Natale 2019 – I REMAGI

In un batter d’occhio, dopo Natale e Capodanno, ci troviamo all’Epifania, e incontriamo tre personaggi simpatici: i Re Magi.

Ecco che cosa dice di loro il Catechismo:

In questi «magi», che rappresentano le religioni pagane circostanti, il Vangelo vede le primizie delle nazioni che nell’incarnazione accolgono la Buona Novella della salvezza.

L’epifania è la manifestazione di Gesù come Messia d’Israele, Figlio di Dio e Salvatore del mondo. Insieme con il battesimo di Gesù nel Giordano e con le nozze di Cana, essa celebra l’adorazione di Gesù da parte dei «magi» venuti dall’oriente. La venuta dei magi a Gerusalemme per adorare il re dei Giudei mostra che essi, alla luce messianica della stella di Davide, cercano in Israele colui che sarà il re delle nazioni.

La loro venuta sta a significare che i pagani non possono riconoscere Gesù e adorarlo come Figlio di Dio e Salvatore del mondo se non volgendosi ai Giudei e ricevendo da loro la Promessa messianica quale è contenuta nell’Antico Testamento. L’epifania manifesta che «la grande massa delle genti» entra nella famiglia dei patriarchi e ottiene la «dignità Israelitica».

Ma chi erano, storicamente, i Re Magi? Ci pare giusto che VIVANT se ne occupi…

Non erano re, non è detto che fossero tre e certamente non seguirono una cometa. Che venissero dalla Persia o dalla Mesopotamia è solo un’ipotesi; che si chiamassero Melchiorre, Baldassarre e Gaspare una leggenda; che uno di loro fosse di pelle nera, una fantasiosa invenzione. Benché siano citati da un solo Vangelo su quattro (Matteo), che dedica loro dodici versetti in tutto (2: 1-12), l’aneddoto che li riguarda è uno dei più popolari (e falsificati) della storia sacra. Ma allora, i Magi sono davvero esistiti?

Se usiamo la “m” minuscola, la risposta è sì. Fuori dal vangelo, infatti, i magi erano i sacerdoti dei Medi, avi degli attuali Curdi: un popolo montanaro che nel VI secolo a. C. fu sottomesso dai Persiani. Il greco Erodoto dice che interpretavano i sogni e studiavano gli astri. Che dio adorassero in origine, non è chiaro; ma in tempi storici praticavano il mazdeismo, religione che aveva il suo profeta in Zoroastro e il suo simbolo nel fuoco.

Di certo, però, quegli astronomi-indovini-sacerdoti non furono mai re. O meglio: un’eccezione alla regola ci fu, nel 522-521 a. C., quando uno strano mago, donnaiolo e mutilato delle orecchie, tale Smerdi àlias Gaumata, scippò il trono e l’harem a re Cambise II, assente da casa, cercando poi consensi al golpe col metodo più vecchio del mondo, cioè abbattendo le tasse. Narra Erodoto: “Mandò qua e là a ogni popolo sotto il suo dominio a proclamare che concedeva l’esenzione dal servizio militare e dai tributi per tre anni”.

Quell’unico “re magio” della Storia non poté mantenere la promessa, perché durò solo 7 mesi; poi finì decapitato. Non lo imitò più nessuno, anche perché contro i magi scattarono persecuzioni. Ma ai tempi di Gesù tutto ciò era preistoria: l’Impero persiano era finito da un pezzo e i magi avevano ripreso i loro riti e i loro studi astronomici; avevano quindi tutti i titoli per fare da protagonisti in un racconto “magico” come quello a noi noto.

ll testo di Matteo è però attendibile? Gli storici sono scettici. «Tutto lascia pensare» osserva Mauro Pesce, docente di Storia del cristianesimo a Bologna «che la vicenda dei Magi sia solo un artificio letterario-propagandistico. Matteo scrisse intorno all’anno 80, quando la nuova religione si stava diffondendo fuori dalla Palestina. Probabilmente il suo vangelo volle lanciare un messaggio ai non-Ebrei, dicendo che Gesù si era rivelato anche e soprattutto a loro: infatti per gli Ebrei i magi erano “gentili”, cioè pagani; eppure, secondo Matteo, seppero dell’arrivo del Messia prima del clero di Gerusalemme».

Sulla storia dei Magi grava almeno un dubbio: intorno all’Anno Uno nessuna cometa visibile a occhio nudo si avvicinò alla Terra.

L’assenza di “stelle con la coda”, invece, è un dato certo. Secondo calcoli moderni, infatti, la cometa di Halley, la più brillante fra quelle che hanno un periodo di rivoluzione breve, apparve nell’87 e nel 12 a. C., per tornare solo nel 66 d. C., quindi fuori dall’arco di tempo utile. Intorno all’Anno Uno passò invece la cometa di Encke, ma non era visibile a occhio nudo. E infatti nessuno la notò. Si è pensato anche a una possibile cometa irregolare, ma ricerche nei testi laici antichi non hanno portato a trovare citazioni dell’astro.

È l’addio definitivo alla credibilità della storia dei Magi? No, perché la “cometa di Gesù” è un falso che prese piede solo nel Medioevo. A ufficializzarlo non fu un teologo ma un pittore, Giotto, che in un affresco a Padova abbinò i Magi a un astro con la coda. «Quando dipinse la stella di Betlemme» osserva Roberta Oslon, studiosa di storia dell’arte «la rese come una cometa, che aveva osservato realmente anni prima». Infatti l’affresco è del 1303 circa, e Halley passò nel 1301.

Ma Giotto prendeva un abbaglio, perché nessuno dei testi antichi ha mai abbinato i “Tre Re” a una cometa. Matteo parla genericamente di una stella, ovviamente anomala, visibile in due tempi distinti: prima durante il viaggio dei Magi verso Gerusalemme, poi durante il trasferimento a Betlemme. E Giacomo riferisce di “una stella grandissima, che brillava tra gli altri astri e li oscurava, tanto che le stelle non si vedevano più”. Lo Pseudo-Matteo si allinea, parlando di “un’enorme stella […] la cui grandezza non si era mai vista dall’origine del mondo”.

Dunque a che astro alludevano i testi antichi? «Il fenomeno astronomico più probabile» risponde Corrado Lamberti, direttore della rivista Le Stelle «è una congiunzione Giove-Saturno che ebbe luogo nel 7 a. C.: quell’anno i due pianeti si trovarono nel cielo uno vicino all’altro per ben tre volte. La tesi ha una certa credibilità, anche perché sono state trovate effemeridi babilonesi (tavolette col calcolo dei movimenti degli astri) relative all’evento, segno che al fenomeno si accordò notevole importanza».

La teoria non è recente: a formularla fu l’astronomo tedesco Johannes Kepler. Nel 1603 osservò una congiunzione fra pianeti, che abbinati sembravano un’enorme stella. Colpito, calcolò se il fenomeno poteva essersi verificato anche nell’Anno Uno: concluse di no, ma scoprì che una congiunzione c’era stata più volte nel 7 a. C. Scrisse perciò un trattato (De anno natali Christi) in cui sosteneva che la data di nascita di Gesù andava anticipata.

Può sembrare una conclusione eccessiva, ma in effetti il nostro calendario sbaglia. L’errore risale a un monaco del VI secolo, Dionigi il Piccolo, che inaugurò l’uso di contare gli anni dalla nascita di Gesù, ma partì da una data posteriore a quella vera. Oggi si dà per certo che Cristo, paradossalmente, nacque avanti Cristo: minimo 4 anni, massimo 8.

Stando così le cose, tre fatti appaiono certi: che intorno all’anno della nascita di Gesù ci fu davvero una “stella” anomala; che questo astro apparve più volte a intermittenza, come dice Matteo; e che certi astronomi orientali (“magi”) l’avevano notato, come provano le effemeridi di cui parla Lamberti.

Da: https://www.focus.it/cultura/storia/i-re-magi-sono-realmente-esistiti

Natale 2018

Solo da poco ho iniziato a chiedermi come mai sotto Natale in televisione, al cinema, negli spot e perfino negli addobbi siano quasi del tutto cessati i riferimenti alla natività, ed a quella storia che ha affascinato i bambini di ogni generazione. Babbo Natale, i regali, l’abete, i dolciumi tipici e le corna delle renne hanno monopolizzato il Natale. Il che è come se a Capodanno ci si desse a commemorare l’unità d’Italia. Sarà per esigenze di equiparazione dei culti, mi sono risposto. Come la storia dei crocefissi nelle scuole; sarà irriguardoso nei confronti dei cittadini non cristiani. Ho ripensato alle molte rivisitazioni del Natale in chiave astrologica salite ultimamente alla ribalta sulla scia di film come Zeitgeist. Ho scoperto che nei negozi sono in aumento le vendite dei ‘villaggi di Babbo Natale’ al posto dei tradizionali presepi, e che vanno sempre più di moda i pupazzetti dei vip per trasformare gli ultimi presepi in circolazione in piccoli set di X-Factor. Infine ho concluso che per molti il Natale si sia trasformato in una specie di amorfa festività ludica orfana dei propri connotati essenziali. È uno degli sport più praticati dai burattinai: prendere un elemento culturale, svuotarlo di ogni significato badando a non sopprimerlo, e rimetterlo in circolazione per mere esigenze sceniche ed economiche.

 

La Pasqua

La Pasqua è la più importante festa dell’anno cristiano.
Anche nel simbolismo della croce di Cristo si ritrovano elementi che rimandano a culti antichi: la croce, come simbolo, è in relazione col numero 4, che è il numero tradizionale dell’universo terreno, degli elementi, del quadrato, delle stagioni, dei fiumi del Paradiso, delle virtù cardinali, degli evangelisti.
La croce rappresenta la doppia congiunzione di punti diametralmente opposti, è il simbolo dell’unità degli estremi , come cielo e terra, in essa si congiungono tempo e spazio, ancor prima di Cristo è il simbolo universale della mediazione.

Presso diverse tradizioni la croce viene paragonata “all’albero del mezzo”, come rappresentazione dell’asse del mondo, è la linea verticale a rappresentare quest’asse, essa è rappresentata dal tronco dell’albero, mentre i rami raffigurano l’asse orizzontale. Secondo il simbolismo biblico è “l’albero della Vita” ad essere nel centro del giardino dell’Eden, insieme all’albero della Conoscenza del bene e del male.
Con la caduta, all’uomo viene impedito l’accesso al centro, cioè all’albero della Vita, l’uomo perde così il senso dell’eternità, ritornare al centro significa riacquistare il senso dell’eternità. Sul Golgota, la croce di Cristo, ossia l’albero della Vita, è raffigurata fra le croci del ladrone buono e cattivo ossia l’albero del bene e del male, la dualità. L’uovo, poi, rappresenta la pasqua nel mondo intero: c’è quello dipinto, intagliato, di cioccolato, di terracotta e di carta pesta, ma mentre le uova di cartone o di cioccolato sono di origine recente, quelle vere, colorate o dorate hanno un’origine radicata nel lontano passato. Le uova, forse per la loro forma e sostanza molto particolare, hanno sempre rivestito un ruolo unico, come simbolo della vita in sé, ma anche del mistero, quasi della sacralità.
Già al tempo del paganesimo in alcune credenze, il Cielo e la Terra erano ritenuti due metà dello stesso uovo e le uova erano il simbolo del ritorno della vita, gli uccelli infatti si preparavano il nido: a quel punto tutti sapevano che l’inverno ed il Tantissimi auguri per una Pasqua di gioia!!! Ci vediamo 4 volte in maggio| freddo erano ormai passati. L’uovo era visto come simbolo di fertilità e quasi di magia, a causa dell’allora inspiegabile nascita di un essere vivente da un oggetto così particolare. Le uova venivano pertanto considerate oggetti dai poteri speciali, ed erano interrate sotto le fondamenta degli edifici per tenere lontano il male, portate in grembo dalle donne in stato interessante per scoprire il sesso del nascituro e le spose vi passavano sopra prima di entrare nella loro nuova casa.

Le uova, associate alla primavera per secoli, con l’avvento del Cristianesimo divennero simbolo della rinascita non della natura ma dell’uomo stesso, della resurrezione del Cristo: come un pulcino esce dell’uovo, oggetto a prima vista inerte, Cristo uscì vivo dalla sua tomba.
L’usanza di donare uova decorate con elementi preziosi va molto indietro nel tempo e già nei libri contabili di Edoardo I di Inghilterra risulta segnata una spesa per 450 uova rivestite d’oro e decorate da donare come regalo di pasqua.
Ma le uova più famose furono indubbiamente quelle di un maestro orafo, Peter Carl Fabergé, che nel 1883 ricevette dallo zar Alessandro, la commissione per la creazione di un dono speciale per la zarina Maria.
Il primo Fabergé fu un uovo di platino smaltato bianco che si apriva per rivelare un uovo d’oro che a sua volta conteneva un piccolo pulcino d’oro ed una miniatura della corona imperiale. Gli zar ne furono così entusiasti che ordinarono a Fabergé di preparare tutta una serie di uova da donare tutti gli anni. L’uovo diventa così un potente talismano di fertilità e vita come testimoniato dalle usanze delle uova sacre Russe o Ucraine ove il cibarsi di questo alimento celebrerebbe la rinascita del sole e il ritorno delle stagioni.

Che la Pasqua sia la festività cristiana che ricorda la risurrezione di Gesù, che sia l’instaurazione della Nuova alleanza e l’avvento del Regno di Dio è cosa nota, e non riteniamo che questa sia la sede per approfondirne il significato. E’ curioso invece raccontare uno dei simboli che hanno accompagnato le nostre pasque da bambini: il CONIGLIO PASQUALE.
Il coniglio è un simbolo molto diffuso negli Stati Uniti e nei paesi dell’Europa settentrionale.
In occasione della Pasqua, in Germania e in Gran Bretagna le vetrine delle pasticcerie si riempiono letteralmente di coniglietti di cioccolata di tutte le dimensioni e fattezze. Il coniglietto pasquale trova origine dai riti pagani precristiani sulla fertilità.

Poiché per tradizione il coniglio e la lepre sono gli animali più fertili in assoluto, essi divennero fin dall’antichità il simbolo del rinnovamento della vita e della primavera. Il coniglio come simbolo della Pasqua sembra avere origine in Germania nel XV secolo, come testimoniano le cronache dell’epoca. I primi dolci e biscotti a forma di coniglio sembra si siano diffusi sempre in Germania ai primi dell’800. Furono gli immigrati tedeschi e olandesi che portarono in America la tradizione, secondo la quale il coniglietto pasquale porta un cesto di uova colorate ai bambini che si sono comportati bene. Ma é anche un po’ dispettoso e le nasconde tra l’erba e i cesp

Il Natale

Il Natale, come altri avvenimenti, è una ricorrenza che si ripete nel tempo ed ha il compito di rendere presente, e quindi Eterno, un attimo della storia umana. È interessante comprendere il lato nascosto dei simboli che da sempre lo rappresentano, per chi ricerca l’Essenza delle cose e per chi vuol ampliare la propria conoscenza.

Bisogna tener presente che il Simbolo è una Trinità che possiede un Corpo (parola o glifo), un’Anima (interpretazione emergente) ed uno Spirito (energie alle quali è connesso). Intorno al fulcro centrale, Gesù Bambino, si muovono i personaggi che crediamo di conoscere… Maria: rappresenta l’essenza e l’espressione del principio femminile. Simboleggia la Grazia, la Luce, l’energia Spirituale che discende dall’Alto. Il nome Maria proviene dall’Egiziano e significa Amare (Myryam). Maria è la manifestazione della Luce nel Campo di Coscienza. Rappresenta l’Evocazione (discesa delle Energie Spirituali). Giuseppe: essenza ed espressione del principio maschile.

Simboleggia lo sforzo umano che ascende dal basso. È il simbolo del lavoro umano compiuto come fondamento necessario all’ascesa. Giuseppe rappresenta l’invocazione della Scintilla Divina. I tre Re Magi: simboleggiano la Volontà, il Pensie3 incontri sino alla fine dell’anno: il 7 novembre a Venaria, il 27 novembre a Palazzo Madama e il 19 dicembre nella chiesa dei Santi Martiri…e la mostra dell’ADSI ro ed il Sentimento che devono operare in armonia per realizzare l’Iniziazione Spirituale. Porgono i loro doni alla Scintilla Divina: l’Oro come offerta al Re, Maestro di se stesso e simbolo di coscienza e conoscenza; la Mirra come offerta al Profeta, l’Iniziato, il rivelatore dei Misteri, è il simbolo delle energie creative e della volontà; l’Incenso come offerta al Sacerdote, essere che agisce da canale, trasformatore di energie e coscienze e simbolo di amore e sentimento. I Pastori rappresentano l’aspetto intuitivo-mistico che è attirato spontaneamente dalla Verità Suprema, ma non ha bisogno dell’esperienza di studio dei Magi. I pastori restano all’esterno della grotta, mentre i tre Re Magi vi entrano. La Grotta: simboleggia il Centro psicospirituale del cuore. Gli alberghi pieni rappresentano il nostro mondo emotivo-astrale troppo pieno per ospitare la Nuova Luce. Il Bue: simboleggia l’energia sessuale.
Essa è al servizio della Nuova Luce. L’Asino: simboleggia la personalità e la testardaggine dell’io umano. Anche la personalità è messa al servizio della Nuova Luce. La Stella cometa: simboleggia l’Anima perfezionata che dai mondi spirituali si incarna sulla terra.
L’Abete: Era l’albero sacro ad Artemide e al Nord era considerato l’Albero della Nascita. È l’albero della vita con tutti Centri o Chakra accesi. Le decorazioni sono i simboli esteriori che richiamano ciò che dobbiamo far accendere nei mondi interiori. Babbo Natale: rappresenta la guida, naturalmente non sul piano fisico.

Egli è un archetipo che incarna l’impulso spirituale che può favorire la nascita dell’Uomo Nuovo. È un Padre Spirituale che ha le qualità dell’allegria, della generosità, del perdono del discernimento ed un buon grado di sapienza. La barba bianca simboleggia una coscienza orientata verso il mondo spirituale. Il vestito rosso è il simbolo della manifestazione del principio spirituale nella materia.

I guanti bianchi (le mani rappresentano il potere dell’azione) sono il simbolo del potere e dei talenti interiori completamente sviluppati ed espressi. La corporatura piuttosto robusta, indica abbondanza, prosperità ed una completa assimilazione dei valori spirituali. La Slitta: trainata dalle renne rappresenta la sfera emotiva che viene sapientemente padroneggiata e diretta dai principi superiori ma che, se lasciata a se stessa, può provocare danni notevoli.

Alcune riflessioni sul 25 dicembre

Festività solari Il solstizio invernale e il culto del “Sol Invictus” nel tardo impero romano hanno verosimilmente avuto un ruolo nell’istituzione e nello sviluppo del Natale, anche se non ci sono evidenze definitive di questa relazione. La festa si sovrappone approssimativamente alle celebrazioni per il solstizio d’inverno e alle feste dei saturnali romani (dal 17 al 23 dicembre).

Inoltre già nel calendario romano il termine Natalis veniva impiegato per molte festività, come il Natalis Romae (21 aprile), che commemorava la nascita dell’Urbe, e il Dies Natalis Solis Invicti, la festa dedicata alla nascita del Sole (Mitra), introdotta a Roma da Eliogabalo (imperatore dal 218 al 222) e ufficializzato per la prima volta da Aureliano nel 274 d.C. con la data del 25 dicembre. È soprattutto quest’ultima festa a polarizzare l’attenzione degli studiosi.

Se già verso il 200 era ampiamente diffusa nelle comunità cristiane dell’oriente greco la celebrazione del 6 gennaio come giorno della nascita di Gesù, successivamente si registra il prevalere della data del 25 dicembre, e questo pare spiegarsi con la grande popolarità, al tempo, della devozione al Sole Invitto. Alcune coincidenze storiche sono infatti particolarmente significative, tra le quali: 1. la corrispondenza delle date, 2. il fatto che il periodo nel quale prende probabilmente forma la festività cristiana corrisponde approssimativamente con il picco dei culti solari sostenuti dallo Stato romano, 3. la diffusione di analogie solari con il Cristo negli scritti patristici di quei secoli. Queste sono state ispirate direttamente dal cantico di Zaccaria nel Vangelo di Luca, che descrive la missione di Giovanni Battista come una preparazione alla venuta del Signore, descritto come “un sole che sorge dall’alto”: vedi Lc 1,68-79 e in particolare il v. 78. Il Natale costituisce probabilmente l’esempio più significativo di come una tradizione pagana sia stata assorbita dal Cristianesimo e abbia assunto un nuovo significato. Nonostante l’introduzione del Natale cristiano, i culti pagani collegati alla celebrazione del sole perdurarono per molti anni, tant’è che ancora nel Natale del 460 tale circostanza portò papa Leone I ad affermare: «È così tanto stimata questa religione del Sole che alcuni cristiani, prima di entrare nella Basilica di San Pietro in Vaticano, dopo aver salito la scalinata, si volgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell’astro fulgente. Siamo angosciati e ci addoloriamo molto per questo fatto che viene ripetuto per mentalità pagana.

I cristiani devono astenersi da ogni apparenza di ossequio a questo culto degli dei.» (Papa Leone I, 7 sermone tenuto nel Natale del 460 – XXVII – 4) Quando i missionari iniziarono la conversione dei popoli germanici, adattarono alla tradizione cristiana molte feste pagane. Le celebrazioni pagane vennero così ricondotte alle celebrazioni del Natale, mantenendo però alcune delle tradizioni e dei simboli originari (fu lo stesso papa Gregorio Magno, tra gli altri, a suggerire apertamente Papa Leone I Mitra questo approccio alle gerarchie ecclesiastiche). Fra i simboli moderni del Natale che appaiono derivare dalle tradizioni germaniche e celtiche pagane compare, fra l’altro, l’uso decorativo del vischio e dell’agrifoglio e l’albero di Natale.
In Islanda i festeggiamenti del solstizio d’inverno continuarono ad essere celebrati per tutto il Medioevo, fino all’epoca della Riforma.

Anche in altre regioni la sovrapposizione fra gli antichi culti pagani del sole e la celebrazione del Natale cristiano perseverò almeno fino alla fine del XII secolo; tale circostanza risulta testimoniata dal vescovo siriano Jacob Bar-Salibi: «Era costume dei pagani celebrare al 25 dicembre la nascita del Sole, in onore del quale accendevano fuochi come segno di festività. Anche i Cristiani prendevano parte a queste solennità.
Quando i dotti della Chiesa notarono che i Cristiani erano fin troppo legati a questa festività, decisero in concilio che la “vera” Natività doveva essere proclamata in quel giorno.» (Jacob Bar-Salibi) Data di nascita di Gesù La data di nascita di Gesù è sconosciuta: il giorno non è indicato nei Vangeli né in altri scritti contemporanei. Fin dai primi secoli, i cristiani svilupparono comunque diverse tradizioni, basate anche su ragionamenti teologici. Questi fissavano il giorno della nascita in date diverse, tanto che il filosofo Clemente Alessandrino (150 – 215 d.c.) annotava in un suo scritto: “Non si contentano di sapere in che anno è nato il Signore, ma con curiosità troppo spinta vanno a cercarne anche il giorno” (Stromata, I,21,146).

Il testo di Clemente registra comunque l’esistenza di una tradizione antica relativa a una nascita di Gesù in una data di mezzo inverno. Tale tradizione viene infatti fatta risalire ai seguaci di Basilide, attivo ad Alessandria prima del 150, che celebravano il 6 o il 10 gennaio, con il battesimo di Gesù, la sua nascita come Figlio di Dio. Il dibattito sulla data di nascita di Gesù, rilanciato nel Novecento, consente di offrire una prospettiva alternativa o complementare all’ipotesi dell’istituzione del Natale in sostituzione alla festa pagana del Sol Invictus.
Un primo riferimento, per quanto controverso, al 25 dicembre come giorno di nascita di Gesù è presente in Ippolito di Roma nel 204, circa 70 anni prima di Aureliano, e lo studioso Paul de Lagarde ha evidenziato come la data del 25 dicembre era presumibilmente calcolata in Occidente già nel 221, nella Cronografia di Sesto Giulio Africano.
In generale, diversi studiosi hanno tentato una ricostruzione plausibile della nascita di Gesù, arrivando a ritenere verosimile il 25 dicembre.

Tuttavia è stato grazie alle ricerche di Shemarjahu Talmon, dell’Università Ebraica di Gerusalemme che furono compiuti concreti passi avanti in questo senso. Talmon è stato infatti in grado di ricostruire le turnazioni sacerdotali degli ebrei e applicarle al calendario gregoriano sulla base dello studio del Libro dei Giubilei recentemente scoperto a Qumran.

Lo studioso israeliano riuscì a stabilire che la data di nascita di Gesù potrebbe quindi essere il 25 dicembre. Di rilievo anche una possibile lettura simbolica della data di nascita. Dato che la data della morte di Gesù nei Vangeli si colloca tra il 25 marzo e il 25 aprile del nostro calendario, per calcolare la daGuido Reni ta di nascita di Gesù secondo alcuni studiosi si sarebbe seguita la credenza che la morte sia avvenuta nell’anniversario della sua venuta al mondo. Secondo questa ipotesi, per la festività del Natale si calcolò che Gesù fosse morto nell’anniversario della sua Incarnazione o concezione (non della sua nascita), e così si pensò che la sua data di nascita dovesse cadere nove mesi dopo la data del Venerdì Santo, tra il 25 dicembre e il 6 gennaio. Il Natale, come altri avvenimenti, è una ricorrenza che si ripete nel tempo ed ha il compito di rendere presente, e quindi Eterno, un attimo della storia umana. È interessante comprendere il lato nascosto dei simboli che da sempre lo rappresentano. Ecco ora alcuni significati dei principali simboli Natalizi. Bisogna tener presente che il Simbolo è una Trinità che possiede un Corpo (parola o glifo), un’Anima (interpretazione emergente) ed uno Spirito (energie alle quali è connesso). Maria: rappresenta l’essenza e l’espressione del principio femminile. Simboleggia la Grazia, la Luce, l’energia Spirituale che discende dall’Alto.

Il nome Maria proviene dall’Egiziano e significa Amare (Myryam). Maria è la manifestazione della Luce nel Campo di Coscienza. Rappresenta l’Evocazione (discesa delle Energie Spirituali). Giuseppe: essenza ed espressione del principio maschile. Simboleggia lo sforzo umano che ascende dal basso. È il simbolo del lavoro umano compiuto come fondamento necessario all’ascesa.

Giuseppe rappresenta l’invocazione della Scintilla Divina . Nelle storie del Graal Giuseppe è la Lancia, Maria la Coppa. I tre Re Magi: simboleggiano la Volontà, il Pensiero ed il Sentimento che devono operare in armonia per realizzare l’Iniziazione Spirituale. Porgono i loro doni alla Scintilla Divina: l’Oro come offerta al Re, Maestro di se stesso e simbolo di coscienza e conoscenza; la Mirra come offerta al Profeta, l’Iniziato, il rivelatore dei Misteri, è il simbolo delle energie creative e della volontà; l’Incenso come offerta al Sacerdote, essere che agisce da canale, trasformatore di energie e coscienze e simbolo di amore e sentimento. I Pastori rappresentano l’aspetto intuitivo-mistico che è attirato spontaneamente dalla Verità Suprema, ma non ha bisogno dell’esperienza di studio dei Magi.

I pastori restano all’esterno della grotta, mentre i tre Re Magi vi entrano. La Grotta: simboleggia il Centro psicospirituale del cuore. Gli alberghi pieni rappresentano il nostro mondo emotivo troppo pieno per ospitare la Nuova Luce. Il Bue: simboleggia l’energia sessuale. Essa è al servizio della Nuova Luce. L’Asino: simboleggia la personalità e la testardaggine dell’io umano. Anche la personalità è messa al servizio della Nuova Luce. La Stella cometa: è la Stella a Cinque punte che guida i Magi alla Grotta e simboleggia l’Anima perfezionata che dai mondi spirituali si incarna sulla terra.

I simboli di Natale

Le feste natalizie sono costellate di cerimonie ed usanze di cui non tutti conoscono il significato profondo, l’origine e l’evoluzione. Alcune di esse derivano da tradizioni pagane cristianizzate.

Questa commistione di usanze di ispirazione evangelica con altre precristiane è dovuta alla collocazione calendariale del Natale che, diversamente dalla Pasqua, è errata storicamente. Nel vangelo di Luca si narra soltanto che nel periodo in cui nacque Gesù c’erano a Betlemme dei pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al gregge. Siccome sappiamo che i pastori ebrei partivano per i pascoli all’inizio della primavera, in occasione della loro Pasqua, e tornavano in autunno, è evidente che il Cristo nacque tra la fine di marzo e il primo autunno; tant’è vero che fino alla fine del III secolo il Natale veniva festeggiato, secondo i luoghi, in date differenti: il 28 marzo, il 18 aprile o il 29 maggio. Nella seconda metà del secolo III si affermò nella Roma pagana il culto del sole, di cui l’astro non era se non una manifestazione sensibile.

In suo onore l’imperatore Aureliano aveva istituito una festa al 25 dicembre, il Natalis Solis Invicti, il Natale del Sole Invitto, durante il quale si celebrava il nuovo sole “rinato” dopo il solstizio invernale.
Molti cristiani erano attirati da quelle cerimonie spettacolari; sicché la Chiesa romana, preoccupata per la nuova religione che poteva ostacolare la diffusione del cristianesimo più delle persecuzioni, pensò bene di celebrare nello stesso giorno il Natale di Cristo. La festa, già documentata a Roma nei primi decenni del IV secolo, si estese a poco a poco al resto della cristianità. La coincidenza con il solstizio d’inverno fece sì che molte usanze solstiziali, non incompatibili con il cristianesimo, venissero recepite nella tradizione popolare. D’altronde non si trattava di una sovrapposizione infondata, perché fin dall’Antico Testamento Gesù era preannunciato dai profeti come Luce e Sole.

Malachia lo chiamava addirittura “Sole di giustizia”.
Per questi motivi già nei primi secoli l’accostamento del sole al Cristo era abituale, come testimonia Tertulliano: “Altri ritengono che il Dio cristiano sia il sole perché è un fatto notorio che noi preghiamo orientati verso il sole che sorge e nel giorno del sole ci diamo alla gioia, a dire il vero per un motivo del tutto diverso dall’adorazione del sole”. Collegata a questo simbolismo di luce è l’usanza di adornare l’uscio di casa con piantine come il pungitopo o l’agrifoglio dalle bacche rosse, mentre quella del vischio è una tradizione celtica cristianizzata.
La si considerava una pianta donata dagli dei poiché non aveva radici e cresceva come parassita sul ramo di un’altra. Si favoleggiava che spuntasse là dov’era caduta una folgore: simbolo di una discesa della divinità, e dunque di immortalità e di rigenerazione. La natura celeste del vischio, la sua nascita dal Cielo e il legame con i solstizi non potevano non ispirare successivamente ai cristiani il simbolo di Cristo: come la pianticella è ospite di un albero, così il Cristo, si dice, è ospite dell’umanità, un albero che non fu generato nello stesso modo con cui si generano gli uomini.

Alla luce delle antiche feste solstiziali si seguivano alcune usanze, come ad esempio quella di accende- 3 re fuochi e falò che hanno, si dice, la funzione simbolica di “bruciare” le disgrazie e i peccati dell’anno morente, di purificare, ma anche di ricevere dal sole, composto di fuoco, nuova energia, fertilità e fecondità: sole che altro non è se non il simbolo di Cristo, come si è già detto.
Ma torniamo alla notte di Natale quando, una volta e ancora adesso in qualche famiglia toscana o emiliana, si accendeva dopo la cena di magro un ceppo che rappresenta simbolicamente l’Albero della Vita, il Cristo, dicendo: “Si rallegri il ceppo, domani è il giorno del pane; ogni grazia di Dio entri in questa casa, le donne facciano figlioli, le capre capretti, le pecore agnelletti, abbondino il grano e la farina e si riempia la conca di vino” – “Il giorno del pane”, lo chiamavano: per questo motivo si mangiavano, come oggi d’altronde, dolci a base di farina che hanno nomi diversi secondo le regioni: pangiallo, pane certosino, pandolce, panforte, pampepato e panettone.
Perché mai il pan dolce? L’usanza di consumare questo alimento nei periodi solstiziali potrebbe risalire agli antichi Romani, perché Plinio il Vecchio riferisce che alla festa del Natalis Solis Invicti si confezionavano le sacre e antiche frittelle natalizie di farinata. Con l’avvento del cristianesimo si modificò l’interpretazione riferendosi alle parole di Gesù: “lo sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più lame e chi crede in me non avrà più sete; io sono il pane della vita”. Il Pane della Vita s’incarnò proprio a Betlemme, che nell’ebraico Bet Lehem significava Casa del Pane, nome dovuto probabilmente al fatto che proprio in quella cittadina era un immenso granaio, essendo circondata da campi di frumento.

Quanto al ceppo, non è il solo simbolo arboreo natalizio: lo è anche l’abete che fin dall’epoca arcaica fu considerato un albero cosmico che si erge al centro dell’universo e lo nutre.

Fu facile ai cristiani del nord assumerlo come simbolo del Cristo. Nei paesi latini l’usanza si diffuse molto tardi, a partire dal 1840, quando la principessa Elena di Maclenburg, che aveva sposato il duca di Orléans, figlio di Luigi Filippo, lo introdusse alle Tuileries suscitando la sorpresa generale della corte. Persino i suoi addobbi sono stati interpretati cristianamente: i lumini simboleggiano la Luce che Gesù dispensa all’umanità, i frutti dorati insieme con i regalini e i dolciumi appesi ai suoi rami o raccolti ai suoi piedi sono rispettivamente il simbolo della Vita spirituale e dell’Amore che Egli ci offre.

Anche l’usanza della tombola nel pomeriggio del Natale ha una derivazione pagana: durante i Saturnali, che precedevano il solstizio e sui quali regnava Saturno, il mitico dio dell’Età dell’Oro, si permetteva eccezionalmente il gioco d’azzardo, proibito nel resto dell’anno: esso era in stretta connessione con la funzione rinnovatrice di Saturno il quale distribuiva le sorti agli uomini per il nuovo anno; sicché la fortuna del giocatore non era dovuta al caso, ma al volere della divinità. Nella Roma antica, in occasione dell’inizio dell’anno si usava anche donare delle strenae che arcaicamente erano rametti di una pianta propizia che si staccavano da un boschetto sulla via Sacra, con- 4 sacrato a una dea di origine sabina, Strenia, apportatrice di fortuna e felicità. Poi a poco a poco si chiamarono strenae anche doni di vario genere, come succede ancora oggi.

É invece soltanto cristiana l’usanza del Presepe. Il primo, vivente, con il bue e l’asino nella mangiatoia, risale al 1223 a Greccio, un paese vicino a Rieti: lo ideò san Francesco d’Assisi ispirandosi a una tradizione liturgica sorta nel secolo IX, quando in molti Paesi europei si formarono dall’ufficio quotidiano delle ore i cosiddetti uffici drammatici a rievocare le principali scene evangeliche con brevi dialoghi. Successivamente quei primi esperimenti si ampliarono in strutture più vaste e complesse, sicché il tema della Natività ispirò nel monastero di Benedikburen un vero e proprio dramma al cui centro campeggiava quella del presepe. Ispirandosi a quelle sacre rappresentazioni Francesco volle rievocare la scena della Natività con un bue e un asino in carne ed ossa. “L’uomo di Dio” scrisse san Bonaventura da Bagnoregio “stava davanti alla mangiatoia, ricolmo di pietà, cosparso di lacrime, traboccante di gioia”. Ancora oggi a Greccio si celebra il presepe vivente da cui sono derivati quelli inanimati.

La mangiatoia era vuota ma il cavaliere Giovanni di Greccio, molto legato a Francesco, affermò di avere veduto un bellissimo fanciullino addormentato che il beato Francesco, stringendolo con entrambe le braccia, sembrava destare dal sonno. Tratto da Avvenire del 2 marzo 2003.

di Alfredo Cattabiani