DA PIFFETTI A LADATTE

La Fondazione Accorsi-Ometto, dopo una serie di esposizioni dedicate alla pittura italiana, torna a proporre una mostra sulle arti decorative, questa volta incentrata sulle acquisizioni fatte, a partire dal 2008, per incrementare la collezione permanente del museo.

Infatti, oltre a salvaguardare l’arte del XVIII e XIX secolo, il Museo Accorsi-Ometto ha il compito di ampliare le proprie raccolte, mantenendo inalterato il gusto e lo spirito collezionistico del fondatore, Pietro Accorsi. Una missione che ha permesso non solo l’acquisto di importanti oggetti di arte decorativa, ma anche il recupero di capolavori senza tempo, finiti all’estero e riportati a Torino.
Dieci anni di acquisizioni hanno portato la Fondazione Accorsi-Ometto ha costruire una collezione di tutto rispetto. Nel corso dell’ultimo decennio, del resto, in via Po sono arrivati oltre 250 nuovi pezzi, cento dei quali sono stati scelti da Giulio Ometto, presidente della fondazione, e da Luca Mana, conservatore del museo, per realizzare una nuova mostra, aperta fino al 3 giugno.“Da Piffetti a Ladatte – Dieci anni di acquisizioni alla Fondazione AccorsiOmetto” è il titolo dato a questa esposizione, che costruisce un percorso attraverso il gusto per l’arredamento settecentesco e il puro collezionismo. Si incontrano, così, le miniature francesi di elegantissimi gentiluomini e nobildonne del XIX secolo, ma anche la “Venditrice di Amorini” in biscuit della manifattura di Meissen (1790-1800).
Ma in mostra si ammirano pezzi pregiati Da Piffetti a Ladatte del grande ebanista torinese Pietro Piffetti, nominato ebanista della corte dei Savoia nel 1731. Alla Fondazione Accorsi-Ometto si possono ammirare il tavolino da centro, datato 1750, e il raro cofano-forte, intarsiato in palissandro, pruno e avorio (1750-1770). Nel comparto dedicato all’arredamento si trovano anche la scrivania “mazzarina”, in legno e avorio, che risale all’inizio del XVIII secolo, e la consolle da muro (1720-1730). È presente anche il gruppo di quattro poltrone della metà del XVIII secolo, in legno intagliato e dorato, rivestite di tessuto a piccolo punto con scenette all’orientale, come usava all’epoca.
C’è poi Francesco Ladatte, torinese di adozione, “scultore in bronzo di Sua Maestà” per nomina di Carlo Emanuele III (quindi coevo del Piffetti).

In mostra vi sono tre suoi gruppi scultorei in terracotta che raffigurano le “Allegorie dell’Autunno e dell’Inverno” e il “Trionfo della Virtù incoronata da geni e attorniata dalle Arti Liberali”. Fra gli altri artisti più rilevanti, presenti in mostra, si trovano anche LouisMichel Van Loo, pittore olandese che si fermò a Torino nel 1733, per tre anni, e Giuseppe Maria Bonzanigo, scultore astigiano, originario del Canton Ticino, che nel 1787 fu nominato “scultore in legno” di Vittorio Amedeo III. Opere e racconti di un’epoca che ruota, quindi, intorno alla corte sabauda, circondata da artisti di livello tutti accomunati dalla loro nascita torinese o dalla loro permanenza in città, anche solo per brevi periodi. (da www.torinoggi.it).
Pietro Piffetti (Torino, 17 agosto 1701–Torino, 20 maggio 1777), dopo un periodo di apprendistato a Roma, ritornò a Torino, dove per la sua fama ed abilità, nel 1731, venne nominato primo ebanista di corte dal re Carlo Emanuele III.
Sarà considerato fino alla morte, il più importante ebanista sabaudo dell’epoca. Lo stile unico ed inconfondibile del Piffetti, che crea mobili con intarsi in legno pregiato, avorio, tartaruga e madreperla, lo collocano come “maggior ebanista della penisola nel Settecento ma anche uno dei più originali protagonisti del supremo arredamento dell’intero mondo occidentale…”. Il Museo Accorsi – Ometto di Torino conserva, tra le sue cinque opere di Piffetti, un grandioso doppio corpo firmato e datato 1738, intarsiato con legni rari, avorio e tartaruga, considerato un capolavoro dell’ebanisteria rococò.

Il Museo Civico d’Arte Antica di Torino a Palazzo Madama, conserva dodici opere dell’artista tra cui un interessante inginocchiatoio a triplice curvatura con un incavo al centro.
Tutto il mobile è intarsiato con mazzi di rose e ghirlande. La parte superiore del mobile presenta un crocefisso in avorio che appoggia su un ovale in legno intarsiato a “scacchiera”. Il Piffetti si dedicò anche all’arte sacra, nel 1749 realizza, per conto della Congregazione dell’Oratorio dei Padri Filippini, il Paliotto, un vero e proprio capolavoro destinato a decorare l’altar maggiore della Chiesa di San Filippo Neri a Torino. È saltuariamente visitabile presso il MIAAO, ubicato nel complesso ecclesiastico della chiesa torinese. Dopo il 1870, i Savoia arredarono il Quirinale con alcuni mobili settecenteschi provenienti dalle regge di tutta Italia; tra questi mobili di notevole pregio, c’è anche la biblioteca del Piffetti, trasferita dalla Villa della Regina.

A Pietro Piffetti la città di Torino ha dedicato una via nel quartiere San Donato. Francesco Ladatte, nato Francesco Ladetto (Torino, 9 dicembre 1706–Torino, 18 gennaio 1787), in gioventù lavorò al seguito del principe Vittorio Amedeo I di SavoiaCarignano, si trasferì a Parigi (ove francesizzò il cognome in Ladatte) al seguito del suo mecenate. Nel 1728, sempre in Francia, vinse il secondo premio di scultura dell’Accademia di Francia con l’opera Joram e Naaman; l’anno successivo ottenne il primo premio con Joachim re di Giuda.
Lavorò tra Torino, Roma e Parigi, prima di stabilirsi definitivamente nella capitale sabauda nel 1745, in qualità di Scultore in Bronzi di Sua Maestà. Tra il 1747 e il 1750 eseguì per volere della corte i piatti e i candelabri in argento utilizzati nella Palazzina di caccia di Stupinigi: per la stessa reggia, creò il celebre Cervo che sovrasta la cupola centrale.
Nel 1752 veniva pagato 3700 lire per un Trono d’argento per l’esposizione del SS. Sacramento. È autore dei putti in bronzo nella Chiesa della Madonna del Carmine di Torino.
Attivo anche in altre località piemontesi, lavorò a Vicoforte e a Vercelli, presso la tomba del beato Amedeo IX di Savoia.

Dopo esser stato nominato professore alla Regia Accademia di pittura e scultura torinese nel 1778, morì per malattia nel 1787, sembra il 18 gennaio. Giuseppe Maria Bonzanigo (Asti, 6 settembre 1745 – Torino, 18 dicembre 1820), figlio d’arte (il padre Giorgio, stipettaio e modesto scultore a sua volta, proveniva da una famiglia di ebanisti) imparò i primi rudimenti della tecnica nella bottega paterna. Per motivi economici non poté approfondire i propri studi artistici, ma studiò da sé creando, da perfetto autodidatta, i propri concetti artistici, ispirandosi alle opere classiche e rinascimentali presenti ad Asti, operando presso la chiesa di San Rocco, dove scolpì la tribuna, l’organo ed il tabernacolo.
La sua bottega confezionò l’arredo della sinagoga astigiana. In particolare l’Aron o Arca Santa, un armadio a muro composto da otto pannelli scolpiti e dorati, realizzata nel 1809, tuttora presente nella sinagoga, è un capolavoro di ebanisteria. La sua fama e padronanza tecnica gli permisero di trasferirsi a Torino per poter confrontarsi in un ambiente artistico che a quel tempo era in pieno fermento. Qui, grazie alle sue capacità, divenne scultore ritrattista della nobiltà sabauda scolpendo busti, medaglioni, profili di persone. Entrò nell’esclusiva “Pia Società e Sodalizio di San Luca”, che raccoglieva i più importanti artisti piemontesi dell’epoca. Nel 1787 Vittorio Amedeo III re di Sardegna, lo nominò “scultore della casa reale” con lo stipendio annuo di 200 lire.
Morì a Torino, alle ore 3 del 18 dicembre 1820, nella parrocchia di San Filippo. Il necrologio della sua morte, apparve sulla Gazzetta piemontese del 23 dic. 1820 ricordato come il “fondatore d’una rinomata officina”: infatti, grande fu la sua produzione artistica e molti gli allievi usciti dal suo laboratorio tra i quali si ricorda Francesco Tanadei, svizzero di Locarno.

Il Bonzanigo, con il Piffetti e il Maggiolini, è considerato il terzo dei grandi nomi del mobile italiano del Settecento. Louis-Michel van Loo (Tolone, 2 marzo 1707 – Parigi, 20 marzo 1771) studiò, sotto la guida del padre, il pittore Jean-Baptiste van Loo a Torino e Roma.

Nel 1725 a Parigi vinse un prestigioso premio all’Académie Royale de Peinture et de Sculpture. Con suo zio, il pittore Charles-André van Loo, visse a Roma tra il 1727 ed il 1732 e nel 1736 divenne pittore ufficiale alla corte di Filippo V, re di Spagna. Qui fu uno dei fondatori più importanti della Accademia di pittura nel 1752. Nel 1753 fu chiamato a Versailles, alla corte del re di Francia Luigi XV, dove ebbe la possibilità di ritrarre più volte il sovrano. Nel 1765 succedette allo zio Charles-André nella direzione della École Royale des Élèves Protégés. Nel 1766 eseguì uno dei suoi lavori più noti, il ritratto di Sebastião José de Carvalho e Melo, importante statista portoghese.