Personaggi delle istituzioni della Restaurazione sabauda

introduzione al tema di Paola Casana Testore

Parlare dei personaggi dell’aristocrazia dell’epoca della restaurazione vuol dire andare a toccare tutta la vita dello Stato di allora, dagli aspetti amministrativi a quelli politici, dalla struttura militare a quella giudiziaria, coinvolgendo sia i politici veri e propri, sia i funzionari statali.

La Restaurazione fu senza dubbio un periodo particolare.

Napoleone lasciò profonde influenze, a dispetto dei Savoia e di Carlo Emanuele I che avrebbe voluto cancellare tutto, ripristinando, come prima azione al suo ritorno, la legislazione precedente in toto.

In realtà la gente si era abituata e tutto sommato gradiva la certezza del diritto che proveniva dai codici napoleonici, l’efficienza della burocrazia e della pubblica amministrazione che facilitavano la vita.

Anche il Re si rese conto ben presto che poteva avere, accettando parte delle riforme napoleoniche, un esecutivo molto forte e una burocrazia efficiente, utilissimi strumenti per controllare ed arginare le istanze costituzionali che sempre più si facevano sentire.

La gente poi si era ormai assuefatta al governo francese, ed in particolare i giovani avevano trovato nella carriera militare uno sbocco importante. Il governo francese aveva anche saputo dare un impulso all’agricoltura, sia grazie ai borghesi che avevano acquistato le terre della Chiesa, sia grazie alle sovvenzioni per lavori pubblici che Napoleone aveva dato: si aveva quindi un numero inferiore di poveri nella popolazione.

Il settore forse meno favorito fu il tessile, sacrificato per non ingenerare problemi all’industria francese del settore, localizzata soprattutto a Lione.

Non solo i borghesi, ma anche molti nobili accettarono gli eventi assumendo cariche pubbliche nel governo napoleonico, mirando a mantenere il proprio “rango” anche se bisogna dire che la selezione dei francesi per l’accesso alle cariche statali era molto più severa ed attenta al vero valore delle persona.. Per altro chi aveva scelto di rimanere appartato nelle campagne era ossessionato dalla disoccupazione.

Nel 1814 il generale austriaco von Bubna arrivò a Torino ed assunse il comando militare senza che si verificassero manifestazioni né di gioia né di opposizione. Uno dei suoi primi atti fu un proclama che stabiliva che tutti i pubblici funzionari dovevano restare al loro posto, proclama redatto con l’aiuto di non pochi nobili piemontesi tra i quali Filippo Asinari di San Marzano e Prospero Balbo. Venne costituita una commissione composta da 7 persone, tra i quali 5 avevano ricoperto cariche con il governo napoleonico. Oltre ai citati facevano parte della Commissione Ludovico Peiretti di Condove, Alessandro Saluzzo di Monesiglio, anch’essi esponenti del governo francese, Alessandro Vallesa, Luigi Serra d’Albugnano e Ignazio Thaon di Revel che invece erano rimasti fedeli ai Savoia.

La Commissione si prefiggeva di realizzare un’amalgama, ma non iniziò neppure a lavorare perché rientrò il Re che nel maggio 1814 ripristinò tutto il vecchio regime ed iniziò delle epurazioni nei confronti degli ex napoleonici, dall’esercito (dove colpì anche i gradi più bassi sostituendoli con personaggi a lui fedeli, pur se del tutto impreparati, come ricorda anche il “sottotenente” Massimo d’Azeglio), alla amministrazione ed alla burocrazia.

Il Re stesso si rese però ben presto conto che per ammodernare lo stato doveva utilizzare gli ex componenti del governo francese, essendo gli uomini rimasti fedeli ormai quasi tutti vecchi e superati. Richiamò allora gli ex napoleonici, quali il citato Flippo Asinari di San Marzano che inviò come suo ambasciatore al Congresso di Vienna servendogli un uomo che godesse di un prestigio personale anche all’estero. Inviò Carlo Emanuele Alfieri di Sostegno e Prospero Balbo quali ambasciatori all’estero, ottenendo il duplice risultato di avere persone capaci e di allontanarli dalla Capitale.

Il Re in realtà non restaurò completamente la monarchia nell’accezione concepita prima di Napoleone: è necessario esaminare brevemente i diversi modelli di monarchia, che poteva essere:

Costituzionale (Paesi Bassi, Svezia, pesi del nord in genere, in Francia dopo il 1814).

Dispotico – arbitraria (Stati Pontifici e Piemonte prima di Napoleone)

Dispotico – illuminata (l’Impero di Napoleone, Parma e Piacenza, Toscana, Austria), quando la legge, emanata dal Sovrano, doveva poi essere rispettata da tutti.

Amministrativa, che prevedeva un importante impulso all’amministrazione centrale tale da esercitare un forte controllo sulla periferia.

Consultiva, dove al centro si ascoltavano i pareri che provenivano dalla periferia. A questo tipo di monarchia si riferirono Ilarione Petitti di Roreto, e precedentemente lo stesso Prospero Balbo e Luigi Nomis di Cossila.

E’ opportuno ricordare la figura di alcuni personaggi di questi tempi.

Innanzi tutto Prospero Balbo, che ricuperato dal Re (1819 – 1821) come Ministro degli Interni, promosse importanti riforme nell’ordinamento giudiziario, quali l’inamovibilità dei giudici, la motivazione delle sentenze e un nuovo Consiglio di Stato con il ruolo di tribunale di cassazione per interpretare le leggi, e nel contempo organo di Governo legato al Sovrano, con funzioni in tutti i settori dello Stato.

Questa riforma non piacque ai Magistrati, ai Ministri ed allo stesso Sovrano perché temevano di perdere potere e nello stesso tempo paventavano che il nuovo Consiglio di Stato così concepito assumesse troppo peso; il Consiglio di Stato alla fine risultò essere solo un ente molto tecnico, senza quelle innovazioni che avrebbe voluto Prospero Balbo.

Le idee del Balbo ispirarono comunque anche altri statisti, tra cui Ilarione Petitti di Roreto, il cui pensiero non si scostò molto dal Balbo. Egli fu un grandissimo studioso in varie discipline (riforme carcerarie, gioco del lotto, ferrovie, ecc.). Fu intendente ad Asti e Cuneo, membro del Consiglio di Stato con Carlo Alberto: Nel 1831 mise a punto un piano di riforma dello stato.

Fu critico nei confronti dell’apparato statalo così come si era configurato sotto Carlo Felice, denunciandone la mancanza di un centro di coordinamento comune che evitasse che ogni potere si muovesse in modo troppo autonomo e slegato. In alternativa suggeriva un organo di coordinamento indicando per questo il Consiglio di Stato, che doveva circoscrivere le autonomie dei vari organi dello stato, tecnicizzare l’amministrazione, ma assumere anche un ruolo di vertice degli organi consultivi, partendo dai più periferici quali i consigli comunali. Tracciava dunque la via per una monarchia consultiva, dove la voce della base potesse arrivare al sovrano.

Anche Luigi Nomis di Cossila, che non ebbe mai cariche di particolare rilievo, anche se l’essere Regio Archivista comportava una grande fiducia da parte del Sovrano in quanto depositario di tutti i segreti della dinastia, studiò un progetto di riforma del Consiglio di Stato. In realtà Luigi Nomis di Cossila aveva ideato una serie di riforme solo apparenti perché il suo spirito conservatore, pur essendo stato da giovane un simpatizzante repubblicano, lo portava a non volere grandi cambiamenti.

Si può dunque concludere affermando che il Consiglio di Stato era un po’ il centro, il motore di tutti i cambiamenti, ed in particolare poteva essere considerato ed utilizzato anche come strumento per arginare le aspirazioni costituzionali, ma nello stesso tempo come via obbligata verso la monarchia costituzionale.

Il Consiglio di Stato nella configurazione datagli da Carlo Alberto nel 1831 è ancora sostanzialmente quello che conosciamo oggi.

(dagli appunti di Fabrizio Antonielli d’Oulx)