I FRATELLI BIAZACI DI BUSCA e HANS KLEMER

Tommaso e Matteo Biazaci, pittori quattrocenteschi di Busca, iniziarono la loro attività nella terra natale piemontese, prima nel campo della miniatura (pagina miniata da Tommaso nel Codice degli Statuti di Savigliano) e poi in quello della pittura parietale: affrescarono, nella seconda metà del XV secolo, in gran parte del territorio cuneese e nelle valli Varaita, Maira e Grana, per poi spostarsi sul versante ligure.

Pittori rimasti pressoché sconosciuti in patria sino alle ricerche compiute in ambito scolastico negli ultimi decenni del ‘900, dei due Tommaso è considerato il maestro e Matteo un collaboratore assiduo. Pittori predicatori itineranti, furono tra i rappresentanti di una stagione culturale – la fine del Medioevo – dove l’arte diventa il mezzo insostituibile del sapere popolare e dove questo “sapere” consiste nei contenuti della fede e nella conoscenza dei mezzi della salvezza eterna. Il linguaggio artistico è quello che, ancorato ai modi tardogotici di Jacopo Jaquerio, si diffonde in Italia e nel cuneese, sino a riempire di affreschi, cioè di discorsi didascalici, ogni cappella. Una narrazione di fatti che diventa simile a quella del teatro popolare con una didattica quanto mai efficace.

L’impatto cromatico dei lavori dei Biazaci è morbido e delicato, i volti dove maggiormente si esprimono i sentimenti dei protagonisti sono pervasi di profondità spiHans Clemer e i fratelli Biazaci rituale contemplativa e con precisione rivelano l’attività miniaturistica di Tommaso. In Busca, ne sono esempi altissimi il S. Stefano morente, splendido per l’intensità con cui è reso il sentimento del martire e, nella cappella di S. Sebastiano la figura di Sebastiano della seconda scena della volta.

Così le Madonne: quella di Sampeyre, quella di Chiot Martin e quella di S. Stefano di una bellezza “soprannaturale” sino alle Virtù di Montegrazie (IM) e la bellissima della cappella Mater Amabilis di Cuneo (il più antico nucleo del Santuario degli Angeli ora inserita nella casa di cura). Questo accento di soave mitezza viene trasfuso da Tommaso anche nella raffigurazione dei momenti drammatici come è quello della Pietà sul mur de chevet di S. Stefano. Anche nella resa del dolore, mancano in Tommaso quegli accenti violenti che invece appaiono in Canavesio sulla scia di Jaquerio: il dolore della madre, profondo e contenuto, tenero e accorato quello dell’amico Giovanni e il Cristo, morto e risorto, è dolcissimo. Anche nella situazione più tragica i Biazaci riescono a mantenere quella linea di dolcezza e tenerezza spirituale che li caratterizza. I Biazaci scendono poi in Liguria verso il 1474, anno di esecuzione degli affreschi (perduti) nel presbiterio della chiesa di S. Bernardino presso Albenga.

Ma di ben nove anni più tardi sono gli affreschi della parete destra della stessa chiesa, recuperati recentemente e raffiguranti l’Inferno, il Purgatorio, il Paradiso, i Vizi e le Virtù (per la stessa chiesa i Biazaci avevano anche dipinto una tavola, smarrita). Il 1483 (30 maggio) è anche la data che i due fratelli apposero agli affreschi nel santuario di Montegrazie presso Imperia, raffiguranti scene della Vita del Battista, della Vita delle anime nell’Oltretomba, i Vizi e le Virtù (parete sinistra). In questi due ampi cicli, a noi giunti solo in parte, si determina la personalità pittorica dei Biazaci: accanto a ricordi ancora goticheggianti fiorisce un gusto ormai rinascimentale nella ingenua ricerca prospettica, nel rigore compositivo e nel modulato, puro accordo fra luce e colore.

Pittura di artisti ritardatari, quindi, di un gusto popolaresco e narrativo, ma, nelle scene migliori dovute certo a Tommaso, colma di un’umile e spontanea delicatezza, specialmente in quelle parti ove i tenui colori sono stesi, con sapiente trasparenza di toni.

Lo stile è affine a quello di tanti cicli di affreschi piemontesi della seconda metà del Quattrocento (di Bastia, di Villafranca, ecc.), che giunge a un più alto livello poetico nelle opere di Martino Spanzotti. Da solo Tommaso firma e data al 1478 la pala con la La Trinità a Melle (CN) in Val Varaita.
E’ un affresco del Quattrocento, opera probabilmente dei fratelli Biazaci, che raffigura la Trinità con un’antica, curiosa iconografia, condannata dal Concilio di Trento: sono tre persone maschili identiche, sedute una accanto all’altra, che sembrano uscire da un unico corpo. Una mano indica il numero tre, l’altra mano tiene un libro, probabilmente la Bibbia. Foto F. P Vergine e il Figlio in trono (forse parte centrale di un polittico), proveniente da Albenga ed oggi nella Galleria di Palazzo Bianco a Genova.

Nell’opera sono state notate influenze bembiane, sia di Benedetto sia di Bonifacio, unite a reminiscenze di Paolo da Brescia. Ma la tavola di Tommaso è più castigata e contrita nella sua umiltà popolaresca ed in essa si riflette lo spirito artistico del suo autore, che è poeta dialettale, intimamente legato ai modi tardogotici, ma interpretati con una personalità mite e proclive ad una temperata compostezza.
Il suo vernacolo rifugge, perciò, fin da quest’opera, da ogni esasperazione formale, da ogni espressionismo: più incline alla dolcezza neolatina (o mediterranea) che agli aspri accenti nordici. Altri affreschi dello stesso si trovano nell’oratorio di S. Croce (o S. Bernardino) a Diano Castello (Imperia), raffiguranti L’Annunciazione di Maria, la Vergine in trono col Figlio e i SS. Bernardino e Giovanni Battista. HANS CLEMER Hans Clemer, detto Maestro d’Elva (Fiandre, ante 1480 –Piemonte, post 1512), è stato un pittore fiammingo naturalizzato francese attivo in Piemonte nella zona di Saluzzo. Fu esponente della pittura gotico-fiamminga.

Sono scarsi i documenti riguardo alla nascita di Hans Clemer. Le prime notizie risalgono alla fine del Quattrocento. Il percorso artistico di Hans Clemer manifesta una cultura articolata, attenta a soluzioni tecniche innovative, nella quale sussistono riferimenti al suo contemporaneo Giovanni Martino Spanzotti. Attorno agli anni novanta del 1400 risulta essere già operante nelle valli del Marchesato di Saluzzo e, in particolare, nella Valle Maira, presso la chiesa parrocchiale di Elva, nella quale si può ammirare ancora oggi il ciclo di affreschi rappresentanti scene della vita di Maria e una maestosa Crocifissione, databile al 1493.
Si ritrovano tuttora, ben conservati, nel presbiterio e nell’abside della chiesa, pregevole edificio in stile tardo-romanico. Questo capolavoro gli valse il titolo di Maestro di Elva ma la presenza dell’artista diffusa in gran parte del territorio del marchesato è comprovata da una serie di opere che spaziano dai soggetti religiosi alle raffigurazioni storico-mitologiche.

Presto fu chiamato a prestare la sua opera anche presso il capoluogo del marchesato: Saluzzo. Qui Hans Clemer realizzò le sue ultime opere comunemente datate entro il 1511-1512. Oltre ai dipinti presenti sulla facciata della Cattedrale di Saluzzo, Clemer realizzò anche il decoro à grisaille sulla facciata di Casa Cavassa e la Pala della Madonna della Misericordia