La dinastia sabauda e l’aristocrazia

 

Ricordo che quando incontrai tanti anni fa Umberto II° ero rimasto impressionato non solo dall’amore e dal rimpianto per l’Italia che traspariva da ogni sua parola, e direi anche dagli sguardi, ma anche dalla sua conoscenza affettuosa di quello che per il Piemonte aveva rappresentato l’aristocrazia che era cresciuta in circa un millennio con la sua famiglia. È vero che la storia è un cimitero di imperi e di aristocrazie ma è anche vero che senza quelle non si fa la storia. Se guardiamo il divenire istituzionale, vediamo che sulle democrazie, quando cessano i valori che le avevano fondate, si manifestano delle oligarchie: esse ne rappresentano la degenerazione e la fine.

Quando invece da un popolo si formano le aristocrazie è la parte migliore di quel popolo che assume quasi una rappresentanza ideale dei valori che lo caratterizzano e proprio per questo lega alle dinastie che ne portano la corona. Questo si vede benissimo nel vecchio Piemonte che, possiamo dire, vanta un’aristocrazia che ha accompagnato la Casa di Savoia dal suo formarsi per tutto il suo sviluppo nei secoli.

Non c’è famiglia che in qualche modo non abbia avuto dei meriti verso la Dinastia Sabauda, nelle armi, negli studi, nelle leggi, nelle arti, nella beneficenza, nella santità. Quando ricordo all’università le lezioni di Guido Astuti mi aveva colpito una frase: quando un’aristocrazia non dà più i suoi figli alla chiesa e alla patria difficilmente rimane un’aristocrazia. E al tempo stesso mi viene da pensare a un’altra frase: quando una dinastia si dimentica dell’aristocrazia che l’ha accompagnata nei secoli non ha più le qualità che nei secoli l’avevano fatta degna di regnare. Per questo ritengo che le ultime generazioni di casa Savoia debbano conoscere, apprezzare e avere attenzione sul piano degli studi e soprattutto della conoscenza anche personale, l’aristocrazia del vecchio Piemonte, quell’aristocrazia che va seguita nel suo svilupparsi, nel suo affermarsi e nella scia luminosa di un grande destino storico. È un patrimonio questo che non va perduto, perché soltanto da questo nascono gli stati salvi e le fortune di un popolo e di chi è stato chiamato a guidarlo. Giorgio Lombardi

Note di Gustavo di Gropelli e Giorgio Lombardi giugno 2009 VIVA 115