VILLA BRIA “LA FAVORITA”

Sulla strada che unisce Gassino a Rivalba si trova Villa Bria, conosciuta anche come La Favorita, edificata attorno alla metà del Settecento da Carlo Domenico Beria e dal figlio Benedetto Maurizio, proprietari di filande.

L’architettura della villa, di chiaro modello seicentesco, possiede una facciata in mattoni con al centro due serliane sovrapposte (aperture centrali ad arco con due aperture laterali).

Villa Bria ha giocato un ruolo rilevante negli eventi storici degli ultimi 400 anni. Proprio qui, nel 1631, si incontrarono gli ambasciatori di Ferdinando I Duca di Mantova e Marchese di Monferrato, Carlo Emanuele I, Luigi XIII Re di Francia e il Cardinale Richelieu per siglare il trattato che pose fine alla seconda guerra del Monferrato.

Ma le origini di Villa Bria risalgono alla metà del Quattrocento, quando fu edificata a scopo difensivo col nome di Castelpiano, che nel 1503 vedeva proprietari i Provana e in particolare Giorgio Provana che nel 1496 veniva investito di Bussolino (e poi di Collegno). La sua posizione strategica, ai confini tra lo Stato del Monferrato e quello dei Savoia, permetteva di controllare una zona teatro di scontri e dissidi tra i due casati e dava alloggio alle guarnigioni durante le campagne militari.

Dal 1709 diviene proprietà dei Beria, ma è solo verso il 1740, con l’arrivo di Carlo Domenico Beria – da qui Villa Beria e poi Bria – , conte di Sale, Munizioniere Generale delle truppe del Regno di Savoia, che la Villa si trasforma finalmente in “vigna” residenza di villeggiatura nelle colline torinesi. Sotto il patrocinio dei Beria, (a Carlo Domenico, che muore nel 1743, succede il figlio Benedetto Maurizio, poi conte d’Argentine) vengono aggiunte le caratteristiche Gallerie laterali, viene costruita la Cappella consacrata a San Carlo Borromeo. e completato il processo di ristrutturazione.

Il fatto che il Cardinale Francesco Luserna Roreto di Rorà1 nel 1774, vi dedicasse una visita pastorale è indicativo della importanza della Cappella; il verbale redatto da un segretario descrive i ricchi suppellettili e arredi. Il figlio di Benedetto Maurizio, Michel Angelo, si fece sacerdote e lasciò la gestione della villa al cognato Maurizio Gianotti, rimanendo comunque la proprietà ai Beria.
Nel 1838, passata la bufera della rivoluzione francese e del governo napoleonico, la contessa Francesca Beria accolse l’arcivescovo di Torino, Luigi Franzoni2.
Nel 1850 i Beria vendettero la Villa a Lorenzo Ferrero di Genova, che a sua volta, nel 1858, la vendette ad Annetta Bellora vedova Masazza.

Dopo altri 40 l’acquistò Filippo Alessandro Berard. La Villa poi passò, nel 1948 all’Istituto dei Piccoli Fratelli di Maria3 ; nel 1988 divenne la sede di una società di produzioni televisive, per essere infine acquistata dalla Helvetia SpA che ha provveduto agli importanti restauri. La Villa, costruita con materiali del luogo, è davvero splendida.
Il corpo principale, secondo i modi di Alessandro Tesauro, presenta due seriane sovrapposte, richiamando il castello di Salmour (CN).
Gli ammirevoli stucchi del piano terreno sono attribuibili alla bottega di Carpoforo Mazzetti Tencalla di Bissone, quelli del primo piano a stuccatori ticinesi. Nelle pitture evidente è l’ispirazione dal barocco veneziano, con “profumo” di Tiepolo, di Claudio Francesco Beaumont e altri grandi pittori dell’epoca. Il tema che guida i dipinti è “l’intercessione divina a rimedio e soccorso di singolari azioni umane”.

1 Francesco Luserna Rorengo di Rorà (Campiglione, 11 novembre 1732 – Torino, 4 marzo 1778), membro di una delle illustri famiglie nobili piemontesi, si laureò ancora in gioventù in teologia ed in lettere. Nel 1764 fu eletto vescovo di Ivrea, ma il suo incarico in questa sede durò solo quattro anni, in quanto venne successivamente proposto dal re di Sardegna alla sede arcivescovile di Torino. Eletto arcivescovo guidò l’arcidiocesi torinese dal 1768 al 1778 e si distinse come uno dei maggiori arcivescovi della sede torinese del XVIII secolo, assieme al successore Vittorio Costa d’Arignano. Proposto per la porpora cardinalizia, ma ormai malato e minato nel corpo e nello spirito, si spense a Torino il 4 marzo 1778.

2 Luigi Franzoni, marchese, ex ufficiale di cavalleria poi vescovo di Fossano dal 1832 al 1840, arcivescovo di Torino dal 1840 al 1862, capo della resistenza clericale in Piemonte, che si era vantato di far paura a Carlo Alberto non tanto con minacce di invasioni straniere quanto con armi spirituali. Favorì molto i gesuiti in Piemonte, osteggiò Gioberti, fece di tutto per tenere l’istruzione pubblica in mano alla Chiesa. Fu in aperta e tenace lotta collo stato durante le riforme ecclesiastiche che in Piemonte cominciarono con la legge Siccardi, Nel maggio 1850 protestò contro detta legge con una pastorale tanto violenta che fu deferita ai Tribunali. Prevenuto dallo stesso ministro dell’interno del pericolo, non volle partire da Torino. Citato in Tribunale non comparve; recatosi il giudice istruttore in episcopio, per deferenza, ad interrogarlo, non volle riceverlo. Intanto i giornali clericali protestavano duramente, ma il Governo tenne fermo, fece condurre l’Arcivescovo in carcere, e lo mandò innanzi al Tribunale che lo condannò ad un mese di carcere e L. 500 di multa. Da ogni parte del cattolicismo piovvero proteste contro il Governo e doni di bastoni pastorali e croci pettorali al Vescovo gastronomo, come lo chiamò Gioberti. Così prima che ad altri il capo del clero piemontese vide applicata a sé la tanto odiata legge Siccardi. Il F., uscito di carcere il 2 di giugno non tardò a riprendere la lotta accanita. Essendo venuto a morte il Cav. Pietro de Rossi di Santarosa (5 agosto 1850) ministro di agricoltura e commercio allora nel gabinetto D’Azeglio, il frate servita Bonfiglio Pittavino, chiamato ad assisterlo, come parroco, gli negò, per ordine dell’Arcivescovo, l’Eucarestia e poi, dopo morto, la sepoltura religiosa, per non avere sconfessato le leggi (presentate dal ministero cui apparteneva) sull’immunità religiosa e sull’abolizione del foro ecclesiastico. Contro il F., ed i frati si ebbero dimostrazioni; l’Arcivescovo ed il parroco furono processati, ed il primo nell’agosto venne chiuso nel forte di Fenestrelle, poi il 25 settembre fu rimosso dall’arcivescovado di Torino e privato dei beni ecclesiastici. Andò esule in Francia, mentre pure i frati serviti erano espulsi da Torino.

I fratelli maristi delle scuole o piccoli fratelli di Maria (in latino Institutum Fratrum Maristarum a Scholis o Institutum Parvulorum Fratrum Mariae) sono un istituto religioso maschile di diritto pontificio: i membri di questa congregazione laicale pospongono al loro nome le sigle F.M.S. o P.F.M. La congregazione venne fondata da Marcellin Champagnat (1789-1840). Il 23 luglio 1816, appena ordinato sacerdote, nel santuario di Notre-Dame de Fourvière presso Lione, insieme ad alcuni compagni di seminario, si era impegnato a dare inizio a una nuova famiglia religiosa che si facesse interprete della spiritualità mariana e contrastasse l’indifferenza religiosa che permeava la società: alcuni chierici del gruppo, guidati da Jean-Claude Colin, diedero poi vita alla Società di Maria. Nominato viceparroco di La Valla-en-Gier, Champagnat si rese conto dello stato di abbandono e miseria in cui versava la popolazione infantile nelle aree rurali della Francia e iniziò a progettare l’istituzione di una nuova congregazione di religiosi laici dediti all’insegnamento che assumesse la direzione delle scuole popolari nelle zone più svantaggiate del paese. Aperta una scuola presso la chiesa parrocchiale di La Valla, il 2 gennaio 1817 il fondatore accolse i primi due aspiranti maestri, dando inizio alla congregazione dei Fratelli Maristi delle Scuole