Il Forte Pastiss
L’Associazione Amici del Museo Pietro Micca sta cercando finanziamenti (200 mila euro) per aprire al pubblico la fortezza sotterranea cinquecentesca del Pastiss in corso Matteotti, quasi all’angolo con corso Galileo Ferraris.
Il complesso archeologico, unico in Italia, di cui i torinesi forse neppure sospettano l’esistenza, è stato messo in sicurezza lo scorso mese di ottobre, dopo quarant’anni di scavi: mancano solo più la scala d’accesso per i visitatori e l’ascensore per i disabili. Stiamo parlando – potenzialmente – di una spettacolare attrazione turistica per Torino: una seconda sezione, per certi aspetti più interessante, del Museo dedicato all’assedio francese del 1706 (sede attuale in via Guicciardini 7/A davanti a Porta Susa). Gli ambienti tornati alla luce sotto corso Matteotti, a cento metri dal monumento di Vittorio Emanuele II, custodiscono un labirinto contorto (pasticcio, «pastiss») di cunicoli e stanze da combattimento che Emanuele Filiberto di Savoia fece scavare tra il 1572 e il 1574 per proteggere il fossato sud della Cittadella Militare.
Sono stati recuperati i locali di due antiche cannoniere, risanati alcuni padiglioni che ospitavano i soldati, ripristinati i camini di areazione, passaggi e scale di collegamento, feritoie da sparo. Tutto sotto terra. Siamo fra via Papacino, corso Galileo Ferraris, corso Vittorio Emanuele. Il sistema di gallerie si estende per centinaia di metri, simile agli altri tunnel del Museo Pietro Micca; esemplare unico è la casamatta sotterranea del Pastiss, rimasta sepolta per secoli fra le fondamenta dei palazzi di corso Matteotti.
Sino a tutto il XVIII secolo l’esercito sabaudo ebbe il suo quartier generale nella Cittadella Militare dell’attuale corso Siccardi. Era una piazza d’armi imponente, Il Pastiss cinta da mura, dotata di opere accessorie che si estendevano fino a corso Inghilterra, via Juvarra, corso Vittorio Emanuele, corso Re Umberto. La difesa della Cittadella si avvaleva di numerosi tunnel in partenza sotto le mura, diretti verso le campagne. Presso i principali bastioni partivano lunghe gallerie a 13-14 metri di profondità: ciascuna superava il grande fossato, oltrepassava le opere avanzate, terminava in aperta campagna con un grappolo di «fornelli da mina» pronti ad esplodere per colpire gli eserciti assedianti. Si parlava di gallerie «capitali basse», per distinguere le capitali «alte» che al di là del fossato correvano 6 metri più su, collegate al tunnel inferiore per mezzo di una scala. Dalle gallerie capitali si staccavano diversi rami minori, ciascuno attrezzato per saltare in aria all’improvviso. In tutto 14 chilometri di tunnel.
Il complesso di gallerie collegate all’attuale Museo Pietro Micca, in via Guicciardini, individua due gallerie «capitali» della Cittadella: quella che del bastione detto «del Soccorso» dirigeva verso ovest (visitabile) e quella che dal bastione San Maurizio si protendeva verso nord-est (chiusa al pubblico). Il complesso che sta emergendo sotto corso Matteotti individua una terza galleria capitale, che dal bastione San Lazzaro muoveva verso la campagna in direzione sud. La casamatta del Pastiss integrava e difendeva il sistema delle gallerie in direzione sud. Aveva 7 cannoniere puntate verso il fossato di protezione della Cittadella: teneva sotto tiro i soldati nemici che avessero tentato di spingersi fino ai piedi del bastione, penetrando nel fosso.
Le feritoie da sparo del Pastiss si affacciavano nel fossato come ultimo micidiale strumento di difesa. A protezione dei cannoni sotterranei la casamatta era munita di doppie mura con intercapedine («muri genimini»). Il contorno del complesso sotterraneo appariva curviforme e anche il suo interno aveva andamento «a biscia»: seguiva su due piani le curve della fortezza, dotato di sistemi di chiusura capaci di paralizzare in «compartimenti stagni» il nemico che fosse riuscito a penetrare.
Il Pastiss costò moltissimo denaro e non fu mai utilizzato in combattimento. Si pensa (ma non ci sono informazioni precise) che l’utilità del forte a un certo punto venne meno, stante la trasformazione delle tecniche di guerra. Nei progetti di Emanuele Filiberto, che considerava la Cittadella «la più preziosa gioia del mio tesoro», ci sarebbe stata la costruzione di fortini identici al Pastiss davanti agli altri bastioni della Cittadella ma questo sogno del Duca fu abbandonato dai successori, che preferirono potenziare altri elementi del complesso militare. Bisogna scendere nel tunnel con gli archeologici per rendersi conto della portata dei ritrovamenti sotto corso Matteotti.
È affascinante (speriamo davvero che il complesso possa essere presto aperto al pubblico) farsi guidare da chi conosce le gallerie per averle studiate e cercate a lungo, svuotate dalla terra metro dopo metro a partire dagli anni Settanta, inizialmente sotto la guida del compianto generale Guido Amoretti. Per molti anni gli scavatori volontari (qui tutto è opera di volontari, che hanno rimosso tonnellate di terra con secchi e carriole) sono stati coordinati da Piergiuseppe Menietti, studioso di fortificazioni e titolare, manco a dirlo, di un negozio di articoli… da cantina. Oggi il testimone è in mano al direttore del Museo Pietro Micca gen. Sebastiano Ponso e al presidente dell’Associazione Mario Reviglio; gli scavi sono coordinati dall’archeologo Fabrizio Zannoni; le opere di risanamento e messa in sicurezza con fondi del Governo (133 mila euro) sono state curate nell’autunno 2014 dalla ditta Bellio su progetto dall’arch. Roberto Nivolo e Sonia Bigando. Per ora ci si cala nel complesso del Pastiss da un tombino di via Papacino, scala a chiocciola. I padiglioni della fortezza e le gallerie appaiono in ottimo stato, muri sani, terreno asciutto. I cunicoli che dal Pastiss puntano verso corso Vittorio Emanuele hanno volte a botte, tranne uno a sesto acuto; sono rivestiti di mattone, qualcuno realizzato con materiale di riciclo (500 a.C.), si notano grosse formelle di epoca romana.
I lunghissimi tunnel rettilinei sono finalmente dotati di illuminazione; si perdono in lontananza, incrociano gallerie minori, si dividono in diramazioni, incontrano di tanto in tanto le fondamenta in cemento di grossi caseggiati costruiti a fine Ottocento, e che hanno danneggiato irrimediabilmente una parte di questa città sotterranea. Dove la galleria capitale «bassa» superava il grande fossato affiancandosi alla capitale «alta» ci si imbatte in una importante «esclusiva» del complesso di corso Matteotti: appare intatta, sana e percorribile la scala di collegamento fra i due tunnel, identica a quella che Pietro Micca fece esplodere nella zona di Porta Susa per fermare i soldati francesi nel 1706. Se quella del martirio di Pietro Micca porta i segni dell’esplosione, quella gemella di corso Matteotti è un documento perfettamente conservato. È in fase di autorizzazione da parte del Comune di Torino la realizzazione di una regolare scala d’accesso per i visitatori, in via Papacino angolo corso Matteotti. Il progetto è stato predisposto dagli architetti Nivolo e Bigando con la collaborazione di Marta Pittatore: prevede un padiglione di vetro, la scala e un ascensore per i disabili.
Il percorso sotterraneo è illuminato e quasi pronto, l’esperienza gestionale del Museo Pietro Micca è riconosciuta e a disposizione della città; dopo 40 anni di scavi mancherebbe davvero pochissimo per alzare il sipario su questo tesoro sotterraneo.
Essenzialmente, si cerca il denaro: 200 mila euro. Non è detto, purtroppo, che il taglio del nastro sia dietro l’angolo. Il lavoro degli archeologi volontari nella città sotterranea si è svolto fino ad oggi con passione, molta fatica e perseveranza, scarso riscontro di finanziamenti pubblici e privati. Questa volta arriveranno? C’è da sperarlo. Anche perché nei pressi del Pastiss sorge un ulteriore tesoro sotterraneo della vecchia Cittadella ed è già stato parzialmente recuperato, pronto a integrare il percorso di visita: l’antico pozzo a doppia elica per l’abbeveraggio dei cavalli, simile al pozzo di San Patrizio, attende i turisti nel giardino della scuola Ricardi di Netro, via Valfrè, dietro alla Caserma Pietro Micca. (dalla rivista “TORINOstoria” anno 2 n. 14 genn. 2017)