Dall’Aristocrazia feudale alla Nobilità di Servizio

Di Angelo Burzi

E’ diventato quasi normale affennare che un popolo ha diritto ad un futuro solo se conosce il suo passato. Se così è vi sarebbe da dubitare sulla sopravvivenza del nostro Piemonte, tanta è stata la tenacia con cui in mezzo secolo la cultura dom’mante di estrazione marxis’ta ha condotto un’operazione demolitn’ce dei valori delle classi d,om’manti borghesi ed ancor più dei simboli, dei valori dell’aristocrazia, confinandola ad un oscuro passato semi feudale-

Torino, secondo una vulgata ripetuta all’ossessione, sarebbe improvvisamente sorta a vita nuova con Gramscí e Gobetti. Prima era il deserto.

Certo non è questa la realtà, non è questa la storia, sta di fatto però che sul ruolo fondarnentale della nobiltà piemontese nella costruzione dello Stato moderno, nell’organizzazione del buon governo condotta per secoli in Piemonte, dalla ricostituzione del Ducato ad opera dì Emanuele Fllìberto, è calato un pesante silenzio per anni.

Scarsi studi storici, certamente una chiusura drastica a memorie e ricordi di secoli di buon servizio nelle armì, nell’wnministrazione e nella cultura esercìtato dalla nobiltà piemontese, tanto quella legata al feudo quanto quella che acquisiva il titolo per i servizi resi al Sovrano nell’esercizio del potere.

Appare, quindi, assai s’mgolare che il ritorno ad una ricerca stenografica su Vittorio Amedeo Il appartenga ad uno studioso nord americano, il Symcox. Straordinario poì che ìl più completo ed originale studio sulla funzione altissima della nobiltà piemontese anche nel passaggio verso l’Italia liberale lo si debba ad un professore dell’Università di Chicago, il Professor Anthony Cardozo, che ha vissuto per ben un anno a Torino prima di pubblicare in Italia l’interessantissimo saggio: “Patrizi in un mondo plebeo” (Ed. Donzelli).

La caratterìstica della nobiltà piemontese a diversità di quella meridionale è segnata dalle profonde trasformazioni avvenute nell’arco di due secoli. A partire da Carlo Emanuele 1 acquistano sempre di più il titolo nobiliare soggetti che servono il sovrano e quindi lo Stato: banchieri, mercanti , funzionari, liberi professionisti che si guadagnarono il titolo grazie all’esercizio di una carica pubblica o finanziando il sovrano.

Nel saggio del professar Cardoza emerge che, verso la fine del ‘700, non più di 50 famiglie vantavano titoli nobiliari rìsalentí al XI e XII secolo e che oltre 5.000 erano i nuovi nobili, emersi particolannente dopo la profonda riforma di Vittorio Amedeo Il perseguita coerentemente anche dal suoi successori.

Il Piemonte è quindi straordinariamente ricco di una nobiltà legata ai servizi e ai doveri nei confronti dello Stato. Non è soltanto più una nobiltà di spada che continua peraltro ad esercitare una quasi totale presenza nell’esercito, ma una nobiltà che costituisce il nerbo della organizzazione dello Stato ‘m tutte le sue rarnificazioni.

Ci troviamo di fronte ad uno straordinario patrimonio culturale che costituisce una ricchezza che, ancor oggi, in tempi di smarrimento di identità deve essere utilizzata per marcare ancor più il Piemonte come terra per molti versi orgogliosamente autonoma rispetto ad altri comportamenti nazionali. Il patrimonio di ricchezza della nobiltà piemontese, oltre che oggetto di studio, di ricerca storica, di tesi universitarie, può rappresentare l’elemento fondante di una conoscenza divulgata e partecipata di uno stile di vita attivo e produttivo avendo sempre presente, però, la fedeltà e l’onore come elementi caratterizzanti.

Ma che fare oggi che questo rapporto di fedeltà ormai da lungo tempo non può più essere esercitato nei confronti del sovrano? Ebbene, certo il futuro può essere ben meritato se si ha profonda coscienza di ciò che ha rappresentato un grande passato. Quanto la Vostra Associazione ha già espresso culturalmente in questi anni è un segno largamente positivo di quello che può e deve fare in futuro.

Affinché la Vostra Associazione possa essere potenziata ritengo necessario arrivare al riconoscimento di organizzazione non lucrativa di utilità sociale (ONLUS). Nell’ambito di ciò che la legge prevede, quanto è contenuto nel Vostro statuto dovrebbe ben poter consentire l’attività di volontariato disciplinata fiscalmente. Le voci “promozione della cultura7′ o “tutela, promozione e valon’zzazione delle cose d’interesse artistico e storico” possono rappresentare un ombrello assai vasto sotto il quale può trovare ospitalità il riconoscimento come organizzazione di volontaríato.

E’ comunque interesse della Regione di poter usufruire dell’attività di supporto e servizio che la Vostra Associazione propone. E’ un arricchimento culturale non indifferente anche perché nel appena passato 1999, anno di un celebre centenario, valeva forse la pena ricordare le figure eminenti dell’aristocrazia che contribuirono alla nascita della FIAT e mi riferisco non solo al Conte Bíscaretti dì Ruffia ma anche al Conte Cacherano di Bricherasio, che affonda le radici ‘m una certa e riconosciuta nobìltà i cui antenati comandarono sotto Carlo Emanuele 111 la vittoriosa e cruenta battaglia dell’Assietta nel 1747. Anniversario che ogni anno è ricordato perché in quel giorno e su quel colle si celebra la festa del Piemonte.

Ricorda Sergio Romano, in una bella presentazione del Castello di Santena, come il modo di vivere e di abitare degli aristocratici piemontesi fosse posto ‘m luoghi fuori dalle frontiere: “(… ) Le frontiere avevano collocato le loro case in Stati diversi e la storia politico-religiosa di quella parte d’Europa aveva separato le loro Chiese. Ma intellettualmente essi appartenevano a una stessa patria. Leggevano gli stessi libri e le stesse riviste, seguivano con uguale interesse le vicende politiche francesi o mglesi, discutevano con uguale competenza i problemi della società contemporanea, dello sviluppo economico, della rete ferroviaria. Il principe di Craon era francese, Eugène de la Rive svizzero. Carnillo di Cavour piemontese, ma li univa un comune interesse per la rifonna penitenzian’a e una stessa curiosità per la prigione di Ginevra,

inaugurata nel 1822 secondo i criteri innovatosi di Bentham, che essi visitarono

. il 27 agosto 1833. Alcuni erano conservatori, al ms eme tri liberali, alcuni cattolici,

altri protestanti, alcuni desiderosi di cirnentarsi con attività industriali, altri di rinnovare le loro proprietà agricole. Ma appartenevano alla stessa Europa, parlavano la stessa lingua e potevano comprendersi più di quanto ciascuno di essi non comprendesse un borghese o un nobile di altre regioni d’Europa. Per alcuni anni, in epoca napoleonica, erano stati cittadini di uno stesso Stato e quella circostanza aveva probabilmente raffor ‘ zato la loro “tribalit;Y’, ma i loro legami erano stati creati dalla storia. Erano, insomma, una “nazìone” alpina distribuita su tre Stati, e la geografia di quella nazione era per l’appunto disegnata delle loro case e dai loro castelli.”

Non vuole essere un volo pindarìco per captare benevolenza, ma qualcosa di simile vuol fare la Regione Piemonte quando nel suo progranuna dì sviluppo pone come obiettivo prioritario il recupero delle città minori. Un progetto di rìqualificazione dell’archìtettura e del paesaggio che deve essere salvato e guarito dalle ferite di una edificazione becera venuta su negli ultimi cinquanta anni.

Non è solo un progetto edilizio, non è solo questione di pietre. E’ un progetto per uno stile di vita, di produzìone di cultura a cui chì viene da lontano per modo di intendere può dare un formidabile contributo.

Un recupero d’identità per cui l’aristocrazia del titolo ritorna ad essere l’aristocrazia dello stile e dei modo di vivere. Ecco, nella nuova vita delle residenze sabaude e nel recupero delle vecchie dìmore ‘m città e nelle cwnpagne, un nuovo servizio che coi tempo pres ente recupera la storia.