In ricordo di Amalia Biandrà

Una mattina di circa quarant’anni fa, sotto i portici di via Po, incontrai per la prima volta Orsolamalia Biandrà di Reaglie: ero un giovane assistente universitario e mi ero offerto di accompagnarla negli uffici dell’Ateneo dove avrebbe dovuto compilare dei moduli, essendo stata ammessa come assistente volontario alla cattedra di Storia del diritto italiano, tenuta allora dal mio maestro Mario Enrico Viora.

Immediatamente scattò una reciproca simpatia: comunicare con Amalia non era difficile vista la sua carica di cordialità e naturalezza, e da allora si sviluppò tra noi un’amicizia che coinvolse anche le nostre famiglie. Milanesi da generazioni, ma di antica nobiltà piemontese, i Biandrà detenevano allora in Lombardia una posizione di elevato livello sociale e culturale: il palazzo di via Circo, che ricorderò sempre per la sua atmosfera intatta di dimora otto-novecentesca, era la sede per incontri mondani e non di rado in quelle sale si riunivano diversi personaggi, assai interessanti per chi volesse avere un’idea abbastanza esatta della società milanese.

Sin da giovane Amalia si era dedicata allo studio della storia, della paleografia e dell’archivistica sollecitata dal padre, Massimo (omonimo del presidente del Whist di fine ‘800) e dall’amato zio Dario, conte di Reaglie e marchese BiandràTrecchi, personalità di rilievo dell’ambiente cremonese; il padre di Amalia, valido araldista, aveva passato anni a ricostruire accuratamente la storia di molte famiglie della nobiltà e aveva realizzato una vasta ricerca sul Trentino, delineando centinaia di alberi genealogici; il legame di Amalia con quella regione era forte, viste le origini della madre, Gerolama Martini von Griengarten. Potrei ricordare tanti particolari, belli o tristi, della nostra pluridecennale amicizia; ancora oggi mi sento debitore di Amalia per tutte le notizie e gli aneddoti di cui mi faceva parte: in casa, lei aveva imparato la storia quasi senza studiarla, attingendo alle fonti vive, e vivaci, dei suoi familiari; nascevano così quegli scritti storicogiuridici, genealogici, araldici, prodotti nel corso degli anni in notevole numero.

Divenuta Ricercatrice di ruolo nella Facoltà di Giurisprudenza di Torino, catalogò e studiò molti importanti fondi contenuti nella Biblioteca Patetta, tra cui le cinquecentine e gli opuscoli per nozze e si dedicò con passione alla salvaguardia di molti archivi privati ed ecclesiastici.
Negli anni elaborò delle Schede, dedicate a casate e personaggi soprattutto piemontesi, che carinamente, e sopravvalutando il mio contributo, volle denominare “Schede Biandrà – Genta”: in realtà erano coinvolti in queste ricerche anche altri studiosi, come, tra gli altri, Gustavo di Gropello, Gustavo Mola di Nomaglio e – lo ricordo con affetto – Angelo Lovera di Maria, che Amalia chiamava affettuosamente “il nostro Lino”, col quale stringemmo una grande amicizia e che apportò le sue infinite conoscenze di storico en amateur e di appassionato bibliofilo. Ma, soprattutto, credo di dover ad Amalia la mia “scoperta di Milano”, città che fino a quel momento conoscevo molto superficialmente, non essendo nemmeno immune, lo confesso arrossendo, da quella sorta di indifferenza-diffidenza che è spesso il pregiudiziale sentimento del piemontese nei confronti della grande città lombarda.
L’incontro con i Milanesi, storici, letterati, dilettanti, accademici, patrizi, a volte eccentrici, spesso scontrosi -Amalia conosceva tutti e con tutti era disinvoltamente familiare- mi rivelò un ambiente sociale e culturale molto chiuso e molto aperto, se così si può dire, certo interessante, e comunque diverso da quello torinese.

Da allora, quella città, che mi era stata ignota, esercitò su di me un fascino notevole: in qualche pomeriggio invernale, nelle stanze manzoniane della Società Storica Lombarda, dove Amalia era di casa, popolate da figure che ormai sono passate -direi- alla storia milanese, si evocavano antiche Villa Bria sabato 27 febbraio In Tibet, martedì 16 vicende con tale suggestione che non era difficile sentir aleggiare su quel mondo, ancora palpabilmente, la Milano asburgica e quella risorgimentale.

“La Amalia”, come tutti la chiamavano, era perfettamente a suo agio in quell’atmosfera che, anche grazie a lei, si rivelava antica, trascorsa, ma contemporaneamente del tutto attuale, in sintonia con il pragmatico dinamismo della capitale economica italiana. Così era, in fondo, la stessa Amalia: tenacemente legata alla conservazione del passato storico, ma certamente moderna in molte delle sue visioni di studio e di vita.

Penso che i suoi molti amici ameranno ricordarla affettuosamente come la ricorderò io: vivace, spiritosa, tollerante, ottimista, con quell’incredibile senso dello humour, che le permetteva di fronteggiare con una leggerezza aristocratica – ahimè, totalmente di altri tempi!- anche i momenti più difficili della sua vita.

 

di Enrico Genta Ternavasio