I Provana di Druent

Vorrei dire che sarete “provati dai Provana” Stupido gioco di parole che mi invita ad essere breve.

Il ramo dei Druent si è estinto nel ‘700 e anche le tracce documentarie che si trovano non sono molte, se si escludono le genealogie delle quali in parte vi farò grazia. Si parla forse impropriamente di un ramo dei Provana di Druent, perché in realtà si tratta di due rami distinti, dove uno subentra all’altro e il secondo, quello più noto, è in realtà una derivazione di quello di Leinì.

Forse possiamo considerare una visione più globale di tutti questi Provana in generale, quando, intorno al ‘500, con il loro affollarsi di feudi intorno a tutta Torino (arrivando sino alla collina con San Sebastiano), pur essendo certamente feudatari dei Savoia, sembrano in qualche modo accerchiare proprio la capitale sabauda.

Ma parliamo di Druent, oggi diventata Druento in base alle leggi fasciste che avevano ritenuto termine straniero un semplice piemontesismo.
La località di Druent nasce tardi, verso il ‘200; precedentemente c’era Rubianetta, la vera località feudale ben più importante, la zona più a suddell’antico viscontato di epoca franca di Baratonia. Del castello esistono solo più i ruderi in un bosco. Nel ‘ 200, ed è molto divertente, la famiglia Ainardi, signori di Rubianetta, a Torino il 12 febbraio 1263 davanti a un notaio in casa di un parente Ainardi, decidono di fondare Druent, per una ragione bizzarra e curiosa. Siccome in zona il torrente Ceronda spesso in piena impediva agli Ainardi di spostarsi da Rubianetta a Torino e viceversa, decidono di fondare un nuovo borgo che si chiama Druent.

Etimologia variamente studiata, probabilmente derivante dal celtico doir (Doira, Dora), che indicava lo scorrere di acque. La vicinanza con la Ceronda pare poter giustificare questa origine del nome. Questi Ainardi tengono Druent sino al 1310, quando la cedono a Guglielmo di Mirabello, investito da Amedeo V di Savoia, che a sua volta la cede nel 1336 (periodi molto ravvicinati) ai fratelli Gentile e Giovanni Borozolo o Broxolo, che la venderanno il 18 agosto 1343 ai fratelli Guglielmo e Giacobino Provana di Carignano, che era il centro e l’origine di tutti i Provana.
Queste acquisizioni di feudi avvengono sempre, essendo molto in vigore il sistema di consortile, da parte di più persone della stessa agnazione. Questo è il ramo originario dei Provana di Druent.
Fino al ‘500 con Emanuele Filiberto e la creazione dello stato moderno con l’assolutismo dinastico vige il sistema consortile per cui non avendo primogenitura i feudi si dividono in vari porzioni che a seconda dell’estinzione di rami della famiglia, di questo o quel cugino, si possono riunire; a volte dunque i Provana sono signori di metà, di un ottavo, di un sedicesimo del feudo, a seconda del momento. Questo ramo di due fratelli, che hanno origine in un avo, Ardissone, continuano per linea diretta con Nicolò e con Guglielmo II. Cominciamo ad assistere a qualcosa di particolare.

E’ pur vero che tutte le aristocrazie hanno teso ad una endogamia, a un continuo matrimonio all’interno dello stesso gruppo sociale. Mi pare però che questo primo gruppo dei Provana di Druent abbia raggiunto il massimo della possibilità, perché si sposano continuamente con dei o delle Provana.

Cominciamo a vedere che Nicolò sposa una Provana, suo fratello Bartolomeo sposa Maddalena Provana del Brillant, da Bartolomeo nascono Guglielmo Francesco, che sposa Caterina Provana di San Raffale; il secondo, anche lui Guglielmo, sposa Giovanna Provana dei Tridoni; il terzo, Giacomo è religioso. Il figlio di Francesco, Bartolomeo, sposa Giovanna Provana di Brillant e il loro figlio Giovanni Francesco non sposa, finalmente, una Provana, ma Caterina Solaro di Moretta, rimanendo però senza figli. Le sue due sorelle, comunque, sposano una Provana di Collegno e l’altra Martino Provana di Leinì. Tutti questi matrimoni Provana generano l’ultimo Provana del ramo originario, Giovanni Francesco.

Questi decide di adottare un cugino, Carlo Provana di Leinì, con un testamento del 1546. La cosa piace al Duca, ma non ai Consiglieri del Duca, Carlo Emanuele I rinnova il feudo di Drunet e di Rubianetta a Carlo, che è poi il bisnonno del famoso Monsu Druent, ma ha un parere contrario dei Ministri che vogliono far tornare il feudo alla Camera Ducale. Tuttavia poiché il primo ramo Provana di Druent aveva avuto un’investitura da Giacomo d’Acaja nel 1344 che prevedeva la successione anche agli agnati trasversali, il Duca concede l’investitura rinnovandola.

Questi primi Provana di Druent essendosi legati a Giacomo d’Acaja, ebbero come punizione dal Duca, allora in lotta col cugino, una mutilazione nello stemma: fu fatto loro divieto di portare i grappoli d’uva, potendo esibire solo i pampini, poiché non dovevano avere i frutti, ma soltanto la parte caduca della vite. Per quanto riguarda il secondo ramo, quello diventato più famoso, esso trae origine dai Provana di Leinì.
In particolare Giacomo primo di Leinì, che darà origine con il figlio Giovannello a tutti i Provana di Leinì, ha come terzo genito Leonetto, investito di Viù, di Osasio e di Leinì, ebbe un figlio Matteo che sposò Margherita della Riva, importante famiglia di Vigone, che gli diede due figli: Giacomo Borso che sposò Leonetta delle Riva di Vigone (di nuovo il fenomeno dell’endogamia) e Antonio che sposò, guarda caso, Mensa della Riva di Vigone, con scarsissima fantasia nella scelta delle mogli.
Da Giacomo Borsio nasce Martino, che sposa Margherita Provana di Druent, da cui il legame tra i due rami. Da questo Martino un altro Giacomo Borsio, castellano di Lanzo, maggiordomo di corte di Emanuele Filiberto, Consigliere del Duca (cominciamo ad inserirci nella vita di corte rinnovato secondo nuovi criteri da Emanuele Filiberto) e da Borsio nasce Nicolao, padre di Carlo che adottato diventa Provana di Druent.

Carlo sposa Paola de Criemuex conte di Altessano inferiore (Altessano superiore diventerà poi la Veneria Reale), famiglia venuta al seguito delle Madame Reali dalla Francia. La cosa è importante perché questo ramo dei Provana cerca, in quel periodo storico, di accumulare una serie di feudi e di proprietà allodiali tutte situate dalla Madonna di Campagna verso le loro terre di Druent e di Altessano per costituire un insieme territoriale di notevole estensione, reddito e potere. Carlo muore nel 1599: è il vero fondatore della fortuna di questo ramo.
E’ stato Governatore di Nizza e ha avuto un bellissimo incarico, Veadore Generale dell’Esercito (per dire di una carica molto ben retribuita). Tutte queste ricchezze, come sappiamo, finiranno in casa Barolo, e il nucleo della ricchezza sul territorio torinese dei Barolo viene tutto da casa Druent. Carlo acquisisce altre investiture di Leinì per estinzione di altri rami; ha un figlio, Giovanni Francesco, che ha anche lui una moglie francese (cosa che allora era di moda e dava lustro, aggiungendo allegria e dando un pimiento in più) Elena de la Salle.
Ebbe incarichi importanti nell’esercito e poi a Corte, diventò Gran Cacciatore e Gran Ciambellano. Fu Collare dell’Annunziata, cosa abbastanza normale in quanto appartenenti a famiglie di grande importanza. Fu ambasciatore straordinario di Vittorio Amedeo I alla Corte di Francia.
E’ divertente ricordare che questa Ambasciata creò un grosso problema a Giovanni Francesco perché durante l’attraversamento di un fiume vicino a Barcellonette si perse tutto l’equipaggiamento e il Duca dovette intervenire con una somma enorme di ducatoni per risarcirlo.

Il figlio Carlo Amedeo fu forse meno importante, succedendo al Padre come Gran Cacciatore. Grande suoi merito fu sposare una donna ricchissima, Margherita Parpaglia della Bastia di Revigliasco, ultima della sua famiglia. I suoi soldi serviranno poi al figlio, il famoso Monsu Druent per fare le sue varie bizzarrie e costruzioni. Monsu Druent fu un personaggio stranissimo, ma anche molto intelligente ed interessante, tanto che a Corte ebbe una posizione importantissima; viene chiamato dagli storici “mente strana e bizzarra”, “di duro imperio”.
Primo Scudiero di Vittorio Amedeo II, con il proprio zio, il Marchese di Pianezza, ordì un intrigo a fin di bene per liberare dalla semitutela della madre Vittorio Amedeo II e metterlo finalmente sul trono.
La madre, Giovanna Battista di Savoia Nemours, voleva far sposare il figlio ad una cugina, la principessa Maria Isabella, erede del trono del Portogallo.

L’epoca vedeva tutt’un insieme di intrighi di corte intorno a questo progetto. Nel Castello Reale di Moncalieri avviene il complotto, ma Madame Reale se ne accorge e spedisce Monsu Druent e lo zio Marche di Pianezza uno a Montmellian e l’altro a Nizza in fortezza. Monsu Druent aveva qualche anno prima sposato la figlia del Marchese di Ciriè, Anna Costanza Doria Delmaro, donna eccezionale che tutta la vita fu vittima di questo marito imperioso e bizzarro, ma che gli fu di grande conforto durante la prigionia a Nizza scrivendogli delle lettere piene di affetto e di comprensione. Un piccolo e curioso accenno al rapido movimento dei feudi.
Monsu Druent aveva come zio il Marchese Signani di Pianezza, parente della main gauche dei Duchi, e Pianezza era stata tempo addietro un feudo dei Provana; aveva come moglie una Doria di Ciriè, e anche Ciriè precedentemente era un feudo dei Provana. Ma torniamo al nostro.
Irrequieto qual era, a Nizza aveva cercato più volte di fuggire, aiutato dai frati Cappuccini che lo avevano nascosto in chiesa, anche se poi i Superiori Cappuccini l’avevano fatto restituire la forte di Nizza. A Nizza cominciò a pensare strane cose avendo molto tempo a disposizione.
Stilò un testamento in cui nominava erede la figlia Elena Matilde che aveva solo nove anni. Le cede tutti i suoi diritti e tutte le sue proprietà in cambio di una annua pensione per l’epoca molto elevata. Quando sia Pianezza sia Druent furono reintegrati, Druent viene nominato Gran Maestro Guardarobiere del Duca di Savoia e fa accettare alla figlia, che pur ha sempre allora aveva solo 14 anni, il suo bizzarro testamento. Intanto quando torna dalla prigionia si butta in quello che è l’aspetto più meritorio della sua vita, la costruzione di quello che oggi si chiama palazzo Barolo.
Doveva esistere già un precedente edificio di casa Druent, ma lui volle creare un palazzo di notevole importanza, Chiamò il Baroncelli nel 1692 per fare questo palazzo e attirò un po’ da tutta Italia i migliori artigiani e le migliori maestranze dell’epoca per decorarlo. Terminato il palazzo, un giorno va al castello di Barolo, dai marchesi Falletto che erano un po’ suoi parenti e, senza dir nulla alla povera Matilde, decise di combinare il matrimonio con Gerolamo IV che era il marchese di Castagnole, figlio del Marchese Falletti dell’epoca.

La povera Matilde tanto contenta non era, comunque il papa Innocenzo XII invia la dispensa per la parentela e si sposano nella chiesa di San Dalmazzo nel 1695. Elena Matilde intanto aveva rinunciato all’oneroso discorso della primogenitura istituito dal padre.
Questo matrimonio ha qualche cattivo auspicio perché il famoso scalone di palazzo Barolo in occasione dei festeggiamenti per il matrimonio, sotto il peso degli invitati crolla e la collana di grosse perle (il massimo dell’eleganza dell’epoca, come si vede dai ritratti di tutte le dame della Galleria Sabauda) che la Duchessa di Orleans aveva prestato come si usava allora alla sposa, si perde.

di Gregorio de Siebert