Cavaliere dell’ Ordine della SS.ma Annunziata e successivamente destinato alla carica di Viceré di Sardegna, ma non riuscì mai a raggiungere Cagliari perché morì a Palermo il 19 aprile del 1739 pochi giorni dopo aver ricevuto comunicazione dell’ incarico. Non lasciò eredi maschi, solo due figlie. La prima delle quali Marianna, muta a nativitate, fu da lui destinata ad andare sposa a suo fratello Pietro. Di lei si è occupata in un suo romanzo Dacia Maraini ed è stata l’ eroina di un film; parti della fantasia che nulla hanno a che vedere con una realtà che fu assai diversa e migliore di quella del romanzo. Di Saverio merita ricordare un epi- sodio, certo di poco conto ma significativo. Fu lui, nel 1721 a prestare la sua carrozza per il trasporto del marchese di Villaclara, delegato dagli Stamenti di Sardegna a presentare gli omag- gi di quel regno al nuovo sovrano.   

Pietro Valguarnera fratello di Francesco Saverio, entrò giovanissimo, nel 1714 a far parte del reggimento Valguarnera ove raggiunse il grado di colonnello in seconda (7), passò nel 1732 nella compagnia delle guardie del corpo come luogotenente ma nel 1734, nel corso della guerra di successione di Polonia, assunse il comando del reggimento di Sicilia e come tale fece il resto della campagna in Lombardia e in Emilia prendendo parte alla conquista del forte di Pizzichettone e alle battaglie di Parma e Guastalla, nel 1739 fu promosso brigadier generale e gentiluomo di camera del re. Essendo anch’ egli Commendatore Frà dell’ Ordine di Malta fu prescelto dal Gran Maestro quale capitano generale delle galee dell’ Ordine, incarico che assolse dopo aver avuto il consenso di Carlo Emanuele III. Il 15 febbraio del 1749, a 55 anni ritiratosi dal servizio, secondo la volontà del fratello Francesco Saverio, sposò a Palermo la figlia di questi Marianna. La lontananza e gli incarichi, fra i quali quello di Deputato del Regno di Sicilia (8), non troncarono il legame che lo teneva unito al Piemonte e ai Savoia, a questi ricorse per una importante causa intentata contro la moglie dalla sorella di questa e tesa a privarla dell’ eredità. Carlo Emanuele III fece intervenire in suo favore gli ambasciatori di Sardegna a Napoli con risultati che alla fine furono positivi. Nel 1778 fu insignito della Gran Croce dell’ Ordine dei S.S. Maurizio e Lazzaro e nel 1779, qualche mese prima di morire, fu procuratore di Vittorio Amedeo III, quale padrino, al Battesimo di un suo nipote cui venne imposto il nome di Vittorio Amedeo. A dimostrazione dei legami che rimasero fra la famiglia e la dinastia piemontese sono le nomine di due suoi figli, Tommaso Carlo Maria a Gentiluomo di Camera del Re di Sardegna nel 1776 e Francesco, un sacerdote, ad elemosiniere onorario di Corte nel 1788.

D. Emanuel Valguarnera, il terzo dei fratelli, entrato come cornetta nella compagnia delle Guardie nel 1714 e promosso Luogotenente nel 1722, ne assunse il comando succedendo al fratello nel ’32, l’ anno dopo fu nominato brigadier generale di cavalleria e nel 1735, per le benemerenze acquistate nel corso del conflitto, maresciallo di campo. Nel 1739 fu destinato ambasciatore in Spagna da dove rientrò all’ inizio della guerra di successione d’ Austria, durante la quale per il comportamento tenuto nella battaglia della Madonna dell’ Olmo, dove si battè a fianco di Carlo Emanuele III nell’ assalto ai trinceramenti francesi, fu promosso Genera- le di Cavalleria. Il 24 agosto del 1748 fu nominato Viceré di Sardegna in sostituzione del marchese di Santa Giulia. Il modo in cui svolse l’ incarico fu molto apprezzato. Debellò il banditismo, incrementò la popolazione di Carloforte riscattando dal Bey di Tunisi dei tabarchini razziati dai barbareschi, ottenne 4 posti per i sardi nel Collegio delle Province di Torino, fece costruire a Cagliari il Conservatorio della providenza destinato alle fanciulle povere. A testimonianza della sua sensibilità verso i sardi val la pena di ricordare che in occasione del matrimonio del principe ereditario con l’ Infanta di Spagna Maria Antonietta scrisse al sovrano perché no- minasse qualche cavaliere sardo come gentiluomo di camera, questi sensibile alla richiesta e a dimostrazione della fiducia che nutriva nei suoi confronti gli inviò quattro viglietti di nomina in bianco perché scegliesse lui, che meglio conosceva le persone, chi insignire della carica (11). Il 23 maggio del 1750, Carlo Emanuele III lo nominò cavaliere dell’ Ordine della SS.ma Annunziata e dopo il suo rientro a Torino, alla scadenza del mandato vicereale, Gran Ciambellano, in- carico che ricoprì sino alla morte avvenuta nel 1770.

Strano disegno della storia, in quel 1750 erano accanto a Carlo Emanuele quali suoi principali collaboratori, due siciliani, l’ Ossorio, primo Segretario di Stato agli affari esteri, e il Valguarnera, Gran Ciambellano.

Oltre che al sovrano dimostrò il suo attaccamento anche alla città che aveva fatto sua, divenendo Protettore dell’ Opera della Provvidenza di Torino, pio ente che si era costituito sotto la protezione del sovrano per il ricovero, il sostentamento e l’ istruzione delle fanciulle povere degli Stati di S.M.. Nel testamento, in cui designò quale esecutore il presidente del Senato del Pie- monte D. Ignazio Arnaud, chiese che il suo corpo venisse sepolto sotto il pavimento della Cappella di Santa Rosalia “sua particolar Benefattrice” nella chiesa di San Dalmazzo a Torino e che ivi fosse posta una piccola lapide con inciso “Don Emanuel Valguarnera orate pro me”. Oggi, probabilmente a causa dei restauri compiuti negli anni venti del Novecento, non vi sono più né la lapide né la Cappella di Santa Rosalia, sino a qualche tempo fà era nella chiesa un quadro della Santa che purtroppo è stato rubato. Ai Barnabiti di San Dalmazzo lasciò £. 200 del Piemonte per la messa solenne del funerale e la celebrazione di altre 50 messe basse nello stesso giorno della sepoltura. Espresse anche la volontà di essere accompagnato all’ estrema di- mora da 100 poveri dell’ Ospedale della Carità a ciascuno dei quali dovevano essere dati in elemosina uno scudo d’ argento ed un cero. Dispose un lascito di diecimila lire, all’ Opera della Provvidenza di cui era stato per molti anni il protettore, a questa affidò anche una reliquia di Santa Rosalia, la Patrona di Palermo, con l’ obbligo di esporla ogni anno il 4 di settembre, giorno della festa della Santa. Volle poi che a suffragio della sua anima venissero celebrate 600 messe nelle chiese della città delle“Religioni Mendicanti”, cento per ciascuna a S. Lorenzo dei Teatini, ai Cappuccini, alla Madonna degli Angeli, a S. Tommaso, a S. Michele e a S. Carlo.   

Altro personaggio che brillò fra coloro che rimasero al servizio dei Savoia fu Giovanni di Requesens e del Carretto, nipote del Carlo di cui sopra si è detto. Aveva seguito Vittorio Amedeo II a Torino come paggio d’ onore sin dal 1714, era quindi entrato nel reggimento Valguarnera come alfiere e nel 1722 venne promosso capitano. In quella occasione, scrissero lettere di ringraziamento a Vittorio Amedeo, per l’ onore che veniva fatto alla famiglia il fratello di Giovanni, principe di Pantelleria, e la madre, Giuseppina del Carretto, appartenente al ramo siciliano dell’ omonima famiglia ligure-piemontese. Nel 1732 fu trasferito alla 3^ compagnia delle guardie del corpo con il grado di cornetta e fu nominato colonnello nel 1737. Partecipò alla guerra di successione austriaca distinguendosi alla battaglia della Madonna dell’ Olmo, ove comandò la cavalleria posta a protezione del fianco sinistro dello schieramento austro-piemontese. Brigadiere di cavalleria nel 1745, nel 1750, a seguito del passaggio di Emanuel Valguarnera all’ incarico di Gran Ciambellano assunse il comando della compagnia siciliana delle Guardie del Corpo, nel 1754 raggiunse il grado di tenente generale e il 4 dicembre del 1763 fu creato cavaliere dell’ Ordine della SS.ma Annunziata. Nel 1768 non più in grado per l’ età di reggere il comando della compagnia delle guardie e dopo cinquat’ anni di servizio chiese di essere sostituito nell’ incarico, il sovrano accondiscese e tre anni gli concesse un ultimo riconoscimento pro- muovendolo al grado di generale di Cavalleria. Morì a Torino nel 1772 e nel suo testamento chiese di essere sepolto nella chiesa di S. Filippo Neri con una cerimonia senza formalità, né onori, accompagnato da 24 poveri del Reale Ospizio della Carità e da 24 orfanelle. Lasciò ere- de universale suo fratello, Giuseppe Antonio principe di Pantelleria, e una serie di legati dei quali uno in Sicilia, per la costituzione di una cappellania vicino a Siracusa, e gli altri in Pie- monte alle Madri Cappuccine di Torino e di Mondovì, ai padri di San Filippo, agli ospedali dei SS.ti Maurizio e Lazzaro, della Carità e dei Pazzarelli e a una giovane, figlia di uno dei suoi collaboratori, Anna Maria Oddrigoni per supplire alla dote spirituale nel monastero di Santa Maria Maddalena. Segno dei tempi e del costume siciliano dell’ epoca, chiese che fossero celebrate in suffragio della sua anima 2550 messe a Torino nelle chiese di S. Filippo, di S. Dal- mazzo, di S. Carlo, di Santa Teresa, dei Cappuccini al Monte, della Madonna di Campagna, della SS.ma degli Angeli, di S. Michele e di San Tommaso.

Degli altri aristocratici appartenenti alle Guardie del Corpo, a parte Don Giuseppe Opezinghi che ebbe dei problemi con la giustizia e fu per questi espulso dagli stati di Vittorio Amedeo, gli altri fecero una brillante carriera:

– D. Giuseppe Bologna principe di Sabuci nel 1732, fu nominato capitano comandante della compagnia archibugieri guardie della porta, un altro dei reparti che costituivano la casa militare del sovrano sabaudo, in sostituzione del piemontese conte di S. Albano (9). Rimase in servizio sino al 1740 quando per motivi di salute dovette dimettersi, si ritirò quindi a Palermo dove qualche anno dopo lo raggiunse, quale significativo riconoscimento del  servizio prestato e della fedeltà dimostrata, la nomina a gentiluomo di camera ad honores. E’ forse da far notare come il sovrano sabaudo si fidasse di questi siciliani al suo servizio, tre dei cinque principali reparti della sua casa militare erano nel 1732 comandati da siciliani;

– Don Tomaso Minganti, nobile messinese di una famiglia originaria della Lombardia, arruolatosi anch’ egli alla costituzione del corpo, restò nelle guardie sino al 1721, quando pro- mosso maggiore servì qualche mese nel reggimento di cavalleria Piemonte Reale e fu quindi nominato maggiore della città e provincia di Biella dove restò molti anni;

– D.Paolo Orioles, di una famiglia di origine spagnola, sotto-brigadiere nel 1714 alla costituzione della compagnia delle Guardie, restò in servizio sino al 1751 quando per motivi di salute fu posto in pensione, dopo aver partecipato a tutte la guerre del tempo, il sovrano volle però premiarlo per la lunga fedeltà e lo promosse maggior generale (10);

– D. Orazio Bologna anch’ egli sotto-brigadiere alla costituzione del reparto rimase nelle guardie sino 1737  quando il sovrano lo nominò proprio maggiordomo e nel 1758 primo maggior- domo;

– originale la storia di Antonio Ciaffaglione dei duchi di Villabona, cadetto della famiglia si ar- ruolò nelle guardie all’ età di 18 anni, si trasferì a Torino ove si sposò e lì percorse la carriera, restando sempre nella 3^ compagnia nella quale nel 1737 raggiunse il grado di maresciallo d’ alloggio, successivamente rimasto vedovo si fece sacerdote. Nel 1734 fu inserito nelle guardie suo figlio, si trova infatti scritto accanto al nome di questi “Giuseppe Vittorio di Antonio d’ anni 6 d’ ordine di S.M. del 18 aprile 1734”. Quest’ ultimo alcuni anni più tardi, rientrò in Si- cilia avendo ereditato titolo e feudo  dallo zio morto senza figli ed andò a prestar servizio nell’ esercito di Carlo III di Borbone, nelle Guardie Reali. Un altro dei figli di Antonio, Luigi Gaetano, restò in Piemonte, nel 1754 fu nominato gentiluomo di S.M. nella Venaria Reale, nel 1774 governatore del Palazzo del Valentino, nel 1777 governatore di Stupinigi e delle reali cacce, nel 1788 tenente colonnello di cavalleria e nel 1791 fu posto in congedo col grado di colonnello;

– Franco Proto dei baroni della Scala, di Messina, entrò nelle guardie siciliane a 22 anni al mo- mento della loro formazione come soldato semplice e vi fece tutta la sua carriera e a 65 anni  vi fu promosso a cornetta delle Guardie. Nota di cronaca, era al passo del Monginevro nel giugno del 1750 ad attendere con lo squadrone delle Guardie, l’ Infanta di Spagna Maria Antonietta, moglie dell’ allora Duca di Savoia, il futuro Vittorio Amedeo III.

Si potrebbe continuare a lungo ma non ne vale la pena, sarei ancora più noioso di quanto non lo sia stato sin’ora, vale la pena di citare però ancora Gaetano Lucchese e Gallengo, secondogenito del principe di Campofranco, capitano di fanteria nell’ esercito del Re di Sardegna mor- to a Tortona nel 1748. Era questo un antenato di quell’ Ettore Lucchesi Palli che nel 1833 sposò Maria Carolina di Borbone duchessa di Berry di cui ci ha parlato lo scorso anno Carlo Bianco di San Secondo. Da ultimo, D. Federigo Omodei, che ammesso nel 1788 nell’ esercito di Sardegna, per intercessione dell’ Ambasciatore a Napoli, quale ufficiale del reggimento Monferrato combatté in Savoia, al Moncenisio, al Piccolo San Bernardo e in Val d’ Aosta contro i Francesi dal 1792 al ’94, ferito nella battaglia di Dego nel 1796 e decorato con la Croce di Giustizia dell’ Ordine dei SS.ti Maurizio e Lazzaro fu congedato l’ anno dopo. Tornato in Sicilia, alla minaccia dell’ invasione francese si arruolò nell’ esercito borbonico divenendo comandante del forte di Taormina, di lui si ricorda che in occasione della presenza a Napoli di Vittorio Emanuele I, in uno dei momenti meno fortunati della storia di Casa Savoia, si recò a rendergli omaggio, per come lui stesso disse “porsi a’ suoi piedi”.

Sottile, quasi impercettibile rimase fra Siciliani, i Piemontesi e la Casa regnante un filo che in qualche modo li legava, ch’ ebbe modo di dimostrarsi sia alla Corte di Napoli, nei rapporti fra gli inviati di Torino e l’ aristocrazia siciliana ivi residente, che in occasione dei genetliaci dei principi di Casa Savoia si recava in alta uniforme a rendere visita all’ Ambasciatore di Sardegna provocando l’ ira della regina Maria Carolina, sia con le richieste che dalla nobiltà siciliana giungevano ai vari principi di Casa Savoia per essere appoggiata nelle sue aspirazioni o per ottenere il cavalierato dei S.S. Maurizio e Lazzaro, e fra esse quelle di famiglie della più alta nobiltà quali oltre gli Alliata e i Valguarnera, i Tomasi di Lampedusa, gli Inveges ed i Trigona. Ci sono fra queste alcune cose abbastanza curiose. Nel 1745 il fisco di Palermo si appropriò delle rendite dei siciliani che erano al servizio di Carlo Emanuele III, questi visti inutili i tentativi perché fosse fatta giustizia diede ordine che i Siciliani fossero risarciti sulle rendite che il principe Imperiali di Francavilla aveva in Piemonte, la cosa si risolvette qualche anno dopo con l’ intervento di Carlo III di Borbone che premuto anche dal principe, ordinò a Palermo di rimborsare il Francavilla e di revocare l’ ordinanza con la quale avocava a sè i crediti dei Siciliani in Piemonte. Da ultimi infine son da ricordare i principi di Valguarnera e Lampedusa, nel 1796, chiesero alla principessa Felicita, figlia di Carlo Emanuele III, di intervenire presso la Regina Maria Carolina per essere nominati gentiluomini di camera del re.       

Altra occasione nella quale ebbe modo di mostrarsi l’ esile filo che legava Siciliani e Savoia si ebbe nelle brevi permanenze di Carlo Felice nell’ Isola, quando nel 1807 si recò a Palermo per sposare Maria Cristina di Borbone e nel 1811 ad accompagnare la consorte, in visita ai genitori, nelle quali fu accolto con molta cordialità e simpatia. Questo legame sia pur sottile e forse impercettibile ebbe modo di dimostrare la sua forza nel 1848 quando i Siciliani, che diedero inizio in Italia alla stagione delle rivoluzioni, tramite il loro Parlamento dichiararono decaduta la dina- stia dei Borbone e l’ 11 luglio di quello stesso anno elessero Ferdinando di Savoia, Duca di Genova, secondogenito di Carlo Alberto a Re di Sicilia con il nome di Alberto Amedeo I, e fu ancora uno degli Alliata di Villafranca, il cav. Enrico, emulo del suo lontano avo di 135 anni prima, che partì subito per Torino per portarne il primo annuncio. Il console di Sardegna a Palermo scriveva a proposito dell’ elezione del duca:

“Scoccando le ore 12 p.m. dopo una seduta di circa ore 14 per terminare del tutto lo Statuto, finalmente ad acclamazione generale di tutte e due le Camere e presente il Presidente del Governo Signor Ruggero Settimo è stato proclamato Re di Sicilia S.A.R. il nostro Duca di Genova.

Voler narrare a V.E. i trasporti di giubilo di questa popolazione è impossibilissimo il poterlo eseguire. Bande musicali, gruppi di cittadini festanti, canti, suoni clamororosissimi di campane e gridi di Viva il Re, Viva il Duca di Genova ed al momento che l’ acclamazione ebbe luogo, ed in questo che io scrivo hanno eccheggiato ed eccheggiano ad una immensità benchè l’ ora sia tanto avanzata”.

NOTE

(1) Non tutti i titolati sedevano nel ramo militare del parlamento di Sicilia, ma solo quelli ai quali il titolo fosse accoppiato ad un feudo baronale e la concessione sovrana del titolo precisava, nel periodo spagnolo, se il concessionario del titolo godesse o non di questo diritto.

(2) di Castelvetrano, ad un discendente di un figlio naturale di un principe della Casa d’ Aragona che cambiò il cognome da Tagliavia in Aragona, di Pietraperzia, a Domenico Barrese, di Paternò, a Francesco Montecateno).

(3) Paragonabile all’ odierna Corte d’ Assise.

(4) Paragonabile all’ odierna carica di Presidente di sezione della Corte dei Conti presso una delle regioni

(5) Paragonabile all’ odierno Procuratore Generale presso al Corte di Cassazione

(6) Paragonabile ad  un giudice amministrativo presso la Corte di Cassazione, ammesso che essa trattasse di tali argomenti.

(7) Capitano nel 1717, tenente colonnello nel 1722 e colonnello in seconda del reggimento di Sicilia nel 1726.

(8) Il Parlamento siciliano si riuniva ogni tre o quattro anni, nel periodo intercorrente fra una riunione e l’ altra se- deva a Palermo la Deputazione del Regno, costituita da 3-4 rappresentanti di ciascun braccio, che fungeva da pro-curatore del Parlamento stesso eseguendo quello che questo aveva convenuto col sovrano.

(9) Quando il principe di Sabuci ne assunse il comando essa contava tre ufficiali, tre sergenti, dieci brigadieri, dieci sotto-brigadieri, due tamburi, un piffero e 97 soldati. Il capitano aveva il privilegio di portare di portare lo stesso bastone dei capitani delle guardie del corpo, gli altri ufficiali avevano un bastone nero con le due estremità guarnite da una borchia di vermeil. Come le altre unità della casa del sovrano avevano compiti di vigilanza e sicurezza, ad essa in particolare era affidato il controllo degli ingressi e dei giardini. I suoi uomini montavano di servizio dall’ alba al tramonto, durante la notte erano sostituiti dalle guardie del corpo, una volta smontati dal ser- vizio essi venivano lasciati liberi con l’ obbligo di ritrovarsi un’ ora dopo la levata del sole per riprendere gli stessi posti occupati il giorno precedente.

(10) Nel 1737 era stato promosso maggiore, nell’ aprile del 1744 colonnello e nel marzo del 1747 brigadier generale di cavalleria mantenendo però l’ incarico di cornetta nelle guardie, nel 1751 posto in pensione, perché le condizioni di salute non gli consentivano più di svolgere le sue funzioni.

(11) Elesse all’ incarico Don Ignazio Zatrillas marchese di Villaclara, Don Lorenzo Zapata barone di La Plasas, Don Pietro Amat barone di Sorso (sposato questo con una piemontese, la figlia del conte Beggiano di Sant’ Albano) e Don Stefano Manca marchese di Tiesi, cagliaritani i primi due e sassaresi gli altri.

Appendice

Titoli – origini – periodo di arrivo in Sicilia delle famiglie investite del titolo di principe o duca sino al 1713

1) Principi

1- Branciforte: di Butera, di Pietraperzia, di Leonforte, di Villanova, di Scordia,

2- Aragona (già Tagliavia): di Castelvetrano

3- Moncada: di Paternò, di Calveruso, di Monforte, di Larderia, di Collereale

4- Ventimiglia: di Castelbuono, di Belmontino

5- Lanza: di Trabia, sul cognome, di Malvasia

6- Gioeni: di Castiglione, di Solanto   

7- Alliata: di Villafranca

8- Fardella: di Paceco

9- Bonanni: di Roccafiorita, di Linguaglossa

10- Ruffo: della Scaletta, di Palazzolo

11- Spadafora: di Venetico, di Mazzarà, sul cognome

12- del Bosco: della Cattolica, di Belvedere

13- Requesens: di Pantelleria

14- la Grua: di Carini, di Castelbianco

15- Cottone: di Castelnuovo, di Villermosa

16- Lucchese: di Campofranco

17- Naselli: d’ Aragona

18- Grimaldi: di S. Caterina, sul cognome

19- Valguarnera: di Valguarnera, di Niscemi, di Gangi, di Gravina

20- Migliaccio: di Baucina

21- Morra: di Buccheri

22- del Carretto: di Ventimiglia

23- di Napoli: di Resuttano, di S. Stefano di Mistretta

24- Graffeo: di Partanna

25- d’ Afflitto: di Belmonte

26- Natoli: di Sperlinga

27- Gravina: di Palagonia, di Comitini, di Ramacca, di Montevago

28- Termine: di Casteltermini

29- Anzalone: di Patti

30- Bonfiglio: di Condro

31- Gaetani: del Cassaro

32- di Giovanni: di Castronovo, di Trecastagne

33- Palermo: di Biscari

34- Corvino: di Mezzoiuso, di Roccacolomba

35- Filingeri: di Cutò, di Mirto, di S. Flavia

36- La Rocca: di Alcontres (poi agli Ardoino)

37- Papè: di Valdina

38- Strozzi: di S. Anna

39- Morso: di Poggioreale

40- Amato: di Galati

41- Pietrasanta: di S. Pietro

42- del Pozzo: del Parco

43- Montaperto: di Raffadali

44- Caccamo: di Castelforte

45- Castello/i: di Castelferrato

46- Reggio: di Campofiorito, di Jaci, della Catena

47- Gallego: di Militello

48- Statella: di Villadorata, di Sabuci

49- Rosso: di Cerami

50- della Torre: della Torre

51- Beccadelli di Bologna: di Camporeale

52- Tomasi: di Lampedusa

53- Molinelli: di Santa Rosalia

54- Bellacera poi di Napoli: di Monteleone

55- Pagano: di Ucria

56- Notarbartolo: di Sciara

57- Galletti: di Fiumesalato

58- Denti: di Castellazzo

59- Sandoval: di Castelviale

60- Platamone: di Rosolini

61- Barlotta: di San Giuseppe

62- Perpignano: di Buonriposo

63- Oneto: di San Bartolomeo, di San Lorenzo

64- Spinola: di Grammonte

65- San Martino di Ramondetto: del Pardo

66- Brunaccini: di S.Todaro

67- Joppolo: di Sant’ Antonino

68- Giglio: di Lascari e Torretta

69- Caruso: di Santa Domenica

70- la Grotta: di Roccella

71- Marziani: di Furnari

72- Scammacca: di Lercara (poi ai Buglio)

73- Interlandi: di Bellaprima

74- Starabba: di Giardinelli

75- Maccagnone: di Granatelli

76- Palmerino: di Torre di Goto

77- Monroy: della Pandolfina

2) Duchi

1- Aragona: di Bivona, di Terranova

2- Moncada: di San Giovanni

3- del Bosco: di Misilmeri

4- Bonanni: di Montalbano, di Floridia, di Ravanusa, di Foresta

5- Alliata: di Sala di Paruta

6- Grifeo: di Gualtieri, di Ciminnà

7- Lanza: di Camastra, di Brolo

8- Gravina: di San Michele, di Cruyllas

9- Monreale: di Castrofilippo

10- Gioeni: d’ Angiò

11- di Napoli: di Campobello, di Bissana

12- Tomasi: di Palma

13- Colonna: di Reitano

14- la Grua: di Villareale, della Miraglia

15- Ansalone: di Montagna Reale

16- Furnari: di Furnari

17- Valguarnera: dell’ Arenella

18- Amato: di Caccamo, di Santo Stefano di Briga

19- Rizzari: di Tremisteri

20- Garofalo: di Rebuttone

21- San Filippo: di Grotte

22- Marquet poi Averna: di Belviso

23- Averna: di Carcaci

24- Branciforte: di Santa Elisabetta (già di Vizzini), di San Nicolò

25- Joppolo: di Sinagra, di San Biagio (già S. Antonio), di Cesarò

26- Denti: di Piraino, di Villarosa

27- Termine: di Vatticani

28- Leofante: della Vedura

29- Lo Faso: di Serradifalco

30- Oneto: di Sperlinga

31- Massa: del Castello di Jaci

32- Gisulfo: di Ossada

33- Papè: di Pratoameno, di Giampileri

34- Spadafora: di Spadafora

35- Ciafaglione: di Villabona

36- San Martino Ramondetta: di San Martino (cambiato in Miserendino), di Fabbrica, di Montalbo

37- di Giovanni: di Saponara

38- Diana: di Cefalà

39- Platamone: di Belmurgo

40- Trigona: di Misterbianco

41- Finocchiaro: di San Gregorio del Bosco

42- Reggio: di Valverde Reggio

43- Oliveri: d’ Acquaviva

44- Beccadelli di Bologna: di Valverde Bologna

45- Salamone: di Albafiorita

46- Naselli: di Casalnuovo Gela

47- Corvino: di Altavilla

48- Lucchese: della Grazia

49- Giusino: di Belsito

50- Buglio: di Casalmonaco (cambiato in Catena)

51- di Stefano: di San Lorenzo

52- Burgio: di Villafiorita

53- Fici: di Amafi

Totali: 113 titoli di principe e 71 duca

Origini

Greco-bizantine: Spadafora, Grifeo (2)

Arabe: Burgio (1)

Venete: Marassi (1)

Emiliane: Beccadelli, Denti  (2)

Lombarde: Branciforte, Naselli, Pietrasanta, della Torre, Lo Faso, Diana, Salamone (7)

Piemontesi: del Pozzo, Oneto  (2)

Liguri: Ventimiglia, del Carretto, Castelli, Spinola, Furnari, Massa, Gisulfo, Giusino, Fici (9)

Toscane: Alliata, Bonanni, Lucchese, Migliaccio, Gaetani, Corvino, Strozzi, Morso, Reggio, Notarbartolo, Galletti, Brunaccini, Palmerino, Maccaglione  (14)

Romane: Colonna (1)

Napoletane: Fardella, Ruffo, Cottone, Morra, di Napoli, d’ Afflitto, Gravina, Caccamo, Tomasi, Bellacera, Pla- tamone, Joppolo, Caruso, Marziani (14)

Spagnole: Aragona, Moncada, del Bosco, Requesens, la Grua, Valguarnera, Termine, de Giovanni, La Rocca, Amato, Gallego, Sandoval, Barlotta, Perpignano, San Martino Ramondetta, Scammacca, Monroy, Garofalo, Sanfilippo, Oliveri, Marquett, Ciafaglione (22)

Tedesche: Lanza, Anzalone, Bonfiglio, Rizzari, Trigona (5)

Francesi: Gioeni, Grimaldi, Natoli, Palermo, Filingeri, Papè, Montaperto, Statella, Rosso, Leofante, Buglio (11)

Supposte autoctone: Averna, Interlandi, Starabba, Giglio, Molinelli, Pagano, Finocchiaro, di Stefano, La Grotta, Monreale (10)

Riepilogo: Greco-bizantine 2, Arabe 1, Italiane 50 (Venete 1, Emiliane 2, Lombarde 7, Piemontesi 2, Liguri 9, Toscane 14, Romane 1, Napoletane 14), Spagnole 22, Tedesche 5, Francesi 11, supposte autoctone 10

Arrivo in Sicilia

periodo greco-bizantino: Grifeo, Spadafora (2)

arabi: Burgio (1)

Normanni: Papè, Lucchese, Buglio, Gaetani, Palermo, Filingeri, Montaperto, Rosso, Ruffo (9)

Svevi: Branciforte, Ventimiglia, Lanza, Fardella, Bonanni, d’ Afflitto, Termine, Anzalone, Denti, Trigona, Furnari, Rizzari, Lo Faso (13)

Angiò: Gioeni, Natoli, Bonfiglio, Statella, Morra (4)

1° periodo aragonese (1282-1377): Aragona, Moncada, Alliata, del Bosco, la Grua, Naselli, Valguarnera, Migliaccio, di Napoli, de Giovanni, Amato, del Pozzo, Notarbartolo, Platamone, Barlotta, Perpignano, Oneto, S. Martino Ramondetta, Reggio, Joppolo, Marziani, Scammacca, Caruso, Maccaglione, Diana, Fici, Bellacera, Garofalo, Sanfilippo, Marquett (30)

2° periodo aragonese (1392-1516): del Carretto, Requesens, Cottone, Grimaldi, Gravina, Scirotta, La Rocca, Caccamo, della Torre, Beccadelli di Bologna, Brunaccini, Palmerino, Monroy, Ciafaglione, Leofante, Oliveri, Sa- lamone, Gisulfo, Morso, Galletti (20)

da Carlo V al 1713: Massa, Corvino, Strozzi, Pietrasanta, Castelli, Gallego, Tomasi, Sandoval, Spinola, Marassi, Giusino, Colonna (12)

Periodo di arrivo in Sicilia : famiglie – origini – titoli

Bizantino ed Arabo

1)Spadafora – greco-bizantine – P.di Venetico, di Mazzarà, sul cognome. D. di Spadafora

2)Grifeo – greco-bizantine – P. di Partanna. D. di Gualtieri, di Ciminnà

3)Burgio – arabe – D. di Villafiorita

Periodo normanno

4)Papè – francesi – Pr. di Valdina. D. di Pratoameno, di Giampileri

5)Lucchese – toscane – Pr, di Campofranco. D. della Grazia

6)Buglio – francesi – D. di Casalmonaco

7)Gaetani – toscane – Pr. del Cassaro

8)Palermo – francesi – Pr. di Biscari

9)Filingeri – francesi – Pr. di Cotò, di Mirto, di S. Flavia

10)Montaperto – francesi – Pr. di Raffadali

11)Rosso – francesi – Pr. di Cerami

12)Ruffo – napoletane – Pr. della Scaletta, di Palazzolo

Periodo svevo

13)Branciforte – lombarde – Pr. di Butera, di Pietraperzia, di Leonforte, di Vilalnova, di Scordia. D. di S. Elisabet- ta, di S. Nicolò

14)Ventimiglia – liguri – Pr. di Castelbuono, di Belmontino

15)Lanza – tedesche – Pr. di Trabia, sul cognome, di Malvasia. D. di Camastra, di Brolo

16)Fardella – napoletane – Pr. di Paceco

17)Bonanni – toscane – Pr. di Roccafiorita, di Linguaglossa; D. di Montalbano, di Floridia, di Ravanusa, di Fore- sta

18)d’ Afflitto – napoletane – Pr. di Belmonte

19)Termine – spagnole – Pr. di Casteltermine. D. di Vatticani

20)Anzalone – tedesche – Pr. di Patti. D. di Montagna Reale

21)Denti – emiliane – Pr. di Castellazzo. D. di Piraino, di Villarosa

22)Trigona – tedesche – D. di Misterbianco

23)Lo Faso – lombarde – D. di Serradifalco

24)Furnari – liguri – D. di Furnari

25)Rizzari – tedesche – D. di Tremisteri

Periodo angioino

26)Gioeni – francesi – Pr. di Castiglione, di Solanto. D. d’ Angiò

27)Natoli – francesi – Pr. di Sperlinga

28)Bonfiglio – tedesche – Pr. di Condro

29)Statella – francesi – Pr. di Villadorata, di Sabuci

30)Morra – napoletane – Pr. di Buccheri

1° periodo aragonese (1282-1377)

31)Aragona – spagnole – Pr. di Castelvetrano. D. di Bivona, di Terranova

32)Moncada – spagnole – Pr. di Paternò, di Calveruso, di Monforte, di Larderia, di Collereale. D. di San Giovanni

33)Alliata – toscane – Pr. di Villafranca. D. di Sala Paruta

34)del Bosco – spagnole – Pr. della Cattolica,di Belvedere. D. di Misilmeri

35)la Grua – spagnole – Pr. di Carini, di Castelbianco. D. di Villareale, della Miraglia

36)Naselli – lombarde – Pr. d’ Aragona. D. di Casalnuovo Gela

37)Valguarnera – spagnole – Pr. di Valguarnera, di Niscemi, di Gangi, di Gravina.D. del’ Arenella

38)Caruso – napoletane – Pr. di Santa Domenica

39)Maccaglione – toscane – Pr. di Granatelli

40)Migliaccio – toscane – Pr. di Baucina

41)di Napoli – napoletane – Pr. di Resuttano, di S. Stefano di Mistretta. D. di Campobello, di Bissana

42)de Giovanni – spagnole – Pr. di Castronovo, di Trecastagne. D. di Saponara

43)Amato – spagnole – Pr. di Galati.D. di Caccamo, di S. Stefano di Briga

44)del Pozzo – piemontesi – Pr. del Parco.

45)Notarbartolo – toscane – Pr. di Sciara

46)Platamone – napoletane – Pr. di Rosolini. D. di Belmurgo

47)Barlotta – spagnole – Pr. di San Giuseppe

48)Perpignano – spagnole – Pr. di Buonriposo

49)Oneto – piemontesi – Pr. di S. Bartolomeo, di S. Lorenzo. D. di Sperlinga

50) Reggio – toscane -Pr. di Campofiorito, di Jaci, della Catena. D. di Valverde Reggio

51)S. Martino Ramondetta – spagnole – Pr. del Pardo. D. di S. Martino, di Fabbrica, di Montalbo

52)Joppolo – napoletane – Pr. di Sant’ Antonino. D. di Sinagra, di S. Biagio, di Cesarò

53)Marziani – napoletane – Pr. di Furnari

54)Scammacca – spagnole – Pr. di Lercara

55)Diana – lombarde – D. di Cefalà

56)Fici – genovesi -D. di Amafi

57)Bellacera – napoletane – Pr. di Monteleone, di Buonfornello

58)Garofalo – spagnole – D. di Rebuttone

59)Sanfilippo – spagnole – D. di Grotte

60)Marquett – spagnole – D. di Belviso

2° periodo aragonese (1392-1516)

61)del Carreto – liguri – Pr. di Ventimiglia

62)Requesens – spagnole – Pr. di Pantelleria

63)Cottone – napoletane – Pr. di Villermosa, di Castelnuovo

64)Grimaldi – francesi – Pr. di S. Caterina, sul cognome

65)Gravina – napoletane – Pr. di Pelagonia, di Comitini, di Ramacca, di Montevago. D. di S. Michele, di Cruyllas

66) La Rocca – spagnole – Pr. di Alcontres

67)Leofante – francesi – D. della Verdura

68)Ciafaglione – spagnole – D. di Villabona

69)Oliveri – spagnole – D. d’ Acquaviva

70)Caccamo – napoletane – Pr. di Castelforte

71)della Torre – lombarde – Pr. della Torre

72)Beccadelli di Bologna – emiliane – Pr. di Camporeale. D. di Valverde Bologna

73)Brunaccini – toscane – Pr. di S. Todaro

74)Palmerino – toscane – Pr. di Torre di Goto

75)Monroy – spagnole – Pr. della Pandolfina

76)Salamone – lombarde – D. di Albafiorita

77)Gisulfo – liguri – D. di Ossada

78)Morso – toscane – Pr. di Poggioreale

79)Galletti – toscane – Pr. di Fiumesalato

Da Carlo V al 1713

80)Massa – liguri – D. del Castello di Jaci

81)Corvino – toscane – Pr. di Mezzoiuso, di Roccacolomba. D. d’ Altavilla

82)Strozzi – toscane – Pr. di Sant’ Anna

83)Pietrasanta – lombarde – Pr. di San Pietro

84)Castelli – liguri – Pr. di Castelferrato

85)Gallego – spagnole – Pr. di Militello

86)Tomasi – napoletane – Pr. di Lampedusa. D. di Palma

87)Sandoval – spagnole – Pr. di Castelviale

88)Spinola – genovesi – Pr. di Grammonte

89)Colonna – romane – D. di Reitano

90)Giusino – liguri – D. di Belsito

91) Marassi – veneto-lombardi – D.di Pietratagliata

Famiglie supposte autoctone o di origini non identificabili

92)Averna – D. di Carcaci

93)Interlandi – Pr. di Bellaprima

94)Giglio – Pr. di Lascari e Torretta

95)Molinelli – Pr. di Santa Rosalia

96)Pagano – Pr. di Ucria   

97)Starabba – Pr. di Giardinelli

98) Finocchiaro – D. di San Gregorio al Bosco

99) di Stefano – D. di San Lorenzo

100) La Grotta – Pr. di Roccella

101) Monreale – D. di Castrofilippo