Il palazzo Falletti di Barolo

Una casa di proprietà dei Druent esisteva da tempo quando il Conte Carlo Amedeo Provana di Druent, dignitario di Corte e Primo Scudiero del Duca, decise di ampliarla ed abbellirla.
I lavori non ebbero però una conclusione rapida.
Toccò al figlio di Carlo Amedeo, Conte Ottavio Provana di Druent, ricordato nella tradizione popolare torinese come “Monssù Druent”, il compimento del palazzo. Nel 1692 egli affidò all’architetto Francesco Baroncelli l’incarico di procedere nei lavori; le opere continuarono sino al 1694, anno di morte del Baroncelli, portando a compimento la parte centrale, con l’atrio, lo scalone e il salone superiore.
Una tradizione racconta che, nel 1695, in occasione del gran ballo dato a palazzo per le nozze della figlia del Conte, Elena Matilde con Gerolamo Gabriele Falletti di Barolo, presenti il Duca Vittorio Amedeo II con la moglie Anna d’Orléans (“Colombina d’amore”), la rampa centrale dello scalone avesse ceduto, senza provocare vittime, ma causando grande spavento.

Secondo l’usanza, Elena Matilde portava al collo le perle della Duchessa, ma nella confusione seguita al crollo le smarrì, ritrovandole poi solo il mattino dopo.
Un secondo evento, molto più infausto e degno di fede perché riferito dal contemporaneo Soleri nel suo diario, riguarda il suicidio di Elena Matilde, avvenuto il 24 febbraio 1709 “Essendovi molta neve in terra si è gettata a basso da una finestra del primo piano del palazzo di Monsù Druent una figliola moglie del S.r marchese di Castagnole – titolo che spettava a Gerolamo Gabriele Falletti di Barolo – in camiggia non avendo vissuto più di un quarto d’hora, e questo a causa che Monsù di Druent non voleva che la medema andasse a cohabitare con il d.o S.r marchese di Castagnole.”

Nel 1743 il Marchese Ottavio Giuseppe Falletti di Barolo, primogenito di Elena Matilde, incaricò l’architetto Benedetto Alfieri di opere di ampliamento e di decorazione.
La costruzione fu ulteriormente ingrandita quando suo figlio, Carlo Gerolamo decise di realizzare, tra il 1756 e il 1758, una casa da reddito verso piazza Savoia. Personaggi di rilievo per la vita e la sorte del palazzo furono Carlo Tancredi e soprattutto la moglie Giulia Vittorina Colbert de Maulévrier, sposata a Parigi nel 1807.
Il Marchese era uomo di grande cultura; membro della Reale Accademia delle Scienze, come il padre, ricordato per le attività caritative e per la sua opera in qualità di sindaco di Torino (1826-29). La Marchesa, originaria della Vandea, era altrettanto colta; il suo salotto era frequentato dagli intellettuali e dalle personalità più in vista del momento; ma fu la dedizione alle opere di carità ad assorbire tutte le sue energie.
Ella fondò diverse istituzioni assistenziali ed accolse nel Palazzo il primo asilo infantile (al piano terra) e l’Istituto delle Figlie d’Operaie (nelle sale a ponente del piano nobile).
Nel proprio testamento, la Marchesa dispose la costituzione dell’Opera Pia Barolo, cui assegnava il compito di amministrare tutta la sua cospicua eredità, compreso lo stesso palazzo, in favore delle istituzioni da lei fondate. I Falletti di Barolo ospitarono a palazzo per molti anni, e fino alla sua morte, Silvio Pellico che, accolto come bibliotecario dal marchese Tancredi, occupava le tre sale al piano nobile a destra dell’entrata monumentale. Liberamente tratto dagli articoli di Maria Grazia Cerri e di Elisa Gribaudi Rossi pubblicati nel volume “Famiglie e palazzi” a cura di Francesco Gianazzo di Pamparato, ed. Gribaudo Paravia, Torino 1997.