Roberto Nasi, gentiluomo d’antan

Ho conosciuto Roberto Nasi nel 1979 quando ero giovane tenente da poco giunto in Nizza Cavalleria. Venni presentato ad un signore distinto, di mezza età, signorile nei modi, riservato e, fin da subito, cordiale, ma non espansivo, con un giovane subalterno.

Ebbe inizio una frequentazione che con il tempo sfociò in amicizia sincera, frequentazione e amicizia durate per 36 anni. Per me, giovanotto di belle speranze, egli appariva allora come un “vecchio di Nizza”.
Vi aveva infatti prestato servizio di prima nomina dal 15 giugno al 15 dicembre 1952, al termine della frequenza dei corsi di formazione per ufficiali di complemento, iniziati il 21 agosto 1951. Vestì, dunque, l’uniforme per un tempo non molto lungo, ma sufficiente per legarlo indissolubilmente alla Cavalleria e a quel glorioso reparto dal bavero color magenta che ebbe sempre nel cuore e le cui vicissitudini seguì costantemente con interesse e trepidazione.

Nato da vecchia e nobile famiglia piemontese, dove oltre al profondo senso dello Stato, la militarità era concetto fortemente interiorizzato, coltivò un interesse, per non dire amore, per tutto quanto attiene alla vita militare, nei suoi molteplici aspetti. In particolare per la storia militate e per le due sue ancelle, l’uniformologia e l’araldica militare, con particolare riguardo alla Cavalleria (sabauda, ça va sans dire) e al reggimento Nizza. Poiché anche io mostravo una certa propensione per quegli studi, mi coinvolse fin da subito in alcune interessanti iniziative da lui patrocinate: un seminario a Macello incentrato sulla figura di Antonio Bonifacio Solaro di Macello, 1° comandante di Nizza Cavalleria, e uno di araldica militare a Torino dedicato agli stemmi antichi della Cavalleria piemontese.

Per tutto il tempo durante il quale ci frequentammo, mi fece l’onore di rendermi partecipe dei suoi studi, raggiungendomi se del caso per via epistolare in tutte quelle sedi, in cui l’errabonda vita militare di volta in volta mi destinava.
Esteso ed articolato il numero delle sue pubblicazioni. Ne ricorderò solo alcune: Diario della campagna d’indipendenza (1848/1849 (1985); Diario della spedizione in Oriente -1855- della Marchesa Incisa di Camerana (1988); Da Dragoni di Piemonte a Nizza Cavalleria vicende tricentenarie (1989); Vicende per lo stabilimento in Pinerolo della Scuola di Cavalleria nel 1849 (1999); Le azione della Cavalleria durante l’assedio di Torino del 1706 (2006); La cavalleria sabauda al tempo della Restaurazione (2010); Cavour ed i Gentleman’s clubs. Dal tempo dei giochi a quello della diplomazia e della guerra (2012) suo un capitolo.
La Curia Maxima di Torino Nel 1990, in occasione del tricentenario di Nizza, collaboro con Roberto Gaja alla stesura dello splendido libro Per un reggimento di Dragoni o della fedeltà. Di salda formazione umanistica, acquisì la maturità classica presso il prestigioso liceo “San Giuseppe” nel 1950, la laurea in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Torino nel 1956.
Questa solida preparazione di base gli consentì di elaborare studi storici, caratterizzati da acutezza nei giudizi, equilibrio nelle valutazioni, scrupolo assoluto nella ricerca delle fonti, privilegiando sempre quelle di prima mano e vagliando attentamente ogni notizia. Di sé amava parlare come di un “topo d’archivio” a cui piaceva “sgaté” (vocabolo piemontese che indica l’azione del gatto che scava nella terra morbida) tra le polverose carte degli archivi. Ricercatore puntuale e curioso, fu degno epigono della grande tradizione storiografica militare piemontese.

Dilettante di storia, nel senso squisitamente etimologico del termine, pur di asseverare una tesi non distorse mai fatto alcuno, per quanto marginale, ricollegandosi idealmente al cosmopolitismo settecentesco, piuttosto che all’eclettismo ottocentesco. Ma il suo profondo interesse per il mondo militare e le antiche tradizioni ad esso legate non si limitò agli studi, fu praticato anche in modo attivo, militando per lunghi anni nella Associazione nazionale arma di Cavalleria, sezione di Torino e nell’Associazione Amici del Museo storico della Cavalleria. Della prima fu consigliere dal 2001 al 2015, della seconda fu vicepresidente dai primi anni ‘80 al 1993 e poi presidente dal 1993 al 2008. Sotto la sua attiva e intelligente presidenza il patrimonio del Museo fu preservato con il puntuale restauro di tanti reperti e arricchito con belle e preziose acquisizioni.

Tra le tante, ricordo solo le stampe di Stanislao Grimaldi del Poggetto e alcune rare uniformi provenienti dall’eredità del colonnello Otto Campini.
Fino al 2014 svolse l’attività di guida volontaria in occasione di visite di gruppi al Museo. Cavaliere di rango, si dedicò con passione anche all’equitazione, che continuò a praticare nella forma più sportiva e nella fedeltà al “sistema italiano”, fino a pochissimi anni fa, finché glielo permisero le sue condizioni fisiche compromesse anche da un incidente di cui fu vittima passeggiando nel centro di Torino. Per lunghi anni fu socio della Società Torinese per la Caccia a Cavallo e fu animatore della riscoperta e valorizzazione delle antiche musiche legate alla caccia a cavallo, militando nella associazione Sant’Uberto, di cui dal 2002 fu presidente.
Una vita dunque trascorsa ad alimentare la sua passione per il militare con azioni e opere che qui ho voluto solo brevemente sintetizzare.

Una passione, la sua, caratterizzata da modestia, discrezione, semplicità di atteggiamenti, ironia arguta e sottile, esterna signorilità nel tratto. Un esempio per tutti ad esplicitare quella sua riservatezza, che profumava “de temps d’antan” tanto quanto era torinese. Fu socio di un prestigioso Gentleman’s club di Torino ed in quelle magnifiche sale ebbi modo di incontrarlo svariate volte. Nondimeno, con me, in tanti anni di frequentazione, non nominò mai quell’esclusivo sodalizio, limitandosi, se proprio necessario, ad accennare al “club”. Naturalmente, in questa sede, per rispetto a lui, farò lo stesso.
Con questa stessa discrezione, con questa signorilità tanto antica da essere naturale, Roberto ci ha lasciati il 5 dicembre 2015.

Concludo dedicando a lui le parole che Federico il Grande riservò ad un suo soldato, il generale Christoph Ludwig von Stille: “les talents de son esprit ne servaint qu’à relever les qualités de son cœur; il était de ce petit nombre des gens qui ne devrait jamais mourir; mais comme le vertu ne se dérobe pas aux atteintes de la mort, il a su survivre à luimême en laissant un nom cher et estimé des honnêtes gens”(1). Caro Roberto, il tuo ricordo non ci lascerà mai.

 

di Paolo Bosotti, dalla “Rivista di Cavalleria” genn.-febb. 2016