I Beatles

Il nome stesso del gruppo evoca l’humus musicale in cui erano cresciuti: la musica beat (o Merseybeat, dal nome del fiume Mersey che attraversa la loro città natale), un nome collettivo che richiamava impropriamente la corrente letteraria statunitense detta Beat Generation, ma in realtà si riferiva al battito come unità del ritmo.

Fin dall’inizio, le canzoni dei Beatles non si limitarono ad attingere al rock and roll e al blues, ma accolsero diverse influenze musicali, dalloskiffle allo stile Motown. A questa varietà di stimoli si aggiunsero via via la competizione con i rivali britannici dei Rolling Stones, il rapporto con Bob Dylan, il confronto a distanza (e i reciproci influssi) con i Monkees, i Byrdse soprattutto i Beach Boys; e ancora, la fascinazione per l’India, l’interesse per le avanguardie musicali e l’attenzione per i movimenti nascenti, ma ancora sotterranei o poco noti; Paul McCartney e George Harrison, rispettivamente nell’aprile e nell’agosto del 1967, visitarono San Francisco, richiamati dalla scena musicale, ma attirati anche dall’ambiente controculturale di Haight Ashbury.

Fondamentale fu anche l’apporto nel campo delle innovazioni tecnologiche, che essi utilizzarono ed esplorarono con curiosità per la registrazione e la manipolazione del suono. Durante gli anni trascorsi dal gruppo negli studi di Abbey Road, proprio per concretizzare le loro idee musicali furono elaborate soluzioni sonore, apparecchiature e tecniche ancora in uso dopo decenni, nonostante il fatto che l’evoluzione tecnica, partita dai registratori a nastro a due piste, dai semplici oscillatori audio e dai microfoni Neumann a valvole, abbia nel frattempo portato all’uso dei computer e delle tecnologie digitali.

Dopo quasi quindici anni dalle produzioni più innovative dei Beatles, il tecnico Jerry Boys dichiarò nel 1980 che certi suoni presenti in quelle composizioni «sono ancora impossibili da creare, persino con le moderne attrezzature computerizzate a quarantotto piste». Nastro magnetico usato ad Abbey Road Grotta Gino e Beatles! Per il suono psichedelico di alcuni brani dei Beatles (in particolare nel caso di Tomorrow Never Knows) si fece ricorso in fase dimissaggio ai tape-loops.
I quattro musicisti si erano dotati di registratori a nastro con i quali conducevano individualmente esperimenti sonori nelle circostanze più varie. Paul McCartney, che dei quattro si mostrava quello maggiormente attratto da queste ricerche, aveva scoperto che rimuovendo la testina di cancellazione del registratore e incidendo ripetutamente il medesimo nastro, questo si saturava producendo suoni distorti; i nastri in tal modo ottenuti venivano cuciti e fatti poi passare attraverso i registratori di Abbey Road in senso normale, al contrario e a velocità variabili, così da selezionare i più idonei. Questa tecnica, apparentemente casuale ed effimera, avrebbe invece aperto le porte alla musica dei decenni successivi impostata sulla ripetizione ciclica di frasi musicali.

Un’altra innovazione fu in alcuni brani l’uso di strumentazioni indiane. George Harrison aveva scoperto il sitar durante la lavorazione del film Help! Già su Revolver apparve il primo brano di musica indiana, Love You To, al quale seguirono Within You Without You su Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band e The Inner Light, lato B del singolo Lady Madonna, nei quali Harrison al sitar era affiancato, per gli altri strumenti indiani – tabla, dilruba, swordmandel – da musicisti asiatici residenti a Londra.

L’eredità artistica si affida anche alle copertine dei loro album, soprattutto Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band e Abbey Road. Quella di Sgt Pepper – ripresa fra gli altri artisti da Frank Zappa in We’re Only in It for the Money – fu la prima copertina della storia del rock che si apriva a libro e che conteneva i testi di tutte le canzoni presenti nel disco. La copertina di Abbey Road è quella più parodiata da decine di gruppi musicali, fra i quali i Red Hot Chili Peppers. Con le loro doti creative e compositive i Beatles erano riusciti a coniugare dei prodotti fruiti da un’ampia massa di consumatori delle età più varie – e perciò tendenzialmente di facile ascolto – con alcune opere sorprendentemente complesse e ricche di soluzioni originali. Secondo il giudizio di George Martin, Lennon e McCartney «sono stati i Cole Porter e George Gershwin della loro generazione», opinione confortata dal grande numero di cover dei loro brani che si sono susseguite negli anni, a conferma della validità del loro canzoniere.
Eredità culturale Francobollo dedicato allo “yellow submarine” Le immagini che più simboleggiano l’impatto dei Beatles nella società del loro tempo sono le foto o i filmati di isteria collettiva che accompagnava i loro concerti e i loro trasferimenti nei logoranti tour da un continente all’altro; queste scene testimoniano il fatto che il gruppo fu immediatamente un fenomeno musicale, commerciale e di costume di vastissima eco. Si diffusero gli stivaletti in pelle neri, gli abiti scuri abbottonati in alto e le zazzere a caschetto, nate al tempo dei loro concerti di esordio nei club dell’angiporto di Amburgo all’inizio degli anni sessanta.

Al di là della Beatlemania, i Beatles ebbero negli anni un influsso non solo strettamente musicale, ma anche culturale, letterario, sociologico e mediatico.

Oltre ad innovare profondamente il panorama musicale degli anni sessanta, contribuirono all’evoluzione e all’affermazione di mode, costumi e stili di vita. Ad essi è associata la fioritura della Swin- ging London, uscita dal buio del dopoguerra, con le minigonne a quadretti in bianco e nero inventate da Mary Quant, indossate da Twiggy ed esposte nei mercatini di Carnaby Street.
L’immagine dei Beatles si affermò oltre i confini della Gran Bretagna e fu contigua anche a manifestazioni culturali internazionali come la psichedelia, il flower power e la cultura hippy; le copertine dei loro album diventarono esse stesse una forma d’arte e in più casi oggetto di imitazione, proprio mentre oltreoceano fioriva la pop art di Andy Warhol.
In un rapporto dialettico, i Beatles influenzarono e al tempo stesso incarnarono la gioventù occidentale nella sua presa di coscienza, intesa in vari sensi: estetica (i capelli lunghi, gli abiti), artistica (le contaminazioni musicali con la musica indiana e la musica d’avanguardia), politica (il pacifismo, l’opposizione alla guerra del Vietnam), sociale (la sensibilità verso i temi dei diritti dei neri, dell’emancipazione femminile e dei diritti civili, culturale in senso ampio (il misticismo orientale, la filosofia indiana, l’uso delle droghe e le prese di posizione a favore della loro depenalizzazione, gli espliciti riferimenti al sesso) e queste influenze andarono nel tempo ben oltre lo scioglimento del complesso.
Con l’autorevolezza che gli deriva dalla sua esperienza e competenza, il compositore statunitense Aaron Copland evidenzia l’ampio spettro dell’influenza culturale del gruppo quando individua nel fattore Beatles la chiave di comprensione del decennio che li vide diretti protagonisti: «Se volete conoscere gli anni Sessanta, ascoltate la musica dei Beatles.»