Anna Carlotta Canalis di Cumiana: cortigiana o donna di potere?
Ho deciso di occuparmi di Anna Carlotta Canalis di Cumiana, contessa di San Sebastiano, marchesa di Spigno e sposa morganatica di Vittorio Amedeo II, per far luce su una vicenda che mi incuriosiva dai tempi dell’infanzia.
Anna Carlotta è infatti la mia bisavola in linea diretta. Suo figlio, Pietro Novarina sposo di Adeleaide Cisa di Grésy ebbe, tra gli altri, Luigi marito di Matilde Scarampi del Camino.
Questi ebbe solo figlie femmine; la primogenita Felicita nata nel 1783 sposa il 26 marzo 1803 il conte Gerolamo Miglioretti di Bourcet, che il 4 marzo 1845 fu investito del feudo di San Sebastiano con dignità comitale.
Gerolamo fu il bisnonno di mia nonna Anna Miglioretti di San Sabastiano, che a sua volta, ultima del casato, sposa nel 1915 il Conte Guido Riccardi Candiani, padre di mio padre.
Anna Carlotta Teresa mi lasciò in eredità il nome di battesimo, anche se mia madre si oppose decisamente agli ultimi due e mi rimase solo “Anna”.
In casa la figura della Marchesa fu sempre venerata, ed io ebbi a sei anni il raro onore di prendere possesso della sua camera da letto nel castello di San Sebastiano.
Camera a mio vedere piuttosto austera, nel massiccio stile Luigi XIV non ancora ingentilito dalle curve e dall’ariosità del Luigi XV: l’enorme letto di ferro nero sormontato da un baldacchino di broccato rosso cupo foderato di seta greggia (letto che io ho certamente dissacrato usandolo come piazza per la battaglia dei cuscini) dominava sul rimanente mobilio; due inginocchiatoi funerei, un delizioso piccolo secrétaire, rubato con le poltroncine e le sedie compagne del letto, e un pesante cassettone di legni policromi e avorio, che è tuttora in mio possesso.
Conservo ancora anche un bellissimo vestito di seta nera a pois rossi, che ho poi scoperto non appartenente ad Anna Carlotta perché di epoca più tarda.
Da piccola, giocando in quella camera così poco infantile, tappezzata di papier-peint Valorizzare, difendere e conservare quanto le passate generazioni ci hanno tramandato è un problema non da poco, sia che si tratti di aspetti economici, sia che si tratti di beni mobili od immobili. Per affrontare questi argomenti con degli esperti VIVANT organizza due incontri specifici. con damine e gentiluomini in posa, dove il rosso era stinto in grigio, immaginavo La Marchesa come la vedevo dipinta nel ritratto appeso in salotto: bella, vestita di giallo oro, capelli quasi bruni, sguardo vivo appena malizioso; il suo personaggio, mitizzato dai racconti della Nonna, mi appariva fiabesco: eroina, calunniata dalla maldicenza dei contemporanei, sulla quale gravava qualche torbido segreto. Le mie domande ottenevano risposte evasive piuttosto imbarazzate.
Adulta, venni edotta sull’argomento e l’aura di mistero si dissolse e si banalizzò in parte, ma rimase latente la voglia di approfondire la vicenda. Anna Carlotta Teresa nacque il 23 aprile 1680, a Torino, nel palazzo sito in via Bogino angolo via Principe Amedeo, da Francesco Maurizio Canalis di Cumiana e da Monica Francesca San Martino d’Agliè di San Germano. I padrini furono Carlo Ludovico d’Agliè e Anna Cumiana (presumo fosse la nonna paterna).
Fu educata dalle monache della Visitazione di Torino, come era d’uso, poi nel tredicesimo anno di età fece ritorno in famiglia, dividendo il suo tempo fra Torino e Cumiana; forse fu in occasione della battaglia di Marsaglia che Vittorio Amedeo II visitando di quando in quando il palazzo dei Cumiana la conobbe giovinetta.
Nel 1695 Giovanna Battista di Savoia Nemours la nominò damigella d’onore a Corte e da questo momento in poi gli storici non sono più concordi sulla sua biografia, salvo che sull’indubbia avvenenza. Gaudenzio Claretta, Domenico Carutti, P. Balan e altri sostengono che Anna Carlotta, sedicenne, bruna, ben fatta, vivace e leggiadra (oggi diremmo civetta) fece invaghire di sé, con sottili arti femminili, il Duca (compito certo non troppo arduo conoscendone la fama di donnaiolo); Resa madre dall’augusto amante fu data in sposa, in fretta e furia, a Francesco Ignazio Novarina conte di San Sebastiano.
I documenti, da me reperiti, smentiscono decisamente questa ipotesi: Anna Carlotta si maritò effettivamente col Novarina, ma sette anni più tardi, precisamente il 21 aprile 1703; e per quel che ne posso sapere io, nemmeno i pargoli di sangue Reale sono frutto di gestazioni così lunghe. Probabilmente vero, invece, che Vittorio Amedeo ne fosse innamorato e avesse cercato di sedurla, e Anna, giovane, inesperta e forse lusingata gli concedesse le sue grazie, non immaginando in che vespaio si sarebbe cacciata. Documenti che avvalorino questa ipotesi non ne ho trovati, ma la ritengo verosimile.
Altra fandonia assurda è l’idea che Madama Reale l’avesse maritata in fretta per il timore che Vittorio si legasse legittimamente a lei, considerando che Sua Maestà prese in moglie Anna d’Orléans il 10 aprile 1684, quando Anna aveva appena quattro anni: si sa che il libertinaggio è prerogativa dei Re, ma l’accusa di pedofilia mi pare tuttavia eccessiva! Anna Carlotta rimase damigella di Madama Reale fino al 21 aprile 1703, data delle legittime nozze con Francesco Ignazio Novarina, Primo Scudiero di Madama Reale. Dai Registri matrimoniali della Cattedrale di Torino risulta l’atto con il nome dei testimoni: Giovanni Battista Tana Marchese di Entraque, Marchese Tommaso Pallavicino (suocero di Lodovico Canalis fratello di Anna) e Antonio Maurizio Turinetti Conte di Pertengo. Risulta anche il carattere d’urgenza dello sposalizio (dispensa dalle pubblicazioni prematrimoniali dell’Arcivescovo Vibò).
Non risulta invece, come piacerebbe a Michele Grosso, a Costa di Beauregard, a Carlo Brayda e, fra gli altri, persino ad Antonio Manno, che il Novarina riconoscesse come suo il piccolo Paolo Federico (futuro e misconosciuto eroe dell’Assietta), che infatti nacque solo nel 1710 e non fu il primogenito.
A questo riguardo si narra in famiglia che il mio Bisnonno Alberto Miglioretti di San Sebastiano, a un signore che gli chiedeva se si sentisse fiero di essere discendente da un grande monarca, rispose: “In famiglia preferiamo essere conti legittimi che Reali bastardi”, e lo sfidò a duello.
Liquidata con ciò la possibilità di avere sangue Reale nelle vene, resta curioso il fatto che una damigella bella, di famiglia ricca e illustre, fosse andata sposa a un parvenu (il titolo comitale di San Sebastiano risale al 1665), brutto e di vent’anni più vecchio di lei. Altra stranezza è che, pur sposa nel 1703, Anna ebbe la prima figlia Paola nel 1708, poi Paolo Federico (l’eroe della battaglia dell’Assietta) il 25 gennaio 1710, Carlo nel 1711, Giacinta nel 1712, Clara nel 1714, Pietro nel 1715, Luigi nel 1718 e Biagio nel 1722. Nei ventun anni di matrimonio con il conte Novarina non risultano fatti salienti sul suo conto, anzi la si descrive madre e sposa felice, accorta padrona di casa, e di costumi irreprensibili.
Francesco Ignazio muore il 25 settembre 1724 lasciando la vedova e i sette figli ancora in tenera età. Nel 1724, e non nel 1722, come sostengono Domenico Carutti e Antonio Manno, fu dame d’antour della Nuora di Vittorio Amedeo, Polissena d’Assia Rheinfels. Forse si riaccese l’antica fiamma o forse non si era mai spenta, considerato che Anna C., da maritata, spesso abitava il suo palazzo di via Santa Chiara a Torino partecipando volentieri alla vita di Corte come si addiceva a una dama del suo rango. Era, oltre che elegante naturalmente, ancora bellissima, come fa fede il ritratto della Clementina che la ritrae già quarantacinquenne.
Il Barone Carutti scrive: “…era presso al decimo lustro, bruna, ben fatta, occhio nero e vivace, bellezza ribelle agli anni, pericolosa all’età prima e alla matura”. Anche Edmondo De Amicis rimase colpito ammirandone un ritratto conservato al monastero della Visitazione di Pinerolo: “bella…bella cioè non so. Seducente senza dubbio. Una testina, un visetto pieno di grazia, di grilli, di vezzi, di sorrisi sfuggevoli, di sottintesi arguti…”.
Per Carlo Denina era donna bella, spiritosa e amabile; giudizio avvalorato da Cesare Balbo. Il Conte Blondel si dilunga sul suo conto e giudica il matrimonio col Sovrano “un comique mariage”. Forse gli era giunta notizia di una fatto curioso: a Parigi il 29 settembre 1839, avvenne la prima rappresentazione de “La Reine d’un jour”, òpera comique musicata da Charles Adam su libretto di Eugène Scrube, la cui protagonista era la nostra Marchesa. Purtroppo, almeno a Torino, il libretto è introvabile. Il Re Vittorio Amedeo, rimasto vedovo nel 1728, la sposò in segreto (con dispensa papale di Benedetto XIII perché un Cavaliere di San Maurizio e Lazzaro potesse sposare una vedova) il 12 agosto 1730, nella cappella del Palazzo Reale di Torino; i testimoni furono Lanfranchi e il cameriere Barbier. Abdicò il 3 settembre 1730 in favore di Carlo Emanuele nel castello di Rivoli.
Quindi si stabilì con Anna Carlotta a Chambéry e il 18 gennaio 1731 la investì del titolo e del territorio del Marchesato di Spigno. Passato il primo anno, durante il quale la vita coniugale felice pose in secondo piano la politica, Vittorio si pentì dell’abdicazione e il 25 agosto 1731 partì alla riconquista del Regno.
Dopo svariate vicende di cui tratterò in seguito, la sera del 28 settembre 1731 Carlo Emanuele, mal consigliato dal Marchese d’Ormea, firmò l’ordine di arresto per suo padre, tratto dal letto con la forza da dodici ufficiali comandati dal Conte di Perosa, che in più trascinarono via la Marchesa seminuda sopraggiunta in aiuto al Re. Domenico Carutti ci lascia una descrizione suggestiva della penosa vicenda.
Vittorio Amedeo fu condotto nel Castello di Rivoli dove rimase prigioniero per tredici mesi, spirò poi nel Castello di Moncalieri il 31 ottobre 1732. La Marchesa fu tradotta nella prigione del castello di Ceva in compagnia di donne di malavita e solo l’11 dicembre 1731, dopo le accorate suppliche del Re, le fu permesso di raggiungerlo a Rivoli.
Alla morte di Vittorio Amedeo le fu imposto di ritirarsi in convento ed ella scelse il monastero della Visitazione di Pinerolo, ove condusse una vita ritiratissima per trentasei anni, senza tuttavia vestire l’abito di monaca. Una sorella e una nipote monache nel medesimo monastero le furono compagne negli ultimi anni. Morì a 89 anni l’11 aprile 1769 e, per suo espresso volere, fu sepolta nella cripta del monastero senza alcuna lapide.
Il più acerrimo nemico della Marchesa fu di sicuro il Marchese Ferrero d’Ormea che la accusò brutalmente di spingere l’ex Sovrano alla riconquista del Regno per soddisfare le sue ambizioni di regina. Carlo Botta si unisce a molti altri che la accusarono di influenzare negativamente le decisioni del marito. Che i devoti a Carlo Emanuele si accanissero contro la Marchesa mi pare comprensibile, tenendo conto di quanto ella fosse invisa al Sovrano, sempre geloso di suo Padre.
Diverso l’intento di monsignor Carlo Arborio di Gattinara, arcivescovo di Torino che durante il Consiglio di Stato convocato a Torino il 28 settembre 1731 si espresse in tono acceso contro: “la cattiva furia che stava a fianco del Re Vittorio, istigandolo da donna ambiziosa che purché una corona sul suo capo investa, nulla del decoro, nulla della quiete pubblica, nulla dei destini del Regno, si cura” e conclude: “conservi Carlo il seggio che in coscienza il può e il debbe”.
Carlo Emanuele aveva convocato il Consiglio di Stato il 28 settembre 1831, onde valutare la possibilità di una Revoca dell’abdicazione paterna; furono solo l’abilità adulatoria del d’Ormea e dei Consiglieri e l’invettiva dell’Arcivescovo contro Anna Carlotta che lo indussero ad ordinare infine l’arresto del Re Vittorio. I motivi del Marchese e dei Consiglieri li abbiamo già esaminati; quelli dell’Arcivescovo sono da ricercare nella vicenda del Concordato del 1727 stipulato fra Vittorio Amedeo e Benedetto XIII. Il nuovo papa Clemente XII, Reputava il concordato ignominioso e ingiusto nei confronti della Santa Sede, ma, da quel fine politico che era, capì subito che Vittorio Amedeo sarebbe stato irremovibile.
Secondo l’abate Magnani, che svelò i documenti relativi dell’Archivio segreto Vaticano, ci fu una precisa volontà della Santa Sede di appoggiare Carlo Emanuele, confidando erroneamente nella sua immaturità e arrendevolezza.
Si spiega così la ferocia dell’invettiva dell’Arcivescovo Gattinara dei confronti della Spigno. Concludo dicendo che mi sembra di aver dimostrato che se intrighi ci furono non sono certo da imputarsi ad Anna Carlotta, che non ne ebbe vantaggi, ma solo guai. Forse fu cortigiana e mi piace pensarla lietamente consenziente, piuttosto che piegata al volere Sovrano.