La fine della occupazione tedesca in Savigliano – e di come fu influenzata da un musical feeling

Professore di Storia e Filosofia e vicepreside del liceo classico cittadino, mio Padre era un liberale cattolico, umanista e signore alla vecchia maniera, molto noto in paese per il suo amore per la musica, per la cultura e per la campagna…………..

Saliva anche quotidianamente a trovare “maman” nell’ora del tè e, nel salotto del pianoforte, spesso suonava.

……………….Dopo l’insediamento del tedesco, essendosi accorto che spesso, quando suonava, la porta di comunicazione e separazione dalle stanze requisite veniva socchiusa, Papà ad alta voce invitò il discreto ascoltatore a violare il concordato confine e ad accomodarsi. Herr Major, ringraziando, aderì.

E così, da qual giorno si era aperto un dialogo, limitato dapprima a commenti tecnici ed estetici dei pezzi eseguiti, ma esteso poi a più vasti argomenti culturali e sociali. Papà venne così a sapere che l’ufficiale della Wehrmacht era un riservista di complemento, richiamato in servizio quando le forti perdite subite sul fronte orientale avevano prodotto scarsità di uomini nell’armata tedesca. Aveva così dovuto lasciare la sua città in Franconia, per essere inviato, a 56 anni compiuti, a comandare il presidio territoriale di Savigliano. Era nato in una famiglia delle buona borghesia, proprietaria da 300 anni di una casa che continuava a presentare, al pianterreno, la sua storica Apotheke: la farmacia era stata, da quattro generazioni, la fonte del benessere familiare, ed anche lui l’aveva diretta personalmente, coadiuvato negli ultimi anni da una figlia che ora lo sostituiva.

L’agiatezza però era stata raggiunta solo quando suo padre, all’inizio del secolo, aveva creato un piccolo stabilimento di prodotti cosmetici. I matrimoni di suo padre ed in seguito il suo con fanciulle aristocratiche avevano poi anche contribuito ad elevare il rango sociale della sua famiglia.
Il suo unico figlio maschio, ufficiale in carriera, era attualmente sul fronte russo. Lui, laureato in chimica farmaceutica, aveva però sempre coltivato interessi umanistici e musicali. Organista, era apprezzato nella sua città ed invitato persino dal Vescovo a tenere concerti in cattedrale. Conosciuta così la storia e le tendenze del Maggiore, Papà ne informò l’Abate della Canonica.
E, con il suo consenso, potè far sapere al Maggiore che, se l’avesse desiderato, avrebbe potuto suonare l’organo dell’abbazia di S. Andrea. La cosa fu combinata e, quasi ogni giorno, nelle ore in cui non si svolgevano le funzioni religiose, le navate dell’abbazia risuonavano di armonie germaniche, evocate dall’estro musicale del Maggiore e dall’energica azione muscolare del suo robusto attendente sul mantice cigolante dell’organo. La resa Trascorse così anche la seconda metà del 1944 con l’occupazione tedesca, sempre meno percepita come tale dalla popolazione, che avvertiva invece l’accanirsi della prepotenza fascista repubblichina.
………………….E si giunse al fine alla primavera del 1945. Il 24 aprile dalla radio e da telefonate dirette di amici e parenti si venne a 3 sapere che finalmente l’ora della libertà era suonata: l’esercito anglo-americano stava valicando l’Appennino, i Tedeschi erano in ritirata su tutto il fronte, le grandi città della pianura padana insorgevano per l’azione interna del C.L.N. e per l’invasione urbana delle forze partigiane che, scendendo dai monti e lasciando le campagne, convergevano verso i centri abitati.
E, mentre le truppe stanziali tedesche cercavano di ottenere rese militari ed autorizzazioni di ritirata verso la Germania, centri di resistenza disperata ad oltranza o fughe precipitose caratterizzavano il comportamento dei repubblichini…………… Il 24 aprile il Maggiore tedesco cercò mio Padre per dirgli che anche lui, in accordo con i suoi soldati, avrebbe desiderato iniziare trattative di resa, ma che non aveva idea di come ed a chi rivolgersi: sperava che Papà potesse in qualche modo metterlo in contatto con il C.L.N.. Attraverso l’Abate di S. Andrea fu così portato di fronte alla riunione plenaria del C.L.N. di Savigliano.
Questo era formato dai rappresentanti di tutte le forze politiche. Loro braccio militare erano le formazioni garibaldine sperse nelle campagne circostanti e nei piccoli centri limitrofi. A loro il Maggiore chiaramente espresse la sua determinazione di resa. Il C.L.N., avendo precisato che la trattativa riguardava esclusivamente il contingente tedesco al suo comando, accettò la resa e gli comunicò che le modalità gli sarebbero state rese note alla Kommandatur, dove intanto avrebbe dovuto rinchiudersi con tutti i suoi, dopo aver fatto rientrare i distaccamenti di controllo dalle Officine e dalla stazione ferroviaria. Poco dopo, in casa Villa, si presentò una delegazione della brigate garibaldine dei dintorni: la comandava il tenente di vascello Maurizio Villa, figlio dei padroni di casa sfrattati.

Fu stabilito che i militari tedeschi, con viveri sufficienti, non avrebbero dovuto per nessuna ragione uscire dall’isolato. Ai garibaldini consegnarono armi e munizioni, subito ritirate sotto stretta sorveglianza, in un locale interno della casa, ben noto al comandante Villa. Questa misure erano necessarie perché stava per iniziare una guerriglia urbana da parte delle brigate garibaldine, che stavano per entrare in città, contro i repubblichini, che loro volta si stava organizzando attorno alla loro famigerata caserma.
In questi scontri i Tedeschi non avrebbero dovuto intervenire e sarebbero poi stati consegnati alla forze militari regolari alleate, non appena possibile. Stabilite così le condizioni di resa, lasciato un presidio alla custodia dei Tedeschi e delle loro armi, il Comandante Villa ed i suoi garibaldini ritornarono alla campagna perché soltanto per il successivo 27 aprile era prevista l’occupazione di Savigliano, dopo che i contingenti dislocati di Marene, Cherasco e Monasterolo etc. si fossero ricongiunti, convergendo.
Ma, improvvisamente, si sparse la notizia, purtroppo confermata, che una potente colonna corazzata tedesca stava attraversando la provincia di Cuneo in ordinato ripiegamento in forze verso la pianura Padana: riuniva e raccoglieva, mentre passava, i presidi tedeschi sparsi, distruggendo qualsiasi resistenza. Disperati i membri del C.L.N. saviglianese, che al Tedesco si erano ormai identificati, richiesero a Papà di andare a chiarire la situazione con Herr Major.

E così Papà ritornò in casa Villa, già Kommandatur ed ora prigione dei Tedeschi, per avere un nuovo abboccamento col Maggiore onde informarlo dei nuovi sviluppi della situazione. Anche lui in estremo imbarazzo, dopo essersi consultato con i suoi ufficiali e soldati, annunciò che, se a loro fossero state riconsegnate le armi e la libertà, avrebbero pensato loro stessi ad accogliere correttamente la colonna corazzata; a quella si sarebbero aggregati assolutamente dimentichi di tutto quanto era accaduto nelle ultime 36 ore. A Papà il Maggiore diede la sua parola d’onore impegnando sé e tutta la sua truppa. Nel C.L.N., cui Papà riferì l’esito dell’ambasciata, nonostante diffidenza e sgomento, prevalse infine il parere di accettare la soluzione proposta dal Maggiore per la consapevolezza di salvare così la città dalla rappresaglia: i Tedeschi vennero riarmati. Al balcone del comando tedesco ricomparve la bandiera mentre sparivano dai balconi e finestre le bandiere italiane che li avevano infiorati nel frattempo.

…………………. E, finalmente, sul far della sera, terrificante nella sua potenza corazzata, la colonna sferragliante cominciò ad attraversare Savigliano. Si fermò davanti al comando tedesco, casa Villa: da questa, per la seconda volta, venne ammainata la bandiera uncinata ed ordinatamente uscì il presidio tedesco con armi bagagli e munizioni, per essere accolto nei camion della colonna. Questa si rimise poi in marcia e, rombando, uscì da Savigliano dirigendosi a nord verso Torino. Evidentemente Herr Major ed i suoi soldati avevano tenuto fede alla parola data, nulla avevano riferito al comandante della colonna, che così tranquillamente si era allontanata. …………………… Transitata la colonna tedesca, finalmente, all’alba del 30 aprile le brigate garibaldine entrarono in forze in Savigliano: la città era libera. ……………….. 4 Dopo un assoluto silenzio nei primi anni, nel maggio del 1954 una coppia di anziani turisti tedeschi prese alloggio nell’albergo saviglianese della Corona Grossa. L’unica fioraia del paese, che provvedeva perlopiù agli addobbi delle chiese ed alle corone funebri, fu molto stupita quando dal vecchio signore tedesco ricevette l’incarico di recapitare un mazzo di rose multicolori a casa della Nonna, con un biglietto in francese che attendeva risposta. In quest’ultimo il Tedesco chiedeva il consenso ad essere ricevuto con sua moglie in qualsiasi ora. La Nonna prontamente rispose, anche lei in francese, che li avrebbe visti con grande piacere all’ora del tè. Molto puntuale il vecchio turista tedesco, con la sua altrettanto anziana consorte, suonò alle 17.

L’Ex-maggiore, ovviamente riconosciuto, presentò la moglie tutta compita: questa chiese di poter visitare le camere in cui aveva vissuto suo marito come ospite imposto, poi ringraziò per come era stato trattato e pregò infine la Nonna di accettare in loro ricordo un’antica statuetta di Meissen. Già in albergo avevano saputo che nel 1950 era morto, per una polmonite virale, l’abate Benso e nel 1952 anche mio Padre, per un infarto al miocardio. Il Maggiore assicurò che era molto triste per non essere potuto venire prime in Italia, in tempo per poter ringraziare di persona, come avrebbe desiderato, i due italiani che più aveva apprezzato e che ricordava con affetto. Dopo qualche mese di prigionia anglo-americana aveva trovato una Germania semidistrutta: non la sua casa in particolare, né la sua città, fortunosamente risparmiate, ma l’intero paese era in uno stato di devastazione e di degrado.

La riprese economica e civile era poi cominciata e così, ora, erano potuti venire in Italia. Anche il loro unico figlio maschio non aveva fatto ritorno dal fronte russo. A questa accorate parole la Nonna rispose che anche lei non aveva più potuto riabbracciare un figlio per l’ultima, brutta guerra: maggiore di complemento degli Alpini, poi partigiano monarchico nell’Ossola, catturato e deportato a Mathausen, vi era passato per il camino nell’aprile del 1945. E così, con gli occhi lucidi ed il cuore gonfio di tanti ricordi, si lasciarono i due anziani tedeschi e la Nonna ormai novantenne, involontaria ospite negli anni dell’occupazione tedesca di Savigliano.

 

di Francesco Rinaldi