La Grande Guerra

La luce del ricordo dei caduti torinesi e dell’esito vittorioso della Prima Guerra Mondiale, a Torino si accende ancora oggi giorno. Non appena giunge l’oscurità, dall’alto del Colle della Maddalena il “Faro della Vittoria” lancia a 360 gradi, con i suoi lampi luminosi, un appello alla memoria. Lo si può vedere da ogni parte della città e, quasi, del Piemonte. Sotto il faro, lungo chilometri di viali, sentieri e piazzali, si snodano infisse ad un palo le targhe che recano il nome dei morti, tra i quali non manca, a fianco dei rappresentanti di tutto un popolo, senza distinzioni di ceto e di censo, quello di un giovane principe sabaudo, Umberto di Savoia Aosta caduto ventinovenne sul Monte Grappa, nel 1918.

Dagli oggetti raccolti ed esposti da Mauro Giacomino Piovano, emana grande forza evocativa di fatti, momenti di vita quotidiana, combattimenti, vicissitudini di quei soldati che si scontrarono sui campi di battaglia d’Europa. L’Italia, legata agli Imperi centrali nel quadro della Triplice Alleanza, non si lanciò nella guerra a cuore leggero. Prevalsero in un primo tempo le volontà neutraliste: la Triplice Alleanza aveva finalità difensive e il Regno italiano non aveva obbligo alcuno di intervenire a fianco di Austria e Germania, soprattutto di fronte alla prepotente unilateralità del loro agire per giungere alla guerra e alla mancanza di preventivi accordi.

Progressivamente appariva sempre più evidente il fatto che l’alleato si configurasse in realtà, in quei momenti vorticosi, come il nemico naturale, contro cui rivolgere le armi per ottenere quei lembi di territorio e compagini di uomini che volevano essere Italiani, senza che le guerre risorgimentali fossero riuscite a saldarli al paese.
Giovanni Giolitti era favorevole ad una neutralità di lungo periodo, ma Antonio Salandra, suo successore, quale primo ministro (approvato dallo stesso Giolitti), non condivise a lungo la sua visione e si convinse della necessità di intervenire a fianco della Triplice Intesa, contro quelli che si erano rivelati alleati inaffidabili. Il Ministro degli Esteri del Governo Salandra, Sidney Sonnino, raccolse in un Libro Verde, del quale si trovano edizioni, tutte del maggio 1915, oltre che in italiano, in spagnolo (stampata in Venezuela), inglese (Londra) e rumeno (Bucarest), una documentazione dettagliata per spiegare la necessità di entrare in guerra contro gli Imperi centrali.

Questo lavoro è da molti considerato un documento ineludibile, senza la compiuta analisi del quale, qualunque giudizio storico sul coinvolgimento italiano rischierebbe di risultare velleitario. Si vuole addirittura che la documentazione prodotta dal ministro sia riuscita «[…] a far scomparire come nube al vento le divergenze del mondo politico sull’opportunità della guerra che l’Italia si accinge a muovere all’Austria». Nel contempo, da un’edizione destinata ad essere divulgata massivamente alla cittadinanza, ci si attendeva un più esteso effetto unificante. Se il Libro Verde era riuscito a portare «[…] la concordia nelle sfere politiche», si sperava che la conoscenza dei fatti avrebbe rinsaldato pure in generale la «concordia degli Italiani, che ormai tranquilli e sicuri del loro buon diritto, marceranno tutti uniti all’ombra della nostra bandiera contro l’austriaco oppressore […]».
Tutti gli sfidanti erano convinti, o speravano fondatamente, di trovarsi di fronte ad un conflitto di breve durata.

Per la Francia era già risultata molto importante la neutralità italiana e l’ingresso nel conflitto dell’Italia diede un contributo fondamentale, dato che la pressione austro-ungarica contro di essa fu subito molto alleggerita. L’impegno bellico e il costo in vite umane, comunque, fu enorme per tutti, il coinvolgimento delle popolazioni capillare. Probabilmente non erano molte le case italiane in cui non si potesse trovare il diploma di conferimento della medaglia istituita a ricordo della partecipazione alla guerra (a prescindere da ben altre decorazioni al Valor Militare di cui tanti, tantissimi Italiani furono destinatari).
L’impegno del paese fu corale.
Re Vittorio Emanuele III, che poi della guerra si era assunto la responsabilità in prima persona, dato che certi quadri oleografici di coesione del Parlamento e della “politica” non erano poi così oggettivi, diede l’esempio, guadagnandosi l’appellativo di Re Soldato, costantemente lungo le linee a controllare, ispezionare, incoraggiare. La dinastia fece in blocco la propria parte: gli uomini sui campi di battaglia; le donne negli ospedali da campo, sui treni ospedale, negli ospedali urbani, umili e instancabili crocerossine.

Lo stesso Quirinale divenne un ospedale, per volontà della Regina Elena. Tutti insieme si impegnarono nel promuovere raccolte di fondi per sostenere i militari al fronte per curarli nel migliore dei modi, contribuendo in prima persona con cifre ingenti.
Le colossali somme raccolte dai prestiti nazionali ripetutamente emessi dimostrano una sensibilità profonda e collettiva che attraversava tutto il paese. Certo la sensazione di “Vittoria mutilata”, secondo una definizione di Gabriele d’Annunzio, rivelò agli Italiani che se i vecchi alleati non erano risultati affidabili, nemmeno quelli nuovi si erano distinti per la loro trasparenza e correttezza.

Dopo la fine della guerra, quando fu condotta da Aquileia a Roma la salma di un soldato ignoto, in rappresentanza di tutti i caduti senza nome (ottobre-novembre 1921), l’Italia intera si strinse attorno al treno che la trasportava. Milioni e milioni di Italiani le resero omaggio e vi furono osservatori e giornalisti stranieri che dissero persino, oggi apparirà semplice retorica, ma non lo era in quei giorni, di non avere visto in nessun altro paese un così diffuso senso di patria e di unità. Tratto, con alcune varianti, dall’introduzione storica del catalogo della mostra Cimeli dal fronte. Gli oggetti che parlano della Grande Guerra, a cura di Mauro Giacomino Piovano e Maura Vittonetto, pubblicato dal Consiglio Regionale del Piemonte, che ringraziamo (Collana “Mostre della Biblioteca della Regione Piemonte”, n. 34/2015).

Per la cortesia di Alberto Notarbartolo di Furnari, da Pont de vue 162/2015
Note di Gustavo Mola di Nomaglio