Associazione fra oriundi Savoiardi e Nizzardi Italiani

Nell’aprile del 1910, nacque in Torino il Comitato promotore che avrebbe dato origine, due mesi dopo, all'<>. Lo statuto approvato dai primi cento soci (che diedero la presidenza al senatore Carlo Alberto De Sonnaz) dichiarava in primo luogo lo scopo -escluse a priori le tentazioni irredentiste- di cementare i vincoli di fratellanza e mutua assistenza tra i Savoiardi e i Nizzardi che avevano optato per la nazionalità italiana.

L’associazione intendeva inoltre promuovere studi sul periodo sabaudo di Nizza e Savoia e mantenere vivo il ricordo dei legami intimi e forti che unirono, al di qua e al di là delle Alpi le genti degli Stati dei Savoia. Gli scopi associativi, perseguiti scrupolosamente, portarono alla produzione di studi storici che sono pietre miliari nella testimonianza dell’antica coesione delle diverse patrie costituenti lo Stato sabaudo. La sede di piazza Castello 25, a Torino, fu un punto di riferimento per coloro -alcune migliaia di persone- che avevano in Nizza o in Savoia le loro radici. L’organo ufficiale dell’associazione, la Rivista FERT uscì per alcuni decenni con regolarità, affiancando agli studi sul passato e alle informazioni bibliografiche interessanti per l’oggetto sociale le cronache riguardanti gli associati: nascite, morti, carriere e un’impressionante sequenza di notizie di decorazioni al valor militare, atti di coraggio, promozioni sul campo. Dopo la seconda guerra mondiale si registrò una sospensione delle attività, che riDateci una mano a raccogliere argenteria, chevalieres e bomboniere stemmate.

E’ importante! Chambery 2 presero debolmente negli anni ’50, estinguendosi poi lentamente. L’associazione aveva svolto bene il suo compito ma ormai non solo la Savoia, divenuta francese senza gravi contraccolpi, ma anche Nizza (dove almeno sino al 1876 una parte significativa della popolazione e dei ceti dominanti avevano accarezzato progetti di riunione all’Italia) si sentivano a tutti gli effetti parte integrante della Francia e a poco serviva ormai il tentativo di mantenere vivo il ricordo di comuni origini che tutti andavano dimenticando. Anche in Piemonte. Sembra infinitamente lontano quel 29 marzo del 1860 quando, alla notizia dell’imminente cessione di Nizza e Savoia, il consiglio comunale di Torino <> conferiva per acclamazione la cittadinanza torinese a tutti i militari e funzionari pubblici savoiardi e nicesi che avessero scelto di conservare la nazionalità sarda. Anche in terra subalpina i cambi generazionali scandirono il progressivo allontanamento tra le patrie sabaude e l’assopirsi della consapevolezza di aver insieme formato un popolo solo (tradizionalmente si usava riconoscere nei territori sabaudi cinque distinte “patrie”: Savoia, Vaud, Aosta, Piemonte e Nizza). Non vi è ormai chi consideri i popoli piemontesi e valdostani come un tutt’uno con quelli savoiardi e i nizzardi. Ottocento anni (cinquecento per i nizzardi che, con libero atto di dedizione, si legarono ai Savoia “solo” nel 1388) di reggimento politico, costumi, tradizioni, attività, storia, interessi materiali e morali comuni sembrano essere sfumati nel nulla, soffocati ed annientati dai successivi centoquaranta.

Pare ormai impossibile ritrovare il punto d’incontro dell’unitaria nazionalità d’origine. In Savoia e nel Nizzardo, d’altronde, le popolazioni sono state lungamente destinatarie della politica dei governi francesi che, con l’acquiescente complicità di quelli italiani, hanno inseguito una rapida integrazione, imponendo una frattura col passato ed inventando un solco storicoculturale quanto più possibile profondo tra le due regioni e il Piemonte. Anche i programmi scolastici diedero il loro contributo, ad esempio escludendo Cuneo completamente dai testi di storia qualunque notizia riguardante il passato delle regioni annesse ai territori francesi. La storia che gli studenti conobbero fu la storia di Francia, gli eroi quelli della Francia, i sovrani che scandivano lo scorrere dei secoli non più gli Amedei o gli Emanueli di Casa Savoia ma i re o imperatori o presidenti francesi le cui armate avevano spesso versato il sangue savoiardo e nicese.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: oggi si pensa alle popolazioni degli antichi Stati sabaudi di terra ferma come estranee tra loro, separate non solo dalle montagne ma anche dalla lingua (il che ancora non vale almeno per la Valle d’Aosta dove l’uso del francese è tuttora diffusissimo). Non bisogna però tornare indietro nel tempo di molto per costatare che la lingua francese in passato non costituiva affatto un elemento di divisione, poiché lo Stato sabaudo era ad ogni effetto bilingue (al punto che anche le leggi, editti, regolamenti erano stilati sia in francese che in italiano), la lingua francese era diffusa in Piemonte anche nell’uso corrente: lo era certamente a Torino e nell’alta società in generale, ma anche altrove e in tutti gli strati sociali, in particolare nelle regioni alpine.

Per quanto riguarda le Alpi, poi, non pochi studiosi hanno evidenziato come queste non costituissero un elemento di divisione ma, al contrario di unione, poiché una stessa latitudine per i due versanti alpini, determinava un’identità di clima, di paesaggio, di prodotti del suolo, di abitudini alimentari, abitazioni, strumenti di lavoro e, in complesso, di vita, che conduceva ad un unico <>. Un barlume d’identità “sabauda”, comune a tutte le popolazioni facenti parte degli Stati legati alla dinastia dei Savoia, certamente esiste ancora ed è rafforzato dal comune denominatore costituito dall’ambiente alpino. Esso sembra essere più vivo in Savoia. Qui il senso di appartenenza ad una patria “altra” rispetto alla Francia sembra coesistere con un’innega- 3 bile “francesità”: dovunque campeggia lo scudo di Savoia, che ricorda da un lato le antiche tradizioni del paese e che si trasforma nel suo attuale manifestarsi, con moderno ricorso al linguaggio araldico, nell’onnipresente garante della qualità e dell’origine delle produzioni regionali.
In Piemonte, o meglio in alcune regioni del Piemonte, il senso d’identità sembra essersi più affievolito. Due probabilmente ne sono le cause principali: la volontà maturata tra molti piemontesi nel risorgimento di “spiemontizzarsi” per farsi italiani e la profonda trasformazione di Torino, città che per quattro secoli fu sede di ogni decisione o indirizzo e addirittura simbolo e sintesi delle terre piemontesi.

La Torino di oggi non può -se non debolmente- essere considerata come il lineare sviluppo della realtà antica, dei suoi valori e caratteri. La città è stata capace, indubbiamente, d’integrare – soprattutto nel secondo dopoguerra- un inusitato numero di emigranti, di gran lunga più elevato dei suoi stessi abitanti, il che non poteva accadere senza impatto sulla sua identità. Con tutto ciò l’immagine del Piemonte si presta ancora ad essere riletta essenzialmente attraverso il filtro del suo passato sabaudo e delle multiformi eredità di cultura da questo lasciate, Quali le residenze sovrane, i musei voluti dalla dinastia, i mille e mille castelli, palazzi, collezioni dei suoi vassalli, destinati probabilmente a divenire, sempre più, polo d’attrazione di un turismo colto e raffinato. Clemente Solaro della Margarita condannò la cessione di Nizza e Savoia alla Francia in un opuscolo che si concludeva con la frase <>. Oggi la speranza del Solaro diviene in qualche modo realtà. Mentre gli europei vanno in cerca di una loro unità, i territori che un tempo componevano lo Stato sabaudo, non più divisi da barriere politiche, potranno, se si vorrà suscitarne la volontà (fermenti in tal senso già si riscontrano su entrambi i versanti dei monti) restituire all’Europa una regione storicoculturale del <> (secondo una definizione braudeliana) ricca di connotati originali e protagonista non trascurabile delle sue millenarie vicende.

di Gustavo Mola di Nomaglio