24 settembre 1706 Robarello (MI)

Nella storia di Milano, Robarello, piccola frazione rurale posta sul Naviglio Grande, a poca distanza da San Cristoforo, che costituiva il porto d’ingresso in Città, ebbe un ruolo non secondario nelle vicende che videro il passaggio dalla dominazione Spagnola a quella Asburgica.

I fatti qui narrati costituiscono uno degli episodi della guerra di successione Spagnola, a cui molti Sovrani d’Europa, per differenti ragioni, si cimentarono vantando diritti.

Il Duca di Orléans raggiunse Torino, riunendo le forze assedianti, che contavano 42.000 uomini. Egli avrebbe voluto procedere subito all’attacco finale, ma non riuscì a spuntarla con i marescialli Marsin e La Feuillade, furono così le truppe imperiali le prime ad attaccare.
La battaglia fu accanita da entrambe le parti. Il Maresciallo Marsin cadde sul campo, e lo stesso Comandante carismatico dell’Esercito Imperiale si salvò miracolosamente avendo il cavallo ucciso sotto di lui. L’anello che accerchiava Torino fu spezzato e i Francesi si ritirarono, lasciando 2.000 morti e oltre 5.000 prigionieri, tutto l’accampamento con le munizioni e molti pezzi di artiglieria. Era il 7 settembre 1706, e la vittoria di Torino decise il destino dell’Italia settentrionale. Poco dopo le truppe imperiali si impegnarono nell’invasione della Lombardia, occupando prima Vercelli e Novara, e in seguito Lodi, Pavia, Alessandria, Mortara, Tortona e Casale. Rimasero in mano francese singole cittadelle come Cremona e Mantova.

Il Ducato di Milano, che con le vittorie di Carlo V era stato possedimento spagnolo, era tornato al ramo austriaco della Casa d’Asburgo. Il 24 settembre 1706 il conte Beaufort, aiutante generale di Eugenio, aveva chiesto la resa della città. Le truppe imperiali, arrivate dal Piemonte, si erano attendate a Corsico e il serenissimo Principe Eugenio aveva preso alloggio a Robarello. Di là, il Principe spedì a Milano un Araldo con un aiutante Generale a fare l’intimazione di resa. Nella Città di Milano, sotto il dominio della Spagna, occupata militarmente dai Francesi, erano poco chiari i limiti che dividevano il potere di Filippo V da quello di Luigi XIV. Il Presidente del Senato Conte Luca Pertusati, il duca Moles e molti magistrati erano da tempo in rapporto segreto con gli Imperiali.
Già dal 19 settembre, all’avvicinarsi dell’Esercito Asburgico, il Governatore principe di Vaudemont aveva abbandonato Milano cercando rifugio nella fortezza di Pizzighettone, e con lui tutti i francesi si erano allontanati. Il 23 settembre il governo veniva ufficialmente trasferito a Cremona, tuttavia il Castello Sforzesco rimaneva ancora presidiato da 3000 soldati Franco-Spagnoli fino al marzo dell’anno successivo (1707) Essendo ormai la Città senza artiglieria, senza governo, con le Piazze tutte sprovviste di munizioni, il Consiglio Generale dei sessanta Decurioni (riuniti nella sala della Comunità nella piazza dei Mercanti) presa in mano la situazione, incaricò i suoi Delegati, nelle persone dei signori Conte Don Giovanni Battista Scotti e Don Uberto Stampa accompagnati da un trombetta della città per sentire le proposte di Sua Altezza Reale come supremo Comandante delle Armi di S.M. Cesarea in Italia, e dopo varie trattative relative all’indennità dei Cittadini e ai Privilegi della Città, concordare le modalità per la resa in nome di S.M. l’Imperatore; questa fu accordata nei modi più vantaggiosi per la stessa Città, e proporzionati alla grandezza d’animo di S.M. Cesarea.

Riferito tutto ciò ai Delegati del Congresso dei sessanta, si recarono alle otto della sera del 24 settembre a prestare omaggio al Principe Eugenio a Robarello, località sita nel Comune di Buccinasco, come fecero poi le altre Magistrature e i Capi degli Ordini, accolti dal Principe con segni di stima e di gradimento. Nel frattempo il Congresso eleggeva i Conti Carlo Borromeo e Francesco Sormani, perché mantenessero l’ordine in Milano.
Dicevamo dunque che la sera del 24 settembre il Principe Eugenio di Savoia e il Duca Vittorio Amedeo II, avevano posto il quartier generale a Corsico, dove risiedeva il Duca, mentre il Principe stava a Robarello, alle porte della città. Il Principe era sdegnato perchè al passaggio del Ticino non si erano fatti incontro, secondo la consuetudine, i Rappresentanti di Milano per offrirgli le chiavi della città, ed ora esigeva l’atto di sottomissione incondizionata, la sconfessione del precedente governo e, ottenutili, sarebbe stato pronto a riconfermare i Magistrati in carica, e riconoscere alla Città le sue costituzioni e gli antichi privilegi. Milano, la sera, era illuminata in attestazione di gioia.
Le Magistrature si recarono a Robarello a presentare il proprio atto d’ossequio al Generale vittorioso (Principe Eugenio) cercando di renderlo favorevole alla Città con sontuose imbandigioni che vennero recate al Campo di Corsico.

Il Cardinale Archinto, Arcivescovo di Milano, non aveva mai nascoste le sue simpatie Borboniche: quando Filippo V era passato per Milano e si era espresso con particolare slancio in preghiere e manifestazioni di devozione, ma ora, accusando una indisposizione, non aveva raggiunto Robarello con le altre Magistrature.

Solo a sera tardi ebbe un ripensamento, e raggiunse la residenza del Principe e del Duca (a letto indisposto in quel di Corsico) a Robarello …Alle ore 23, il Vicario di Provvisione Giuseppe Barbavara, col suo Tenente e Secretario , in carrozza a sei con le insegne, donzelli e trombe del Comune, quattro dei principali rettori, uscì a complimentare il Serenissimo Duca di Savoia (Vittorio Amedeo) e il generalissimo dell’Impero, e dopo accomodata orazione stabilì i patti…..
Ed ecco il testo dell’atto di sicurezza, benevolenza e protezione accordato “La Città e il Ducato di Milano, trovandosi, all’avvicinarsi delle armi di S.M. Imperiale, nella libertà di poter dimostrare, con immensa gioia, l’antica ed inviolabile fedeltà che tutti gli ordini di questo stato hanno sempre conservato verso l’au- gustissima Casa d’Austria, hanno delegato con atto del 23 di questo mese (sett.1706), i signori Conti Gian Battista Scotti ed Uberto Stampa, per renderle quell’omaggio di obbedienza che le è dovuto nella ventura di ritornare sotto il suo legittimo dominio.
A questo fine i sopraddetti Signori Conti si sono recati in questo Campo (Corsico) per fare omaggio a S.A.R., supremo comandante delle Armi di S.M.I. in Italia e deporre nelle mani di S.A.R. in persona a nome della città e ducato di Milano questa pubblica e autentica dichiarazione della loro sottomissione verso l’augustissima casa d’Austria, alla quale professano di voler ubbidire , servire ed essere uniti con la fedeltà che han sempre conservata nel loro cuore e che essi professeranno apertamente in avvenire, quali suoi buoni e leali sudditi. ” S.A.R. ascoltata questa dichiarazione con particolare soddisfazione, dichiara a nome di S.M. Imperiale e da parte dell’augustissima Casa di accettare quest’atto di obbedienza e di ricevere, come ella riceve, sotto l’altissima protezione di S.M. Imperiale, e della sua augustissima Casa, la detta città e ducato di Milano, dopo di che S.A.R. si applicherà con particolare impegno per far loro sperimentare gli effetti della benignità e magnanimità tanto naturali alla augustissima casa verso questo stato ed i popoli soggetti al suo dominio. Alla stessa ora uscì l’Eminentissimo Cardinale Arcivescovo a congratularsi con lo stesso Signor Duca e questi,non so per qual suo fine, non volle attendere l’Eccellenza sua dal letto, ma gli uscì incontro malgrado fosse convalescente.

Il Cardinale, durante l’incontro che fu di un quarto d’ora, gli tenne sempre la mano destra stando ambedue in piedi. Alle 3 della notte ogni tribunale inviò la sua rappresentanza a fare i medesimi offici……
Le trattative per dare massima solennità all’ingresso in Città e al canto del Te Deum in Duomo si protrassero per due giorni e solo il 26 settembre Eugenio di Savoia entrava con sfarzosa solennità in Milano. “La mattina del 26 settembre, era una domenica, il Signor Principe Eugenio fu incontrato a Robarello (Corsico) dal Senato, tribunali, decurioni, da tutta la nobiltà e de infintà di popolo, che han gridato più viva che folle il Messia. Egli, levatosi dal suo campo accompagnato da tutta la generalità, e seguito da grosso nerbo di cavalleria, comparve entrando da Porta Ticinese.

Trovò quel lungo corso vagamente addobbato, con tutta la nobiltà riccamente vestita, le dame alle finestre con gala verde, si facevano sentire in modo che parevano tutte ebbre di gioia; fu accompagnato da continui viva fino alla metropolitana , mostrando il Signor Principe col proprio cappello in mano sommo aggrandimento al cuore di questo popolo: è una cosa che non si può esprimere. Alla porta del Duomo, incontrato dal Capitolo, fu con le solite cerimonie accompagnato fino all’altar maggiore, e postosi a sedere sotto il baldacchino, il Cardinale, fatto il cerimoniale solito coi Governatori di questa città, intonò il Te Deum”. Nota infine il cronista: La folla ha partecipato alla cerimonia, con quella capacità d’entusiasmarsi ad ogni mutamento e ad ogni manifestazione di forza , di cui darà sovente prova nei prossimi anni; si è assiepata dietro i cordoni della milizia urbana, che colla divisa di “lauro scaccato d’argento sul cappello” …. Eugenius Ope Dei Liberat Mediolanum A Perfidis Gallis Quell’anno il Principe Eugenio passò l’inverno in Italia (malgrado gli intrighi di Vienna tessuti dal Principe Salm).

Ma primeggiavano le trattative sui contributi dei Principi italiani ed in particolare i rapporti col cugino Vittorio Amedeo: quest’ultimo, era assai deluso per non essere stato Lui nominato Governatore generale della città di Milano (e averne ricevuto l’omaggio a nome dell’Imperatore).
Per far fronte alle richieste del Duca di Savoia (Vittorio Amedeo II appunto), Eugenio placò Torino con l’annessione di una parte del Monferrato, oltre che delle province di Alessandria e di Valenza.

Governò dapprima in nome dell’Imperatore Giuseppe, e quindi in nome del Re Carlo III di Spagna che dall’Imperatore suo fratello, aveva ricevuto il Feudo di Milano.

di Guglielmo Guidobono Cavalchini