“Nobilità e Popolo” discussa esistenza di un Tertium Genus (Nobiltà Minore)

Giovedì 14 dicembre 1995

introduzione al tema di Giorgio Casartelli, Enrico Genta e Gustavo Mola di Nomaglio

Apre l’incontro Giorgio Casartelli, che illustra i motivi che hanno portato alla scelta dei titoli delle serate, titoli scelti con il proposito di suscitare il più possibile la discussione tra i presenti.

Enrico Genta si rifà a fonti inglesi, ed in particolare a Thomas Smith ed al suo “ De Republica Anglorum” che considera due tipi di nobiltà, la “nobilitas major” (dai baroni ai pari, che siedono nella Camera dei Lords) e la “nobilitas minor”, che comprende il ceto dei gentiluomini, non meglio definito, senza titoli specifici.

Si pone il problema di comprendere se questo tipo di nobilitas minor sia da considerarsi una vera e propria nobiltà, in quanto non ha mai avuto una sanzione ufficiale.

Nel medioevo, bisogna ricordare, il potere politico era incompiuto, nel senso che il Sovrano non voleva occuparsi di tutto, lasciando molto spazio e libertà organizzativa a quella spiccata autonomia che era una caratteristica dell’epoca. Anche nel campo della definizione della nobiltà sussisteva questa libertà. questa elasticità. Il riconoscimento della nobiltà avveniva con una sorta di cooptazione da parte degli altri nobili che valeva come riconoscimento.

Così si può ritenere che la nobiltà minor fosse già una forma effettiva di nobiltà, che deteneva soprattutto gli aspetti finanziari e che si aggiungeva a quella di spada e de robe.

Gustavo Mola premette che è scorretto parlare di piccola nobiltà, perché in realtà non ha nulla a che vedere con la nobiltà. Riconsiderando le varie epoche, vediamo che la nobiltà poteva essere per:

– conquistatori

– nobiltà feudale (propria dell’epoca capetingia) o territoriale, che ha durato sino all’inizio del ‘300

– dai sovrani, in diverse forme. Forse la prima infeudazione del genere fu quella che Filippo III concesse al suo orefice nel 1270; in seguito divennero numerosissime

– ruoli nobilitanti, verso il XIII sec. Basti pensare al collegio dei notai di Vercelli o ai giureconsulti di Milano

– nobiltà ereditaria, che si acquisiva per privilegio e per meriti militari. Nel 1583 Enrico III iniziò a concede una forma di nobiltà, o per lo meno le esenzioni fiscali proprie della nobiltà a chi per 10 anni ricopriva cariche militari

– concessione del Principe

– nobiltà de robe (in Piemonte l’acquisizione per questo tipi di meriti non era sempre chiaro)

– nobiltà municipale concessa ai sindaci, soprattutto in Francia

– discendenti di un nobilitato

– patriziati cittadini (Venezia, Genova)

A questo tipo di nobiltà se ne affianca una minore, come la “gentry” inglese, che risulta però essere una vera e propria nobiltà effettiva e regolamentata.

In molte zone di Italia si incontra una nobiltà locale, derivante da cariche a livello locale.

A fronte delle due classi che detenevano il potere, quella nobiliare, che predominava, e quella borghese, che deteneva la finanza, si afferma un vero e proprio ceto intermedio (come afferma anche Max Weber), che viveva “more nobilium”, usando uno stemma, definiti “nobili messeri” nei documenti del ‘500, poi solo “nobili” e nel ‘700 “signori”. Si tratta di cariche quali quelle di professionisti, notai, medici, gabellieri, ecc.

Si pone dunque il problema di capire se, pure in assenza di determinati privilegi del ceto nobiliare, questo tipo di nobiltà minore sia da considerarsi effettivamente nobiltà a tutti gli effetti.

Per Giorgio Casartelli la risposta deve essere positiva, per Gustavo Mola negativa.

Viene riportato il parere di alcuni magistrati piemontesi che si dichiarano dubbiosi circa la vera nobiltà di chi sia senza feudi, pur vivendo more nobilium. Assumono una rilevante importanza le alleanze matrimoniali. Comunque è indubbio che anche questa nobiltà che viene crescendo finisce per diventare una vera nobiltà anch’essa.

Il modello inglese può fornire importanti raffronti, dove la gentry e la land-gentry in particolare non era confondibile con la borghesia, portando una stemma, avendo possedimenti terrieri, vantando importanti alleanze matrimoniali, anche se non godendo di privilegi fiscali . si tratta quindi di una vera e propria nobiltà minore.

In realtà l’Inghilterra, avendo sperimentato per breve periodo e poi avendo superato l’assolutismo già nel 1689, non ha delle regole precise per definire la nobiltà, proprio come accadeva nel medioevo. Infatti nell’assolutismo la situazione circa la definizione della nobiltà è molto diversa, in quanto vi sono dei criteri precisi dettati dal desiderio di controllare con precisione tutto a livello centrale.

Per interpretare le istituzioni medioevali bisogna mettersi nell’ottica di allora, ben diversa dall’attuale forma di assolutismo in cui lo stato governa tutto, disciplina tutto. Allora la consuetudine era invece la normativa preponderante, vigendo dunque una mentalità diversa che quindi considerava l’acquisizione della nobiltà in modo diverso.

Il dibattito che segue porta ad alcune considerazioni sulla nobiltà di San Marino e a quella derivante dagli ordini cavallereschi che, pur essendo una nobiltà personale, in alcuni ordini portava al suo radicamento, cosa che però iniziò solo in epoche recenti, dall’800 in poi.

La nobiltà in origine era personale, diventando ereditaria solo dal tardo medioevo.

In conclusione si rivela come il definire la nobiltà sia un progetto ambizioso se non impossibile, nonostante tutti i tentativi fatti in questa direzione.

(dagli appunti di Fabrizio Antonielli d’Oulx)