GUARENE

Le vicende legate alla giurisdizione su Guarene sono incerte per un lungo periodo, a causa della mancanza di fonti documentarie attendibili.

Dopo una serie di contese tra il Comune di Asti e quello di Alba, il borgo diventa un possedimento del vescovo di Alba. Le lotte politiche e le guerre che interessano il Piemonte nel XIV secolo comportano la presenza di eserciti stranieri che spadroneggiano su tutto il territorio.
Proprio in questo periodo si svolge una vicenda importante per Guarene, legata al suo passaggio di proprietà dal Vescovo di Alba ai Roero. Tale episodio, per le versioni contrastanti che ne vengono date, assume un carattere di mistero. Le versioni più accreditate sono due.
Guarene e la rassegna cinematografica Secondo la prima, il capitano di ventura Vagnone Vittor di Trofarello, incaricato dal Vescovo di Alba, riesce a liberare Guarene dall’occupazione degli eserciti stranieri. Come risarcimento per le spese sostenute per l’impresa, Vagnone si proclama feudatario di Guarene. Nella seconda versione è lo stesso Vescovo di Alba a cedere il feudo nel 1348 al Vagnone. Questa incertezza sulla proprietà di Guarene si riflette sulla legittimità della vendita del feudo da parte dello stesso Vagnone. Il capitano di ventura, obbligato da necessità economiche e dalle vicende politiche, cede il borgo e i relativi possedimenti, nel 1379, alla famiglia Roero, potenti banchieri di Asti.

I Roero, dopo anni di alterne vicende, diventano in maniera stabile prima i feudatari e in seguito i conti di Guarene fino all’abolizione dei titoli feudali e all’estinzione della casata. Nel XVII secolo Carlo Emanuele I toglie Guarene ai Roero e la concede in feudo al figlio Felice, ma Vittorio Amedeo I la restituisce nuovamente ai Roero nel 1618, che la mantengono fino all’estinzione della famiglia. Tra il XVII e il XVIII secolo Guarene subisce le conseguenze delle vicende storiche legate alle lotte per la conquista e il dominio dei territori italiani, e in particolare le vicende legate alle guerre per la successione del Monferrato, dal 1613 al 1631. Con il Trattato di Cherasco, del 1631, Guarene viene ceduta dai Gonzaga di Mantova, Marchesi del Monferrato, di cui i Roero erano feudatari, a Casa Savoia. Nel 1781, il conte Traiano Roero dà incarico all’ingegnere Filippo Castelli di San Damiano di realizzare un progetto per donare ai guarenesi una nuova chiesa parrocchiale, più conforme alle necessità e al decoro della comunità. L’ultimo conte Roero, Alessandro, muore nel 1899 senza lasciare eredi diretti. Tutte le proprietà della storica famiglia nobiliare passano ai conti Provana di Collegno.

IL CASTELLO

“L’altra sera il Sig. conte di Magliano, con il Sig. conte di Castagnole, sono venuti a vedere la fabrica, e hanno detto che il suo castello, a paragone di questo, è una casa.” Da sette secoli il castello domina la collina di Guarene. Nel Medioevo era un fortilizio, nel XVIII secolo diventa la nuova dimora dei conti Roero, disegnata personalmente e costruita dal più noto della famiglia, il conte Carlo Giacinto, una significativa figura di aristocratico illuminato del Settecento piemontese.
È una costruzione imponente a tre piani, che tocca i 25 metri d’altezza, circondata da vasti ed eleganti giardini all’italiana realizzati nella prima metà del Settecento, progettati nel 1740 dal giardiniere del vicino castello di Govone e dallo stesso Carlo Giacinto Roero. Sono caratterizzato dalle geometrie delle siepi che creano affascinanti giochi prospettici. All’interno del castello si possono ammirare decorazioni e affreschi di pittori come Francesco Cosoli, Giacomo Rappa, Bernardino Galliari e Giuseppe Palladino. Degne di nota sono le Stanze Cinesi, con le tappezzerie provenienti dalla Compagnia delle Indie, giunte da Londra nel ‘700, la Stanza del Vescovo arredata con ricami “bandera” del XVIII secolo, lo Scalone, il Salone d’ingresso, la Sala da pranzo e la Galleria, ricchi di arte ed eleganza.

Il castello comprende anche la Cappella Patronale di S. Teresa con una meravigliosa cupola e la pianta ellittica. Come una straordinaria balconata si affaccia sull’intera arcata di colline riconosciute come Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, dal Monferrato a Verduno, ricoperte da vigneti celebri fra i quali spuntano castelli, torri e paesi. Dall’altro lato guarda sulle alture del Roero e sulla catena delle Alpi.
È stato abitato per decine di generazioni dai Roero di Guarene, della Vezza e di Piobesi, una importante famiglia dell’aristocrazia piemontese. La sua lunga storia ne fa un archivio di memorie e un museo di architettura, di pittura e di arti decorative. Passato nel 2011 ad altra proprietà, è stato destinato ad una nuova vocazione che combina l’assoluto rispetto del valore museale con una ospitalità di alto livello. Gli interventi di restauro conservativo e di adeguamento sono durati tre anni.
CARLO GIACINTO ROERO di GUARENE Carlo Giacinto Francesco Nicolò Maria Roero di Guarene, della Vezza, di Piobesi e di Castagnito, nacque il 21 ottobre 1675, a Torino, in una famiglia tra le più illustri e antiche dell’astigiano, con la sua arma “di rosso a tre ruote d’argento”: che sarebbero le ruote del carro trionfale di un tal Ghiglione, venuto di Fiandra, crociato nel 1099, vincitore in singolare tenzone del comandante degli infedeli. Ad Asti, nella contrada dei Rotari, per loro privilegio, non potevano passare feretri. Tanto per avere un’idea della famiglia: nei suoi numerosi rami si annoverano 15 cavalieri gerosolimitani, sette collari dell’Annunziata, un cardinale e dodici vescovi. Nel 1300 erano padroni in Piemonte di 40 castelli.

Il primo Roero conte di Guarene, nel 1471, fu Teodoro. Il padre di Carlo Giacinto si chiamava Traiano: aveva sposato Anna Lucrezia Delfina Tana, anch’essa di una grande famiglia (il padre era Cavaliere dell’Annunziata), lei stessa dama d’onore della Regina Anna che accompagnò a Palermo quando Vittorio Amedeo II con la sposa andarono a farsi incoronare solennemente, ottenuto nel 1713 il titolo regio.
Carlo Giacinto è il primo di cinque figli. Ha due fratelli, Pietro Federico cavaliere di Malta e Giuseppe Ignazio, e due sorelle, Anna Maria e Giovanna. A ventidue anni, entra nell’Accademia Militare di Torino con un suo cameriere: insieme, pagano lire 1792 di pensione. Un anno dopo, è cornetta nel Reggimento dei Dragoni del Genovese, e l’anno successivo passa nei Dragoni di Sua Altezza Reale. Nominato luogotenente nel 1702, ritorna nel 1703 ai Dragoni di Genevois, al comando di una compagnia, con il viatico del suo colonnello, che scrive di lui: Guarene beaucoup de talent, homme à reussir dans toutes les comition qu’il aura; bon pour avoir une compagnie… Il Piemonte è in guerra, nel gran vortice della Successione Spagnola.
La campagna del 1704 coinvolge anche Carlo Giacinto. È il Duca in persona che lo manda a Vercelli, presentendolo al governatore della città con una lettera che contiene il primo accenno al futuro architetto: Le Comte de Guarene capitaine au Regiment Dragons de Genevois ayant quelque connaissance dans les fortifications, nous avons jugé à propos de vous l’envoyer, affin qu’il aye occasion d’en profitter et de se rendre plus habile qu’il n’est dans cette science…

Il Roero dunque nasce all’arte dell’edificare come esperto in fortificazioni, o più genericamente come ingegnere militare. Se questa sua connaissance fosse frutto di studi e applicazioni precedenti (aveva allora ventinove anni), non sappiamo. Ma il fatto che sia riconosciuta dal Duca dimostra nel giovane militare qualcosa di più di una generica ed inesperta inclinazione. La lettera del Duca parte dal campo di Crescentino il 23 marzo.

Vercelli cade il 19 luglio, fatto prigioniero, viene portato a Milano. Probabilmente grazie ad uno scambio di prigionieri, Carlo Giacinto nella seconda metà del 1705 torna in Piemonte. Nel 1706, eccolo di nuovo nelle file dell’esercito piemontese: sono i mesi che precedono l’assedio e la battaglia di Torino. Dall’indomani della grande vittoria, il Piemonte entra nella fase, laboriosa ed entusiastica, della costruzione di uno stato Carlo Giacinto Roero di Guarene comincia, e dura per oltre quarant’anni, l’eclettica attività che fa di quest’uomo, impegnato fra l’altro ad espletare dal 1715 l’incarico di Scudiere della Principessa di Carignano, un personaggio tipico della vita e del clima artistico del Settecento piemontese.

A contatto con l’architetto di corte, Filippo Juvarra, in quegli anni dà inizio all’ampliamento e alla ristrutturazione del palazzo di famiglia a Torino di piazza Carlina: un lavoro che prosegue a lungo, mentre dal ’25 si dedica al progetto di Guarene: decide di sostituire al vecchio maniero medievale un nuovo, imponente palazzo-castello, ideato e realizzato in proprio, dalle fondamenta agli arredi.
A partire dallo stesso anno, si getta in una impresa che è nello stesso tempo arte e industria: la fabbrica della maiolica di Torino è ispirata, edificata e diretta da lui.
La sua fama architettonica si è affermata: viene investito di consulenze, gli giungono richieste di progetti e di interventi edilizi.
Sul suo tavolo nascono disegni di palazzi e di chiese e si accumulano i progetti altrui sui quali vieni sollecitato un suo parere; progetta la facciata della chiesa di S. Caterina di Alba. Protegge artisti, alcuni ne fa studiare a sue spese, altri ne raccomanda, diversi, di giovani, ne “lancia”.

In più, suona il violino e il violoncello; si interessa di scienza, e vuol essere informato delle esperienze elettriche di un tedesco, appositamente da Genova e dalla Francia; sollecita e ottiene una dispensa per poter tenere in casa i libri proibiti dall’Indice del Sant’Uffizio; raccoglie il primo nucleo della biblioteca del castello.

Carlo Giacinto Roero di Guarene, della Vezza, di Piobesi e di Castagnito muore a Torino nel 1749: i lavori a Guarene non sono ancora terminati, la grandiosa opera arriva al completamento nella seconda metà del secolo, grazie ai figli Traiano e Teodoro.
Il re Vittorio Amedeo III con la regina nel 1773 visitano il castello, che è pieno di ricordi di quell’avvenimento.

Centro Studi Beppe Fenoglio