I Provana del Villar

Quello del Villar fu uno dei rami più poveri della famiglia forse dovuto al feudo a cavallo del colle del Lys e quindi in mezzo alle montagne, i cui proventi economici erano solo capre e castagne.

Il Villar è stato uno dei primi paesi che i Savoia, scendendo lungo la Valle di Susa, hanno posto sotto il loro dominio. Non a caso i primi feudatari della baronia del Signore di Savoia, come veniva chiamato, siamo intorno al 1100, erano dei francesi: i de Mont Vernier, gli Aiguebelle che si insediano nel feudo del Villar, ma soprattutto i de Thouvet che erano una importante famiglia (presso Grenoble c’è un paese che si chiama Thouvet).
Ben noti erano allora Pietro I de Thouvet e suo figlio Pietro II, gran cancelliere del conte di Savoia. Una piccola parentesi meritano questi de Thouvet che, dopo alcune generazioni vengono ormai chiamati “de Thouvet sive de Sala” e poi solo più “de Sala”, a significare l’avvenuto radicamento nella valle grazie ad una serie di matrimoni con la famiglia dei de Sala, anch’essi di origine astigiana.

Tutti questi feudatari (per inciso tra loro c’erano anche gli Orsini di Rivalta, che vantavano dei diritti sul feudo del Villar, in una situazione piuttosto complessa che ingenerò una lunga causa con i Savoia stessi) nel 1332 vendono i loro diritti sul feudo ai primi Provana, famiglia che, come si è detto, ben conosceva la Valle di Susa avendovi numerose casane ed essendosi spinti anche oltre le montagne, governando anche delle castellanie in Moriana dal 1356 al 1370.
In particolare sono i tre fratelli Provana, Stefano, Tommaso e Giovannino, figli di Giordano Provana di Carignano, che comprano il feudo del Villar, che va ad aggiungersi a quello già posseduto di Coazze.

In realtà questi primi Provana tengono il Villar per poco tempo; nel sistema di compra vendita di feudi (come oggi si farebbe per le azioni di una società) nel 1337 rivendono il feudo del Villar ai Bergognino, altra famiglia astigiana con casane in valle, che a loro volta dopo poco tempo rivendono il feudo nel 1359 a Pietro e Daniele Provana, con i quali comincia veramente il ramo dei Provana del Villar. Seguiamo però ancora un momento i primi Provana che acquistano il feudo del Villar, Stefano, Tommaso e Giovannino, personaggi interessanti e piuttosto “agitati”, che già erano signori dei castelli di Bardassano e di Pianezza.

Dai loro castelli taglieggiavano i viaggiatori di quelle contrade, confermando che ogni tanto i feudatari, dimentichi del loro ruolo di servizio per la comunità, erano effettivamente dei birbanti.
In particolare, trovandosi nel periodo delle lotte tra i Savoia e gli Acaja, periodo della storia piemontese piuttosto complicato, nel 1364 i Provana di Pianezza, i nostri Stefano e Giovannino appunto, si armano e combattono contro Giacomo di Acaja, che allora era in buoni rapporti con i Savoia. Ma Giacomo d’Acaja espugna Pianezza e passa a fil di spada (o affoga nel lago di Avigliana) 5 o 6 Provana. Pianezza viene data in feudo ad Aimone di Savoia Acaja che nel 1372 lo vende ai Provana di Druent, riallacciando così la storia di Pianezza ad un altro ramo dei Provana.
I Provana saranno poi patroni di una cappella nella vecchia chiesa di San Pietro che arricchiranno con affreschi illustrati dal noto stemma “inquartato, nel 1° e nel 4° una colonna ritondata di argento, coronata d’oro e nel 2° e nel 3° d’argento con due tralci di vite al naturale, fogliati di verde fruttati di nero attorcigliati assieme l’uno con l’altro”.

Stefano Provana poi ha un figlio, Antonino, che nel 1384 viene infeudato di Bardassano; anche lui era un birbante: viene condannato in contumacia alla perdita di Bardassano per uxoricidio della moglie Valenza di Enrichetto Peletta, altro nome astigiano. Bardassano passerà poi ai Provana di Leinì.

Ma torniamo al ramo dei Provana del Villar.
E’ da notare che Pietro e Daniele, col cugino Giofferdo Provana di Leinì, castellano di San Mauro, vietano a tutti i loro uomini di portare aiuti ai Provana di Pianezza: una scelta della parte giusta, questa volta! C’è in realtà poco da dire sui Provana del Villar. Si può certamente parlare di Bertino II, figlio di Pietro, uomo di fiducia dei Savoia e degli Acaja, ambasciatore; nel 1386 acquista Lemie e Usseglio da Giacomo Provana di Leinì, acquista poi Buriasco e testa nel 1392. Segue Giovanni, castellano di San Mauro, che sposa Margherita Roero. Siamo nel 1430: è probabilmente proprio Giovanni che riceve al Villar il papa Martino V di ritorno dal Concilio di Costanza. Martino V viene ospitato prima alla Novalesa da Giovanni Provana del Villar che viene definito “abate” da Francesco Saverio Provana di Collegno, storico del secolo scorso, mentre un quadro che abbiamo in casa lo dice “rettore” della Novalesa. Scortato da tutti Provana sino agli stati pontifici, papa Martino V concede la possibilità di inquartare l’antico stemma con la Colonna dei Colonna di Roma, di cui il papa era un esponente.

La cosa a noi dice poco, ma in allora doveva avere un importante valore a testimonianza di una alleanza con una delle grandi famiglie romane. Del resto i Colonna, anche a testimonianza dell’importanza della cosa, usavano concedere questo diritto anche ad altre famiglie: ricorderò qui i Bonarelli della Colonna, famiglia anconetana.
I Provana avevano come stemma, sino ad allora, il tralcio di vite con frutti, stemma parlante in quanto in antico piemontese “provanè” voleva appunto dire “piantare la vite “ (e un termine analogo si trova nel dialetto trentino). Troviamo l’antico stemma sulla pietra tombale di Giacotto Provana conservata nella Galleria Sabauda di Torino, opera della fine del ‘300 e quindi ancora non inquartata con la colonna.

Tornando a Giovanni e Margherita Provana dobbiamo ricordare come, già morto Giovanni, Margherita riceva nel 1442 da parte del Duca Ludovico Signore di Racconigi e Maresciallo di Savoia, il suo luogotenente Giovanni di Campeglio, Signore di Graffi, che arriva al castello del Villar per fare un’ispezione sullo stato delle difese del castello. In archivio si conserva una lunghissima relazione relativa a questa visita, a seguito della quale viene emanato un ordine che prevede, oltre ad una serie di disposizioni circa l’armamento che doveva essere presente nel castello (numero di colubrine, di palle di pietra, ecc.) l’obbligo di innalzare il muro che collegava i tre torrioni originare del castello (doveva trattarsi di una sorta di ricetto costituito da un muro merlato che collegava tre torrioni, probabilmente abitati da diversi rami della famiglia in modo molto primitivo, con poco più di una stanza a pian terreno dove prevaleva una certa promiscuità tra umani ed animali) all’interno del quale si rifugiava la popolazione con le bestie in caso di pericolo (ecco mitigato la leggenda che vuole il feudatario sempre cattivo e sfruttatore dei poveri contadini…).

Margherita Provana forse abituata a case più belle di quello che doveva essere un povero castello già di mezza montagna, chiama gli uomini del Villar (e qui si evidenzia l’importanza che la comunità degli uomini aveva ormai assunto) perché eseguano la “corvè” secondo l’ordine del Duca e alzi il muro.
Sennonché Margherita cerca di imporre alla Comunità degli Uomini anche la costruzione di un nuovo “palacium”, cosa che dà luogo ad una lunghissima lite (la giustizia funzionava anche allora e forse meglio di adesso….) tra il feudatario (Margherita) e la Comunità che accetta di alzare il muro in quanto “corvè” appunto, ma si rifiuta di costruire la casa che non rientra tra gli ordini del Duca. Non si conosce la conclusione di questa la lunga lite (caduta in prescrizione? O più semplicemente se ne sono persi i documenti…): comunque i fatti dicono che la casa è stata costruita e quello che vediamo oggi del castello del Villar è prevalentemente del 1444, com’è testimoniato in un capitello di una bifora, dove è inciso “Hoc opus fecit fieri domina Margaretha de Rotariis vidua relicta Joh. De Provanis anno Domini 1444”.

Ritornando alla storia dei nostri Provana del Villar purtroppo non si possono annoverare grandi ed importanti personaggi. Si può invece ricordare un Tomaso Provana, che nel 1553 ottiene dal Duca Carlo di Savoia, dopo il pagamento di una lauta multa, la grazia per i continui furti di cavalli e di altri animali, per le molestie a tutte le fanciulle che incontrava, nonché per le percosse inflitte ai mariti che non sempre gradivano le attenzioni riservate alle mogli; non si trattava certo di una forma di “jus primae noctis” perché lo stesso trattamento riservava alla madre ed anco ai messi del Duca che gli contestava tutta questa serie di reati; era più semplicemente una testa matta!
Nel 1644 Remigio, insieme a molti esponenti di altri rami della famiglia Provana, consegna l’arma (uno dei famosi consegnamenti raccolti nel volume recentemente editato da VIVANT) che è uguale a tutti i Provana con la differenza, solo per il ramo del Villar, che sul cimiero si specifica esserci un orso nascente di nero tenente con la zampa destra una spada in palo col motto “nul ne s’y frotte” (che dall’antico francese si può tradurre con un “nessuno venga a strofinarsi qui”). Motto originale e non tipicamente piemontese.
I motti piemontesi infatti, a differenza di quelli di altre regioni italiane, sono dei motti tesi alla virtù (“optimum omnium bene agere” è il motto di tutti i Provana “sic augeor ad sublimia semper” quello degli Antonielli), mentre questo dei Provana del Villar evidenzia uno spirito battagliero. Siamo ormai all’inizio della decadenza di questo ramo dei Provana.

Pietro Paolo nel 1623 non ha i soldati per la “cavalcata” (tassa per mantenere l’esercito del Dica) e si offre di servire di persona come succedeva nei vecchi tempi, ma, ahimè, “con una pica alla mano per essere inabile a servire a cavallo”: la salute malferma e forse anche il costo di un cavallo lo costringeva a questa umiliante situazione!
La situazione economica migliora un po’ con l’arrivo di una moglie ricca. Giovanni Battista sposa Anna Caterina figlia del Presidente Gaspare Graneri (chi non conosce lo splendido palazzo Graneri!); grazie alla sua dote viene restaurata la Cappella del Castello, vengono probabilmente sostituiti i vecchi soffitti a cassettoni, ormai non di moda e scomodi perché poco isolanti e destinati sempre a far passare la polvere, con moderne volte in muratura; oltre alle opere accennate restano, a ricordo di questo proficuo matrimonio, gli stemmi Graneri e Provana affiancati sul portone di accesso al castello.
La situazione peggiora nuovamente. Nel 1691 arriva Catinat, che aveva scelto come suo campo base proprio il territorio del Villar. Nel 1693 il povero Gaspare Silvestro Provana rivolge al Duca di Savoia la supplica di essere esentato dai contributi perché le truppe francesi, e non solo, gli avevano saccheggiato ed incendiato una parte del castello, con “esportazione di tutti li suoi mobili, lingerie, stagni, arami, grani, vini, con rottura delle porte finestre e cavate sino alle ferramenta, abrugiate le tine et rovina delle campagne sia dal Armata nemica che dal amica”.

Nel 1772 con Giuseppe Giovanni Battista il feudo viene eretto in titolo comitale, anche se detto titolo era già usato precedentemente.
Lo stesso sposa Emilia Caisotti di Chiusano. Si apre allora un capitolo particolare della storia della famiglia, capito che già mio Padre nel 1947 aveva approfondito per pubblicare questo libro “Anni inquieti” edito nella collana della Coccarda, dove si racconta della vita delle figlie e dei figli di Emilia Caisotti, che si ritrova presto vedova con tutti i ragazzi da tirar su. Un breve accenno a tutti loro. Delfina Celestina, che per altro muore giovane, sposa Giacinto (“Il bel Centin”) Amoretti d’Envie; Maria Angelica sposa Gian Nicola Biglione di Terranova; Maria Vincenza Carolina sposa Luigi Vianson-Ponte. Nasce storia che segna i costumi dell’epoca della rivoluzione francese, con il crollo di tutti i valori ed il sovvertimento dei costumi del vecchio Piemonte: Carolina quando vede per casa Giacinto Amoretti se ne innamora subito, ma Giacinto sposa Angelica.
Rimasto vedovo “il bel Centin” ricompare per casa e Carolina, ancora innamorata perdutamente, pianta il marito e scappa con l’amante a Parigi, dandosi entrambi alla bella vita e sperperando i pochi denari di cui disponevano.
Gasparina, per parlare dell’ultima ragazza della famiglia, sposa Paolino Radicati di Robella, rimanendo vedova dopo soli 6 mesi. Debbo ora parlare dei due maschi, che appositamente ho lasciato per ultimi, perché in vece mia vorrei che a parlarvene fosse l’avv. Piero Cazzola che ha recentissimamente scritto un articolo molto ampio nei numeri unici della Famiglia Turineisa.

Tutti questi elementi storici derivano da una serie di lettere che erano conservate presso l’archivio Provana del Villar e che sono misteriosamente sparite dopo che mio Padre ne aveva scritto il libro, che oggi per fortuna rimane a ricordare questi personaggi. Un terzo fratello, oltre ai due militari, Vincenzo Gioachino, che per altro non era molto amato dalla madre, è l’unico che sopravvive e che ha figli. Sposa Angelica (o Angelina) Radicati di Robella e ha due figlie, Emilia che sposa Federico de Bellegarde, e Cesarina che sposa Angelo Antonielli, la mia quadrisnonna.
Ci sono in archivio delle lettere toccati dei figli di Cesarina. In quell’epoca il ramo secondogenito degli Antonielli (ma anche i de Bellegarde!) avevano pochissimi soldi, e Cesarina era costretta a vivere a Polonghera, dove avevano una cascina con della terra (eredità dei Niger d’Oulx).

I figli andavano a trovare la madre da Torino a piedi, per risparmiare i soldi del treno! Ecco qual era la condizione economica di uno dei rami, certamente da sempre tra i più poveri, della grande famiglia dei Provana di metà ottocento. Voglio ricordare un altro fatto, significativo ancora ai giorni nostri.
Nonostante la difficoltà economica, Cesarina aveva contribuito per due terzi alla realizzazione del primo acquedotto del Villar, dotato di tre prese d’acqua per i pubblici lavatoi delle piazze del paese. L’acquedotto aveva poi il suo punto terminale nel Castello. Recentemente l’acquedotto si è rotto (anche se ormai esiste il nuovo acquedotto quello vecchio –.detto ”Acqua Vecchia” – funziona ancora e alimenta ancora i lavatoi, ormai in disuso, arrivando anche al Castello). Il Comune voleva abbandonarlo, ma, producendo i documenti di Cesarina, siamo riusciti a convincere il Comune a ripristinarlo, pagando noi due terzi della spesa e il Comune un terzo. Sarebbe interessante che qualcuno svolgesse una tesi di storia del diritto che analizzi quanti dei vecchi diritti, o, meglio, degli antichi rapporti tra i Signori e le Comunità locali ancora sopravvivano.
Chiudi questa chiacchierata accennando al fatto che il Castello del Villar è rimasto, nelle sue linee essenziali, quello di Margherita, del ‘400, perché i Provana del Villar non hanno conosciuto, nei secoli successivi, le ricchezze sei-settecentesche di altri rami Provana. Solo nella fine dell’800 il mio pro-pro zio, Annibale Antonielli, figlio di Cesarina, avendo sposato una moglie ricca (Teresa Borbonese) acquistò dai de Bellegarde e da sua madre stessa (cosa che certamente l’avrà tolta dalle difficoltà economiche) il Castello, ed intervenne ristrutturando completamente il giardino, con arditi arconi di sostegno ai viali, aggiungendo due gallerie, in quello stile neogotico proprio degli anni ’70 dell’ottocento, ampliando la casa e dandogli indubbiamente una grandiosità ed un respiro che prima, da semplice casaforte quattrocentesca, non aveva.

di Fabrizio Antonielli d’Oulx