Cavalleria 10 anni dopo

 

Il libro di Rosellina Piano “CavalleriaLa società militare e civile nella Pinerolo di Caprilli” fornisce una suggestiva descrizione di uno spaccato della belle époque e termina il racconto nel 1907 con un cenno ad alcuni eventi sportivi di grande richiamo per il mondo di cui parla quali il Concorso Ippico internazionale di Roma e la targa Florio.

L’aspetto della vita dei giovani ufficiali descritto nel libro rappresenta tuttavia solo una parte della realtà, né poteva essere diversamente, il libro è un romanzo.

Vale qui la pena di dare un’occhiata anche all’altra parte della realtà, non va dimenticato che quei giovani contesi nei salotti e nelle feste, che proseguivano nelle danze sino all’alba erano gli stessi che usciti dalla festa appena in tempo per cambiare l’uniforme da sera con quella di servizio si presentavano puntuali in caserma.

La loro vita non era fatta solo di feste, concorsi ippici, cross, cacce alla volpe, c’erano gli impegni di servizio e l’addestramento, scendere a cavallo dei dirupi che una persona di comune buon senso non avrebbe sceso neppure a piedi, le gare di pattuglia, la partecipazione al campionato per il cavallo d’arme, istituito proprio nel 1907 con delle prove durissime che ha dato vita all’odierno concorso completo: marcia di 50 km. a velocità di 10 km/h, prova di velocità in campagna su un percorso di circa 25 km, una prova di concorso di 3 km da compiere nel tempo massimo di 6 min con ostacoli alti fra il metro e 10 ed il metro e 20 Una vita spesa in un mondo particolare come quello del reggimento, al vertice del quale vi era il colonnello comandante, mitica figura la cui presenza incombeva in ogni momento nella vita del reggimento, ve ne erano di tutti i tipi, alcuni con la bruttissima abitudine di presentarsi in quartiere subito dopo la sveglia e talvolta anche prima, altri che anche se non lo facevano era come se fossero sempre presenti. Questo personaggio che incombeva nella vita quotidiana degli uomini era il custode della tradizione e in un certo senso incarnava il senso dell’onore e del dovere.

I suoi compiti andavano molto al di là della pura e semplice, anche se importante, istruzione militare, doveva tener vivo lo spirito di corpo, destare lo spirito di cameratismo fra gli ufficiali, mantenere in continua attività i dipendenti curando il loro benessere e vigilando perché essi facessero altrettanto verso la truppa, perché si mantenessero saldi quei legami fondamentali nei difficili momenti del combattimento.
E questo forse può spiegare perché solo qualche anno dopo, quegli uomini che nel libro di Rosellina Piano appaiono un po’ fatui, si comportarono in modo da lasciare ammirato anche il non facile nemico, fatto di cui peraltro la stessa autrice fa cenno nell’epilogo della sua opera.

Non mette conto ricordare i molti citati nel libro che ricevettero Febbraio e marzo: in programma 3 incontri che riteniamo di grande interesse! 2 prestigiose decorazioni, sarebbe troppo lungo1 , e gli altri che pur non avendo ricevuto nessun riconoscimento si coprirono di quella che vien chiamata gloria, ma che spesso per i militari di quello stampo era solo soddisfazione del dovere compiuto. Fatta questa premessa passerò a parlare di una vicenda che, dieci anni dopo i fatti narrati dall’autrice, vide attori molti dei personaggi del libro così come molti ufficiali che prima e dopo di loro uscirono dalla scuola di Pinerolo. Affronterò la descrizione dei fatti immediatamente successivi a quella battaglia che nelle memoria collettiva è rimasta col nome di Caporetto. Sulla quale sono stati scritti innumerevoli libri, ma di cui vi è forse qualche tassello poco conosciuto, quello cioè che fecero i personaggi decritti da Rosellina Piano, giovani che appaiono più ansiosi di successi con le fanciulle e i cavalli che uomini d’azione dotati di coraggio e determinazione. Doti che 1 Vittorio Litta Modignani e Giorgio Emo Capodilista ebbero l’ordine Militare di Savoia, Cesare Botta e Giovanni Battista Starita la medaglia d’argento al V.M., Aldo Aymonino, Negroni Prati Morosini, Paolo Piella, Leone Tappi, Ubertalli e Alberto della Chiesa di Cevignasco la medaglia di bronzo al V.M. invece dimostrarono di possedere in uno dei momenti più critici della prima guerra mondiale, in quella battaglia della quale in genere si conoscono solo gli aspetti della sconfitta e non quelli che consentirono di salvare 2^ e 3^ Armata ed organizzare sul Piave la difesa che nel novembre del 1917 fermò l’offensiva austro-tedesca. A quegli uomini fu semplicemente chiesto, mentre gli altri fuggivano o ripiegavano più o meno in ordine, di andare incontro al nemico e di fermarlo o almeno di rallentarlo per far sì che chi ripiegava lo facesse senza essere incalzato dall’avversario ed avesse il tempo di riorganizzarsi. In altre parole di sacrificare se stessi per salvare il resto dell’esercito. Non è facile avanzare mentre gli altri retrocedono se non si hanno fredda determinazione e sicura consapevolezza del proprio dovere, che non è quello di domandare i perché ma solo quello di obbedire. E ciò non valse solo per gli ufficiali ma anche per i dragoni, lancieri e cavalleggeri dei reggimenti che vennero impiegati.

I motivi per i quali i soldati di cavalleria, uomini dello stesso proletariato contadino cui apparteneva la massa dei fuggiaschi si comportarono in modo del tutto diverso sono individuabili in pochi fattori essenziali. Sgombero subito del primo che è vero solo in parte, che erano meno logorati dalla guerra di trincea, non vero perché tutte le unità di cavalleria vennero impiegate a turno ed appiedate nelle trincee di tutti i fronti (MdA VM a ten Alfonso Borsarelli di Rifreddo, ten Emilio Guidobono Cavalchini, ten Paolo Rignon, cap Cesare Giriodi di Monastero, col Lionello Paveri Fontana, asp. Alessandro Asinari di S. Marzano, col Vittorio B.B. di Sambuy ) Gli altri motivi furono la forza dell’esempio dei comandanti, il forte legame che univa i gregari ai capi per la particolare azione di comando cui ho fatto cenno, l’attaccamento che si sviluppa fra l’uomo ed il cavallo, per cui il primo non abbandonerebbe mai il secondo per fuggire, l’autodisciplina che consegue al dominio su se stesso e sul cavallo. E non sono parole perché queste erano le scene che i cavalieri vedevano risalendo le truppe in ritirata mentre andavano incontro al nemico per fermarlo Affrontiamo ora la narrazione di quegli eventi per la parte di più specifico interesse. Nell’agosto del 1917 dopo la cosiddetta battaglia della Bainsizza l’esercito austriaco era assai logorato tanto da far pensare che non avrebbe resistito a lungo, così il comando supremo austriaco si rivolse alla Germania per condurre un’offensiva che ristabilisse la situazione sulla fronte Giulia. La fronte austro-italiana si sviluppava dallo Stelvio a mare, il 24 ottobre 1917, vi erano schierate da parte: – austro tedesca: il gruppo di Armate Conrad dallo Stelvio al Rombon (interessa poco la trattazione, 144 btg), la 14^ Armata germanica dal Rombon a Selo con 15 D. (160 btg e 1976 pezzi), e il Gruppo di Armate Boroevic ( 1 e 2 A. dell’Isonzo) da Selo (Bainsizza) al mare con 21 D. (253 btg e 2152 pezzi); – da parte italiana (per la sola parte d’interesse): la cosiddetta Zona Carnia dal Peralba al M. Rambon con 2 divisioni (31 battaglioni e 511 pezzi); 3 la 2^ Armata dal Rombon al Vipacco con 25 D. (253 btg e 2430 pezzi), la 3^ dal Vipacco al mare con 9 D. (108 btg e 1196 pezzi). In riserva erano 7 divisioni a disposizione del Comando Supremo L’attacco, come noto, ebbe inizio nelle prime ore del mattino del 24 ottobre, la 14^ Armata germanica, cui era affidato lo sforzo principale doveva sfondare il fronte fra Plezzo e Tolmino avendo come primo obiettivo l’area fra Gemona e Cividale, sforzo supportato da attacchi del Gruppo Boroevic sulla Bainsizza a sud e dalle forze di Conrad a nord che avevano come obiettivo le alte valli del Fella e del Tagliamento.

Circostanze di varia natura, che non è il caso di richiamare in questa occasione per motivi di tempo, fecero sì che a seguito dello sfondamento della linea difensiva il giorno 27 il Comando Supremo ordinasse il ripiegamento del fronte Giulio dietro il Tagliamento. Ripiegamento che avrebbe dovuto avvenire sotto la protezione di alcune Grandi Unità appositamente designate, che però dimostrarono subito di essere inadatte.. La pianificazione della ritirata saltò la mattina del 28 ottobre quando il nemico ruppe il fronte delle retroguardie sul F. Torre a Beivars, perché costrinse la 2^ Armata a ripiegare in gran fretta verso il Tagliamento scoprendo completamente il fianco della 3^ Armata che retrocedeva in ordine e lentamente, rendendo critica la sua situazione in quanto doveva passare il fiume in corrispondenza dei ponti della Delizia, Madrisio e Latisana su cui, nella condizione creatasi, potevano arrivare prima austriaci e tedeschi. A questo punto il Comando Supremo decise interporre fra le unità in ripiegamento e il nemico avanzante le unità di cavalleria disponibili. Diciamo due parole su questa cavalleria, nei due anni e mezzo precedenti non avendo potuto avere il suo classico impiego a cavallo aveva dato il suo contributo alle altre armi, presidiando appiedata le trincee su tutti i fronti, costituendo compagnie mitraglieri che poi erano state assegnate alle G.U di fanteria, formando reparti di bombardieri e cedendo parte dei suoi quadri alla stessa fanteria, all’artiglieria ed alla nascente aviazione.

I reparti esistenti erano quindi stati ridotti drasticamente, i reggimenti erano su 4 squadroni di 100 cavalli e uno squadrone mitraglieri. Un reggimento in tutto non contava così nemmeno 500 uomini.

Essa era stata ripartita in quattro divisioni per un totale di 16 reggimenti mentre gli altri erano stati assegnati, come supporto a diverse Grandi unità. Poco prima dell’inizio dell’offensiva le divisioni di cavalleria erano state inviate in fase di riordinamento all’interno, così il 24 ottobre la 1^ D. (rgt Monferrato, Roma, Genova e Novara) si trovava fra Treviso e Padova, la 2^ (rgt Milano, Vittorio Emanuele, Aosta e Mantova) con il rgt Saluzzo (della 3^ D.) era nella zona di Udine, la 3^ (rgt Vicenza, Savoia, Montebello) a Gallarate, la 4^ (rgt Nizza, Vercelli, Guide e Treviso) era in Piemonte. L’ordine di ritornare al fronte giunse loro la sera dello stesso 24, contestualmente venne ordinato che le batterie a cavallo, impiegate come batterie da posizione, fossero rimontate e messe a disposizione delle divisioni di cavalleria, unitamente ad unità di bersaglieri e bersaglieri ciclisti e alle squadriglie di autoblinde. In conseguenza degli ordini e della dislocazione iniziale delle forze il Comando Supremo poteva disporre in un primo tempo di due G.U. di cavalleria (1^ e 2^ D) e poi di tutta l’arma per contrastare un avversario che fosse sfociato in pianura e consentire secondo i piani iniziali di schierarsi dietro il Tagliamento. (2^ A: 3 sqd di Alessandria; 2 sqd di Umberto I; 2 sqd di Udine, 3 sqd di Firenze; 1 sqd di Lucca. 3^ A.: 2 sqd di Piemonte, rgt Foggia; 2 sqd di Caserta; 2 sqd di Udine; 5 sqd appiedati Prima di sintetizzare cosa facero le Divisioni, meritano un cenno almeno un paio dei tanti episodi di cui furono protagonisti nei giorni dal 24 al 27 i reggimenti assegnati in rinforzo alle divisioni di fanteria soggette all’attacco avversario. Il 25 in val Natisone da Caporetto ripiegava la D. del Gen Gonzaga, che giunto a Stupizza, per pianificare gli ulteriori movimenti diede ordine ai cavg di Alessandria che erano a supporto della sua G.U. di riconoscere le direzioni di movimento del nemico e la sua consistenza, venne quindi fatto uscire dalle linee italiane un distaccamento di 28 uomini al comando del tenente Laus per andare incontro al nemico e cercare le notizie che servivano, si aggiunsero a questi come volontari il capitano Delleani (cte del gr.) e il tenente Casnati. L’unità suddivisa in piccoli gruppi avanzò e dopo poche centinaia di metri incontrò un avamposto tedesco, lo aggirò e proseguì per altri 800 metri quando venne fermato da un grosso sbarramento stradale dal quale si scatenò il fuoco delle mitragliatrici nemiche, che non lo fermarono perché insistè nella ricerca delle notizie necessarie per consentire al comandante della Divisione di portare in piano per la via più sicura la sua unità I cavalleggeri caddero quasi tutti, di essi tornano il Delleani, il Casnati e 4 soldati che riferirono al Gen Gonzaga le notizie che aveva richiesto e che gli consentirono di predisporre il ripiegamento successivo. A difendere la stretta di Stupizza, e consentire alla Divisione di scendere in sicurezza per la Val Natisone restò la 853^ compagnia mitraglieri costituita con il personale dei cavg di Roma

Il 27 e 28 reparti di Alessandria protessero prima il ripiegamento delle fanterie della 34^ D su Nimis poi vennero inviati a presidiare il ponte sul Tagliamento fra Trasaghis e Braulins per impedirne l’attraversamento da parte del nemico, quando dopo il 29 il ponte fu fatto saltare due sqd rimasero a difesa di riva destra per proteggere il ripiegamento di carriaggi e comandi passando al termine di questi compito in rinforzo al rgt cavalleggeri di Saluzzo per costituire, come si dirà, il gruppo Airoldi Mentre il 2° squadrone venne mandato a Stazione per la Carnia e Tolmezzo per distruggere lungo la strada magazzini e ponti. Questo tornato indietro al termine della missione andò a costituire, avanguardia delle 63 D. di fanteria, che da Alesso per sentieri di montagna ripiegava per S. Francesco e Clauzetto. In quest’ultima località lo sqd il 5 novembre trovò la strada sbarrata dagli austriaci che intimarono la resa allo sqd, il comandante, cap Tuffanelli, appiedò gli uomini ed iniziò il combattimento, stava per soccombere quando l’arrivo di un btg alpini costrinse gli austriaci a lasciare il campo. Il capitano gravemente ferito venne lasciato in una località poco vicina dove sarà catturato. Quando il 9 novembre il reggimento si ritroverà a Cimolais, oltre il Piave, i suoi uomini saranno meno del 50%. La mattina del 25 il rgt cavalleggeri di Saluzzo, comandato dal col Airoldi di Robbiate, dislocato a Povoletto, vicino Udine, dove si stava riordinando dopo aver partecipato alla battaglia della Bainsizza, sia pure ridotto a soli 3 sqd, venne spostato a Cividale con il compito di inviare distaccamenti esploranti lungo le numerose vallate che dalle Prealpi convergono verso quella cittadina. Il 27 rinforzato da un gruppo del rgt Umberto I fu schierato a Torreano da dove inviò pattuglie per prendere contatto e rallentare il nemico, successivamente venne impiegato dietro la linea delle retroguardie di fanteria per eliminare le inflitrazioni avversarie nel debole schieramento difensivo, con lo squadrone al comando del capitano Honorati nel corso della giornata intervenne vicino a Ronchis, a bloccare e ricacciare con una carica il nemico che aveva superato la linea delle retroguardie. Nella serata del 27 il rgt occupò Salt, centro abitato poco ad est di Udine, dove convergevano le forze nemiche, impedendone la conquista. La mattina del 28, passando alle dipendenze della 2^ D. di cavalleria venne spostato sulla riva destra del Torre a S, Gottardo, all’estremità di sinistra dello schieramento della Divisione. Il nemico verso le 7 del mattino iniziò l’investimento in forze del caposaldo di Beivars, tenuto da forze di fanteria, e dopo alcune ore di combattimento riuscì ad occupare la cinta esterna del villaggio mentre i nostri si disponevano a difendere l’abitato casa Anche i due incontri di marzo sono davvero interessanti…e il concerto del 26 è addirittura entusiasmante…! Fidatevi! Provare per credere! 2 per casa. A questo punto, attirato dall’intensità del fuoco avversario intervenne ancora Saluzzo, che con lo squadrone del capitano Honorati caricò il nemico sul fianco sinistro del suo schieramento, riuscendo a penetrare in profondità sino alle postazioni delle mitragliatrici, consentendo alla fanteria di sganciarsi ed evitare l’annientamento. Il reggimento rimase invece a contato col nemico, si organizzò a difesa al molino di Hoche vicino ad Udine, per dare un ulteriore tempo di arresto all’azione avversaria e consentire alla fanteria di distanziarsi dal nemico. Qui si fermò per circa tre ore a fronte di un avversario sette otto volte superiore in numero, i cavalleggeri, è il caso di dirlo fecero dei veri prodigi di valore. Numerose furono le decorazioni date a semplici soldati che benchè feriti rimasero in linea a combattere fino a quando il reparto non rimontò a cavallo È questo, come ho accennato, un momento critico nella pianificazione della difesa italiana, perché la linea difensiva sul Torre risultava sfondata e all’avversario si apriva la via per dilagare nella pianura friulana; mentre da Udine e da molti altri paesi si intensificava la fuga disordinata dei civili che si mescolavano ai reparti in ritirata e a volte in rotta intasando le strade e rendendo difficile il compito di chi era chiamato a risalire da ovest per andare a fermare il nemico. Viste queste prime azioni, già del 27 vennero impiegate le due divisioni di cavalleria disponibili, la 1^ al comando del gen Pietro Filippini destinata a coprire il fianco della 3^ Armata; la 2^ al comando della quale era, il gen Litta Modignani (nome noto ai lettori del libro che lo hanno conosciuto da maggiore e tenente colonnello e che arriverà un paio di giorni dopo), costituita dalla III B. sui rgt Milano e Vittorio Emanuele e IV B. sui rgt Aosta e Mantova e destinata a coprire le retroguardie della 2^ Armata . L’azione della 2^Divisione Il 27 di ottobre la IV B. (Aosta e Mantova) venne impiegata per ostacolare le avanguardie nemiche che tendevano a varcare il Natisone a valle di Cividale, tenendo l’avversario per l’intera giornata sulla riva sinistra del fiume, ed abbandonando le posizioni solo dopo che il nemico aveva passato il fiume a nord di Cividale rendendo inutile la sua resistenza. Dovette però aprirsi il varco caricando le truppe tedesche che a Moimacco e Ziracco gli tagliavano la strada per andarsi a riposizionare dietro il Torre. Il giorno 28 la divisione si schierò sul Torre, sul quale si svolse il combattimento di Beivars di cui si è detto, poi a seguito della tumultuosa evoluzione degli avvenimenti nella giornata del 28, rinforzata da tre btg di bersaglieri ciclisti fu schierata fra Feletto Umberto-Colugna-canale Ledra con la fronte a sud est per dare protezione al fianco destro dell’Armata in ripiegamento, da dove con continue azioni di pattuglie logorò la progressione avversaria sino a quando avendo i tedeschi sfondato le difese più a nord a Tavagnacco, ricevette l’ordine schierarsi entro l’alba del 29 sulla linea la Fabbrica – Plasencis con l’ordine di resistere ad oltranza per sbarrare gli accessi sul Tagliamento sui ponti che il genio doveva gettare a Bonzicco, S. Odorico e Rivis per consentire passaggio del fiume alle truppe in ritirata. Alle 10 del 29 la situazione era però di nuovo cambiata, la piena del Tagliamento aveva impedito che fossero gettati i ponti e di conseguenza tutti i reparti del centro della 2^ Armata dovevano utilizzare i ponti di Pinzano e Cornino, pertanto alla D. di cavalleria era chiesto di proteggere il ripiegamento delle retroguardie e non più di difendere i passaggi sul Tagliamento. Fu in questo frangente che le punte di lancia della penetrazione austro tedesca avanzanti sull’asse Udine – Dignano- Spilimbergo andarono ad urtare contro la 2^ D. a Fagagna. Essa fu attaccata dalla 12 germanica, la cui superiorità era schiacciante, pertanto dopo un giornata di combattimento dovette ripiegare sul canale Ledra da dove fu poi chiamata a concorrere alla difesa della testa di ponte di S. Daniele. La mancanza di passaggi sul Tagliamento fra Codroipo e Pinzano aveva costretto i quattro Corpi d’Armata che formavano l’ala sinistra ed il centro della 2^ Armata a dover passare il fiume all’altezza di S. Daniele, si rese così necessario prolungare quanto più possibile la difesa della testa di ponte. Nella notte sul 30 la divisione, ridotta ormai a poche centinaia di uomini venne attaccata di nuovo e dopo una tenace resistenza ripiegò su Ragogna dove ricevette l’ordine di transitare sulla riva destra del Tagliamento per andare a fronteggiare avanguardie nemiche che si diceva avessero passato a nord il fiume e scendessero per la stessa valle del Tagliamento e del Torrente Cosa. Azione della cavalleria a protezione della ritirata della 3^ Armata. Il 25 ottobre dalla zona fra Padova e Treviso ove si trovava la 1^D. di cavalleria iniziò per via ordinaria il trasferimento nella zona a sud di Udine, la costituivano la I B. (Gen Gatti) con i rgt Monferrato (col Lorenzo Gandolfo) e Roma (col Camillo Filipponi di Mombello) e la II rgt Genova e Novara al comando del gen Emo Capodilista. Il compito affidato alla divisione era la protezione del fianco sinistro della 3^ Armata per bloccare le provenienze da Udine. Nei giorni fra il 27 ed il 28 furono assunti dalla divisione diversi schieramenti in relazione all’evolversi della situazione sul Torre, sino a quando alle 6,30 del 29 in relazione all’avanzata nemica sull’asse Udine-Codroipo che accentuava la minaccia che gli austrotedeschi riuscissero a tagliare la strada alle truppe in ripiegamento fra il Torre ed il Tagliamento la divisione ricevette l’ordine di occupare Pasian Schiavonesco, cui inviò la I B. e Pozzuolo del Friuli dove mandò la II. Mentre la I B. si stava dirigendo verso la località assegnata le pattuglie distaccate dal rgt di Monferrato segnalarono che il nemico era ormai vicinissimo, il comandante della B. diede allora ordine di schierarsi appoggiando i fianchi uno alla massicciata ferroviaria della Udine-Venezia e l’altro a dei modesti fossi., unici ostacoli in una pianura che assomiglia ad un biliardo (non per nulla vi è stato poi realizzato l’aeroporto di Rivolto sede delle frecce tricolori). Erano le tre del pomeriggio quando il 12° rgt granatieri della 5^ D. germanica sostenuto dal fuoco d’artiglieria mosse all’attacco. La netta superiorità delle forze avversarie rendeva la resi- 3 stenza molto difficile in un terreno aperto e senza appigli mentre si stava profilando un aggiramento delle posizioni della brigata a sud, così per alleggerire la pressione e bloccare la manovra avversaria furono lanciati alla carica stendardo in testa due sqd di Monferrato. In questa azione il fuoco delle mitragliatrici tedesche e lo scoppio accidentale di un deposito di munizioni fecero molte vittime fra i caduti l’alfiere del rgt, tuttavia malgrado le perdite la carica riuscì a rallentare la spinta nemica e ad evitare la minaccia di aggiramento.
Per la morte dell’alfiere andò perso lo stendardo che rimasto sotto il corpo dell’ufficiale fu trovato da un contadino che lo nascose per restituirlo poi a fine guerra.
La perdita dello stendardo fu però pagata a caro prezzo dal rgt, cui fu sempre rinfacciata malgrado il sacrificio compiuto, l’eroico comportamento e l’accidentalità dell’evento Ovviamente anche il rgt Roma che faceva parte dello schieramento difensivo fu pesantemente investito e resistette fino a quando non ebbe ordine di lasciare le posizioni, fra i caduti di questo reggimento il cap Giancarlo Castelbarco Visconti, il nonno di Alessandra, medaglia d’oro al V.M. di cui resta oggi a ricordo del suo eroico comportamento un piccolo monumento situato all’altezza dell’aeroporto militare di Codroipo. (se c’è tempo cenno sull’atto eroico). La Brigata dopo il modesto arretramento rimase altre due ore sul torrente Lavia, finché premuta sulla fronte e minacciata sui fianchi dovette ripiegare prima su Basagliapenta e quindi su Zompicchia, dove sopraggiunta la notte il generale Gatti riordinò i superstiti dei due reggimenti poco più di 200 uomini, che nella mattinata del 30 ricevettero l’ordine di passare il Tagliamento e che, come si vedrà proseguirono nell’azione di protezione delle truppe di fanteria dal Tagliamento al Piave fra il 2 e l’8 novembre. Nel frattempo la II B. si trasferiva a Pozzuolo del Friuli dove giunta sul far della sera del 29 con l’ordine di tenere la posizione per almeno 24 ore. Tanto era necessario per far sì che si riuscisse a far passare alle truppe della 3^ Armata i ponti a Madrisio e Latisana.

Il generale Emo Capodilista spiegò in modo molto chiaro la situazione nel rapporto ufficiali che tenne appena arrivato in paese “Noi dobbiamo tenere il posto e resistere costi quel che costi sino a domani sera. A quel momento la 3^ Armata avrà passato il Tagliamento, assegno ai dragoni di Genova la difesa del lato est del paese … ai lancieri di Novara il lato ovest … “ Sembra che abbia soggiunto “Questo dovrà essere il nostro camposanto”. Il 30 dopo alcuni scontri preliminari fuori del paese, dove le pattuglie distaccate dai reggimenti andarono incontro al nemico per saggiarne la consistenza e verificare le direzioni di attacco, alle 1100 del giorno 30 ottobre Brigata asserragliata nella cittadina venne investita dai reparti della 5 divisione germanica cui si era aggiunta l’avanguardia della 7^ austriaca che aveva ributtato nella cittadina parte della Brigata Bergamo, una delle unità che avrebbe dovuto partecipare ad un contrattacco.

Genova e Novara respinsero il primo attacco e successivamente uno squadrone di Novara caricò per ben due volte la fanteria avversaria fuori del paese per impedire il suo aggiramento. È inutile perdersi nei singoli episodi della lotta, che si svolse casa per casa barricata per barricata sino a quando scaddero le 24 ore. A questo punto il generale Emo Capodilista, indicato il punto di ritrovo in una località nei pressi del torrente Corno diede l’ordine di sganciarsi. Restano fra gli episodi più noti quello del capitano Laiolo di Genova, che visto che dopo che aveva abbandonato la barricata il nemico si avanzava minacciando la manovra di sganciamento, caricava l’avversario rimanendo sul campo. Altro è quello di un altro personaggio noto ai lettori del libro della signora Piano Giovanni Battista Starita, comandante del II gruppo squadroni di Novara che qui guadagnò una medaglia d’argento al V.M..

Questi già ferito rimontò a cavallo per guidare i suoi uomini verso la salvezza, trovata la strada bloccata dal nemico lo caricò, colpito un’altra volta, proprio nei pressi dove due anni prima era caduto il suo fraterno amico Gaspare Bolla, rifiutava l’aiuto dei suoi cui comandava di raggiungere quanto prima il punto di raccolta da dove avrebbero potuto proseguire la lotIl 28 aprile ed il 9 maggio segnaliamo due interessanti iniziative di Associazioni a noi vicine. Il nostro prossimo incontro sarà invece martedì 5 maggio. 2 ta. Il nemico lo trovava sotto la sua cavallina Cenerentola, abbattuta dalla scarica che lo aveva colpito per la seconda volta. Le gravissime ferite ad un arto lo portarono ad un passo dall’amputazione che rifiutò dicendo che preferiva morire piuttosto che restare un menomato oggetto di compassione.

Alla fine della guerra riuscì a rientrare in servizio e dal 1922 al 27 fu istruttore di equitazione a Tor di Quinto, e nel 1924 fu a capo della spedizione italiana alle Olimpiadi di Parigi, ove la squadra italiana di completo (Lombardi, Alvisi di Pralormo) guadagnarono la medaglia di bronzo. Per dare un idea dello sforzo fatto è da ricordare che la forza della brigata la mattina del 30 ottobre era di 65 ufficiali e 903 fra sottufficiali e truppa e 908 cavalli, la sera dello stesso giorno essa si era ridotta a 37 ufficiali, 467 uomini e 528 cavalli.

Il disegno strategico del Comando Supremo di interporre le due divisioni di cavalleria fra le truppe in ritirata e il nemico aveva avuto successo, gli austro-tedeschi erano stati rallentati sì che le unità della 2^ e 3^ Armata erano riuscite a superare il Tagliamento. Ben a ragione il bollettino del comando Supremo del 1 novembre 1917 recitava “la 1^ e la 2^ Divisione di cavalleria, specie i reggimenti Genova e Novara, eroicamente sacrificatisi meritano soprattutto l’ammirazione e la gratitudine della Patria”.
La sera del 30 ottobre il nemico, si attestava sulla riva sinistra del Tagliamento da Tolmezzo sino a Boncicco, a parte la testa di ponte che i nostri tenevano ancora a Pinzano, raggiungeva Codroipo e poi scendeva verso il mare seguendo il torrente Corno . L’azione di contenimento fin qui descritta aveva però consentito all’ala destra della 2^ Armata di modificare la direzione di marcia e di riuscire a passare il fiume a Madrisio e Latisana, anziché a nord di Casarsa su ponti di equipaggio, unitamente ai reparti della 3^ Armata, le cui retroguardie, fra cui Piemonte cavalleria, attestate sul torrente Stella avevano consentito alle restanti unità di portarsi sulla riva sinistra del fiume in tranquillità. Col 31 si chiuse la fase nella quale le nostre truppe ripiegarono a immediato contatto col nemico ed iniziò quella nella quale la ritirata si svolse in modo regolare sotto la protezione di retroguardie convenientemente distanziate dai grossi.
Le direttive del Comando Supremo prevedevano che il ripiegamento al Piave si dovesse svolgere in modo continuo da parte dalla massa delle unità mentre le forze di retroguardia dovevano guadagnare una decina di giorni, per dare tempo agli altri di passare il Piave e sistemarsi a difesa.
Le forze di retroguardia vennero allora divise in due scaglioni, uno di fanteria, con funzioni di arresto, che avrebbe dovuto irrigidire la difesa in corrispondenza di determinate posizioni ed uno di forze mobili (cavalleria, bersaglieri ciclisti, autoblindo mitragliatrici) che doveva contrastare l’avanzata del nemico logorandolo, quindi portarsi dietro lo scaglione di arresto di cui avrebbe dovuto favorire lo sganciamento nel momento in cui fosse stato deciso di abbandonare la posizione di arresto e quindi ricominciare l’azione di contrasto mobile. Tutte cose abbastanza facili a dirsi ma assai più complesse a realizzarsi. Per ottenere questo risultato era previsto di irrigidire la resistenza, una volta lasciata la linea del Tagliamento in corrispondenza degli allineamenti Cellina-CasarsaTagliamento, fiume Livenza, e fiume Monticano-Livenza, la differenza fra l’andamento degli allineamenti fra le due fasce della pianura friulana, era dovuto alle condizioni del terreno, molto più ricco di difficili ostacoli naturali nella fascia costiera dove si muoveva la 3^ Armata. Il comando delle forze mobili operanti fra Tagliamento e Piave fu affidato al Conte di Torino cui vennero messe a disposizione oltre alle divisioni di cavalleria, le batterie a cavallo, bersaglieri ciclisti ed autoblindomitragliatrici.

Il 2 novembre la 1^ e 2^ divisione di cavalleria erano schierate a ridosso delle forze incaricate della difesa del Tagliamento da nord di Pinzano a Spilimbergo, ad esse si affiancava il cosiddetto gruppo Airoldi, costituito dai resti dei reggimenti Saluzzo, Umberto I, Alessandria e da bersaglieri, il gruppo Piella (altro personaggio fra quelli dell’autrice) comandante di Firenze col suo rgt rinforzato da cavalleggeri di Udine. La 3^ D. in afflusso era ad Aviano, con essa erano in afflusso altre unità di cavalleria già supporti della 2^ A Gli austro-tedeschi intanto fra il 31 ottobre ed il 2 novembre tentarono più volte di forzare il Tagliamento senza riuscirvi, sia per la resistenza incontrata sia per la piena del fiume, lo passarono invece il giorno 3 quando il livello delle acque scese sfondando le linee di difesa nei pressi di Cornino da dove penetrò lungo la fascia pedemontana con l’intento di separare le unità della zona carnica da quelle della pianura. Le cose non andarono però come pianificato, l’avversario irruppe in forze Malgrado fosse stato previsto le retroguardie di fanteria non furono fatte fermare sul Cellina ma vennero avviate subito sul Livenza, A contrastare gli austro-tedeschi rimasero quindi le D. di cavalleria rinforzate dai battaglioni di bersaglieri, bersaglieri ciclisti e da autoblindomitragliatrici, dai gruppi Airoldi e Piella costituiti da elementi tratti da diversi reggimenti di cavalleria e battaglioni bersaglieri.

Nella tarda serata del 5 mentre stava per andare per passare il Livenza e lasciare agli altri il compito di contenere l’avversario, la 3^ 3 divisione di cavalleria ricevette l’ordine di tornare sui suoi passi per agevolare lo sbocco in piano di due divisioni che operavano in Carnia, per questo ebbe in rinforzo due battaglioni di bersaglieri ciclisti. L’unità lanciata in mezzo alle colonne austrotedesche riuscì ad infilarsi in mezzo ad esse, senza però riuscire a collegarsi con le divisioni italiane che nel frattempo erano state fatte deviare per altra strada. Si trovò quindi nella difficile condizione di doversi aprire un varco cosa che fece combattendo aspramente e riuscì a ripassare il Livenza il giorno 7 giusto in tempo per partecipare allo sganciamento da questa posizione per portarsi sul Piave. Le forze che dovevano tenere la linea del Livenza non erano molte, per presidiare tutto il settore il fu necessario attingere anche ai cavalieri, ma quando le fanterie si staccarono per andare a posizionarsi oltre il Piave ed ancora una volta i gruppi Airoldi e Piella ed i rgt di cavalleria disponibili, lancieri di V.E., di Mantova, i cavg di Vicenza i lancieri di Aosta, di Milano, di Vercelli i cavg Guide, ed i dragoni di Nizza.
La lotta di frazionò in centinaia di episodi che non è possibile riassumere. Basta solo ricordare lo straordinario coraggio e spirito di sacrificio del cosiddetto gruppo Piella che quando il nemico tentò di sfondare la linea sul Livenza a Porto Buffolè e sul Piavon seppe contenerlo con una incredibile energia Allo stesso modo quando nel pomeriggio del giorno 8 fu lasciata la linea sul Livenza, per un errore di interpretazione degli ordini, le fanterie non si fermarono sul Monticano che doveva essere tenuto sino a tutto il giorno 9, ma andarono direttamente oltre il Piave. Cavalieri e bersaglieri si trovarono così soli a fronteggiare l’avversario, i cavalieri di Savoia, Montebello, Piemonte reale, Foggia, Caserta e i bersaglieri del colonnello Sifola e del maggiore Bellotti fecero miracoli di valore e furono gli ultimi a passare sulla riva destra del Piave, fra i tanti cadde facendo fronte al nemico il comandante del rgt Piemonte reale.
Un anno dopo quegli stessi di nuovo a cavallo ripercorsero di corsa le stesse strade precedendo le fanterie per raggiungere Trento, Udine e spingersi il più avanti possibile, ma questa è un’altra storia intrisa anch’essa di sangue che costituisce però l’unico esempio di impiego della cavalleria italiana secondo uno schema napoleonico, assomiglia alla campagna del 1806 con la cavalcata della cavalleria francese da Jena a Danzica.

La chiacchierata di oggi è in sintesi una parte dell’avventura di cui il libro cavalleria è la premessa. Cosa c’è da dire, non bisogna lasciarsi tradire dal comportamento che può sembrare terribilmente superficiale se non infantile di quei giovani, che sembrano non aver altro in mente che la gioia di vivere ma che hanno radicato un profondo senso della disciplina, dell’onore e dello spirito di corpo .

Non si spiega altrimenti il fatto che risalendo quella massa di sbandati non vi sia stata in nessuno, nemmeno fra i soldati, un briciolo d’incertezza, che non vi sia stata alcuna manifestazione d’indisciplina.
Fu il morale l’arma vincente, frutto ancora una volta dello spirito di corpo, della comunione profonda fra gli ufficiali e la loro truppa, la secolare tradizione di disciplina che permeava quelle unità.

 

di Alberico Lo Faso di Serradifalco