Proclama per la Crimea

A L L’ E S E R C I T O P I E M O N T E S E

Quindicimila tra voi stanno per essere “deportati” in Crimea.

Non uno forse tra voi rivedrà la propria famiglia. Il clima, la mancanza di strade, la difficoltà degli approvvigionamenti in una terra esaurita già dagli eserciti e che non può provvedersi se non per la via d’un mare incerto, tempestoso, difficile, uccidono quei che non sceglie palla nemica. Su 54.000 inglesi che lasciarono la terra loro, 40.000 non rispondono più alla chiamata. Breve tempo dopo cominciato l’assedio al quale vi chiamano, il soldato era a mezza razione. Gli stenti sono tali che i più avvezzi ed induriti tra i soldati francesi d’Affrica prorompono in tumulti e rivolte.

La disorganizzazione del campo tocca estremi siffatti che il popolo d’Inghilterra commosso a si turpe spettacolo ha già rovesciato un ministero e non può porvi rimedio.

Il nemico è accampato dietro a mura e posizioni insuperabili, se non da forze gigantesche e potentemente munite : contempla la lenta, inevitabile distruzione degli assedianti, e non piomberà sovr’essi se non a vittoria certa su battaglioni dimezzati; sfiniti per le lunghe fatiche e privi di quella fiducia che sola procaccia trionfo.

Voi non avrete onore di battaglie. Morrete, senza gloria, senza aureola, di splendidi fatti da tramandarsi per voi, conforto ultimo ai vostri cari. Morrete per colpa di governi e capi stranieri, i quali rifiutando per animo avverso alla libertà delle nazioni, l’unico punto vulnerabile della Russia, la Polonia, s’ostinano a confinare la guerra in una estremità dell’Impero, sovra un breve spazio di terra, tra il mare e il nemico, dove non può essere che carneficina. Per servire un falso disegno straniero, l’ossa vostre biancheggeranno calpestate dal cavallo del cosacco, su terre lontane, né alcuno dei vostri potrà raccoglierle e piangervi sopra.

Per questo io vi chiamo, col dolore dell’anima, “deportati”. Voi partirete non guerrieri fidati nel vostro coraggio, al plauso dei vostri fratelli, e al Dio che protegge le buone cause, ma vittime consacrate in guerra non vostra, per terra non vostra, a cenno di governi non vostri. Abbandonando l’Italia, voi potete, come i gladiatori del Circo esclamare : “vivi lieto, o Cesare, i condannati a morir ti salutano”. E v’hanno detto perché, per chi, voi andate a morire ? Vi hanno detto quale è il Cesare a cui date l’estremo saluto ?

Non è la patria vostra : alla patria vostra, quale è in oggi poco importa se gli interessi mercantili dell’Inghilterra sian lesi o no, delle usurpazioni russe in Oriente, se il Bosforo e l’Impero turco in Europa abbiano un solo o quattro padroni. Non è il governo vostro : il governo vostro non ha ricevuto offesa alcuna dallo Czar, e le sue relazioni con la Russia furono sempre sino a questi giorni amichevoli. Il Cesare a cui voi mandaste l’estremo saluto è il Cesare d’Austria. Francia e Inghilterra volevano ad ogni patto aver l’Austria con se. Stretto il trattato del 2 dicembre, l’Austria chiese la diminuzione dell’esercito sardo – o l’occupazione della vostra Alessandria – o l’invio di 20.000 tra voi, in Crimea. Il vostro governo s’arrese, e firmò il terzo patto. Il capo del Ministero mercanteggiante le vostre vite e l’onore della nazione, confessava egli stesso alla Camera che le trattative non cominciarono se non il 10 o il 12 dicembre; e a salvarci dall’infausta data, l’allietava di lettere anteriori – lettere di governi chiedenti l’alleanza – smarrite !

L’Austria vi teme. L’Austria ricorda i fatti gloriosi per voi quanto vergognosi pei vostri capi, del 48, e sa ogniqualvolta voi sarete guidati da uomini puri, capaci ed energici, la salute dell’intera nazione, la salute della Patria italiana, sarà sulla punta delle vostre baionette. L’Austria sa che il paese freme, che può sorgere, e che al paese insorto voi siete pur sempre una delle più care speranze. Bisognava all’Austria rapirci quella speranza : bisognava cacciare lo sconforto dell’abbandono tra gli uomini devoti al paese; sottrarre il Piemonte all’Italia, mostrarvi alla Nazione e all’Europa in sembianza d’uomini che disperano della Patria e di sé; avvilirvi alleati della sua bandiera, poi se i capi e le antiche tendenze mutassero ad un tratto in un momento supremo della sua politica d’oggi, e ricongiungessero i suoi cogli eserciti dello Czar in un disegno comune di crociata dispotica, avervi lontani, avere le terre vostre, le case vostre indifese.

Questo è il senso del trattato che vi manda in Crimea !

Trentaquattro anni addietro, quando Carlo Alberto principe tradì, fuggendo nel campo nemico, le solenni promesse ai vostri che gridavano libertà e guerra all’Austria, il Generale Bubna lo additò schernendo al suo stato maggiore, colle parole : “Ecco il Re d’Italia !” Oggi l’Austria intende additarvi all’Europa, alleati alla sua bandiera e dirle: “Ecco i liberatori d’Italia !”

Soldati Piemontesi, soggiacerete voi tranquilli a quest’onta ?

Si, è dolore, è rossore il dirlo, soggiacerete. Un errore fatale, onorevole al vostro cuore, non al vostro intelletto, signoreggia le vostre menti. Voi avete giurato fede e obbedienza al vostro sovrano : voi vi credete vincolati a seguirne i cenni “quali essi siano”.

Quali essi siano !” Sperda Iddio l’indegna parola, poi dunque sarete schiavi non cittadini; macchine non uomini : carnefici assoldati, non guerrieri consacrati alla più bella missione che mai dar si possa, quella di dar sangue e vita per l’onore e la libertà del paese.

No, voi non giuraste ad un “uomo” : voi nol potreste senza rinnegare l’indipendenza dell’anima. Voi giuraste a Dio, padre del giusto e del vero : Voi giuraste alla Patria, dov’Egli vi chiamava ad eseguir la sua legge : dichiaraste che negli uffici distribuiti tra i figli del paese, voi sceglievate quello delle armi, e che proteggereste i fratelli e la terra materna contro qualunque osasse violarne l’indipendenza e l’onore e contro qualunque osasse calpestarne i diritti, la prosperità, le credenze. Giuraste nelle mani dell’individuo che in quel momento rappresentava, nell’ordinamento stabilito, la Patria; ma giuraste alla Patria, non a lui. Egli stesso giurava, salendo al potere, quel che voi alla vostra volta giuraste : s’ei rompe il suo giuramento, il vostro rimane, da compiersi contro di lui. L’uomo non è che un simbolo del paese : s’ei muore o tradisce, il paese non muore, e voi non potete tradirlo. La vostra, se intendete il giuramento in modo diverso da questo, non è religione; è idolatria. Siete allora non custodi armati d’una santa bandiera, e della terra che vi diè la vita, ma miseri abbietti sgherri del capriccio altrui, sgozzatori o sgozzati e schiavi ad ogni modo. Sta sulla vostra fronte il segno del servaggio del medio evo che civiltà e religione hanno cancellato dalla fronte altrui.

Ah se a taluno fra i vostri capi rifulgesse l’altezza dell’ufficio che spetta a un’esercito nazionale – s’ei sentisse come l’assisa che ei veste non è livrea di mercenario, ma segno d’onore e deposito sacro trasmesso dalla Patria a quei che devono custodirne la libera pace all’interno e l’inviolabilità alle frontiere – quest’uomo fattosi interprete di tutti voi direbbe al suo Re :

Sire ! Noi amiamo il pericolo e non temiamo la morte. Noi lo abbiamo provato, pochi anni addietro, a Volta, a Goito, a Custoza; lo avremmo provato sotto Milano e a Novara, se tristi uomini e tristi consigli non avessero traviato la mente di chi reggeva. Ma la nostra spada non è spada di “condottieri”. Noi abbiamo giurato di combattere le battaglie della Patria e le vostre, ovunque vi piaccia per la salute e l’onore della Patria guidarci. Manterremo quel giuramento. Ma, Sire, non si combatte per l’Italia in Crimea ! Là si combatte, a parole, per proteggere l’indipendenza dell’Impero Ottomano; nel fatto per interessi mercantili dell’Inghilterra, e per mire politiche dell’Imperatore di Francia.

Noi non daremo il nostro sangue per mantenere la dominazione di pochi credenti in Maometto sopra una maggioranza cristiana; nol daremo per salvare da un pericolo la supremazia marittima inglese, o per accrescere forza col prestigio della vittoria a chi si è fatto un trono dei cadaveri dei suoi fratelli, e rappresenta il “principio” russo nell’occidente d’Europa. I vostri ministri ci dicono che quella guerra è di civiltà. Sire ! essi mentono a noi e a voi. Gli alleati richiedono l’armi nostre, come tentano d’assoldare Svizzeri, Portoghesi, Spagnoli per allontanare la possibilità che la guerra per l’intervento delle nazioni oppresse diventi crociata di libertà contro il principio che fa potente lo Czar. Essi hanno mendicato la fratellanza dell’Austria e respinto quello della povera e santa Polonia. Sire ! noi combatteremo lietamente alteri al fianco delle legioni polacche, ma non possiamo stringer la mano al Croato : non possiamo affratellare la bandiera tricolore d’Italia, alla bandiera sulla quale sia rappreso il sangue dei difensori di Roma. Sire ! non esigete questo da noi : sciogliete, uccidete, non disonorate la milizia italiana.

Sire ! non è la guerra che dà gloria agli eserciti; è l’intento, è la santità della guerra. Là, a poche miglia da noi, varcata la nostra frontiera, sta la palma più bella che possa incoronare la fronte dei vostri militi : perché non ci mandate a raccoglierla ? A poche miglia da noi, Sire, dall’un lato e dall’altro dei nostri confini, gli uomini delle terre toscane, romagnole, lombarde gemono sotto il bastone tedesco. Quegli uomini son nostri fratelli : quelle terre son terre d’Italia, la nostra madre comune; gli oppressori sono gli stessi sui quali abbiamo voi e noi, vergogne e disfatte da vendicare.

Sire, Sire ! se volete che si stenda intorno alle armi vostre un’aureola d’onore, là sta il campo. Diteci : innanzi in nome della Nazione e colla Nazione : voi non ci troverete esitanti.

Sire ! gli occhi dei milioni posano da lungo su noi, come mallevadori di vittoria rapida nei giorni infallibili del riscatto. Noi non vogliamo sentirci rei d’aver cacciato il senso d’una delusione profonda nell’anima dei milioni; non vogliamo che essi possano gettarci in viso la maledizione di Caino; e chiamarci “disertori d’Italia, alleati dell’Austria”. Noi l’aspettiamo, frementi di desiderio; da voi o dal vostro popolo, qui sul terreno che dobbiamo riconquistare a libera vita, di fronte e non accanto agli eserciti austriaci”.

Io non so quali sarebbero le conseguenze immediate di linguaggio siffatto; ma so che l’uomo il quale osasse tenerlo, inizierebbe una nuova era di fiducia tra la nazione e l’esercito piemontese; e so che le madri italiane e i figli dei figli d’Italia additerebbero riverenti il suo nome a molte generazioni future.

Soldati del Piemonte, tenete a mente le mie parole. Voi, traviati da calunnie, e mal fondati sospetti sulle intenzioni del Partito Nazionale, oggi forse le fraintenderete: Ma, quando trafitti da lancia cosacca, molti fra voi cercheranno cogli occhi morenti il sole della vostra Italia, e penserete ai cari lontani, ricorderete la parola ch’io, fratel vostro, v’indirizzava prima della vostra partenza e direte : “Quell’uomo parlava il vero, meglio era morire, circondati di benedizioni e compianto su terra nostra, per la libertà dell’Italia, che non su queste lande combattendo chi non ci offese, inonorati e col sogghigno dell’Austria davanti”.

16 Febbraio

GIUSEPPE MAZZINI

(Il presente volantino è stato anche pubblicato nel giornale “Italia e Popolo”, numero del 25 Febbraio 1855; a seguito di un’altra lettera al Governo Piemontese, da parte del Partito Nazionale (Mazziniano) pubblicata nel numero del 15 Febbraio).

C I T T A D I N I E S O L D A T I

D’OGNI PROVINCIA ITALIANA

Il Trattato d’alleanza anglo-austro-francese, che gli “italianissimi” Ministri Cavour, Rattazzi, Lamarmora, Cibrario e Paleocapa, sottoscrissero il 10 Gennaio di quest’anno sotto la dettatura del Duca di Guiche, rappresentante il Gran Reo di Lesa Maestà, che da tre anni usurpò il potere sulla Francia, e le impose un’esosa tirannide, giustifica una solenne protesta per parte di ogni patriotta.

Nissun ministero, nissun governo ha diritto di disporre di cittadini, di soldati italiani per una guerra antinazionale, in cui, a parte l’Austria pel trattato del 2 Dicembre, e per le appendici di esso, che le assicurano il di lei dominio in Italia. Il fatto testé compiutosi dai suddetti ministri pattuisce l’invio di 15.000 soldati italiani in Crimea, per combattere una guerra avente di mira materiali interessi Inglesi, la continuazione di esosa tirannide Bonapartista, e per ultimo lo stabilimento di un equilibrio europeo peggiore di quello conchiuso in Vienna nel 1815, fra i despoti della Santa Alleanza.

ITALIANI ! Da questo giorno si stringa fra voi un patto solenne, e questo sia la dichiarazione di insorgere e combattere soltanto per la Libertà, l’Indipendenza e l’Unità Italiana, o per dare aiuto a qualunque popolo aspiri a rivendicare i propri diritti nazionali.

Ogni soldato italiano ricordi anzitutto l’augusto suo carattere di cittadino, e per nessun trattato, per nessun articolo di militare disciplina s’induca mai a versare il suo sangue per una terra non Italiana, né avente per scopo la libertà o il civile progresso di un qualunque popolo soggetto a straniero od indigeno servaggio.

Ogni cittadino, ogni soldato italiano che mancasse all’adempimento di questa protesta verrà considerato come spergiuro e traditore della Patria.