La nobilità della Russia Imperiale

Vi fu un tempo della mia vita giovanile durante il quale io ebbi occasione di frequentare personaggi indimenticabili della vecchia Russia, anzi della “Santa Russia” come veniva da essi chiamata, e tali incontri costituiscono per me tuttora un ricordo struggente di quegli ultimi testimoni di un mondo scomparso, simbolicamente, nella profonda miniera di Ekaterinburg, dove furono gettati i corpi straziati dell’ultimo Zar e della sua famiglia, assassinati, come innumerevoli altri, dalla furia sanguinaria bolscevica.

Agli inizi degli anni ’50 del secolo appena terminato vivevo a Roma e fu il mondo dei cavalli ad avermi dato l’opportunità di conoscere alcuni cavalieri di eccezione, non tanto per le loro qualità nell’«arte dell’equitare», ormai forzatamente appannate per ragioni di età, quanto per il loro prestigioso passato accompagnato da un presente poverissimo, per gli stessi, di beni materiali, ma ricchissimo invece di loro dignità personale.

Rivedo ancor oggi, idealmente, avanzarsi al trotto allungato, a Villa Borghese, un elegante, inconfondibile, cavaliere sulla sessantina, dall’assetto un po’ antiquato, ma perfetto in sella su un bel purosangue sauro; rivedo altresì nella memoria il suo “lavoro” in campo ostacoli, con l’abilità equestre che solo una grande scuola poteva aver affinato ed infine rivedo pure lo stesso cavaliere arrestarsi inappuntabilmente, come da manuale, “sugli appiombi” della propria cavalcatura, “fare piede a terra” e rivolgersi con prorompente simpatia a noi giovani spettatori per un robusto “drink” che pareva far abbondantemente parte della sua dieta… Era il conte Alessio Orlov, antico capitano degli Ussari della Guardia di Sua Maestà l’Imperatore di Russia, decorato dell’Ordine Militare di San Giorgio con sciabola d’onore, per valore dimostrato sul campo di battaglia, nonché rappresentante di una stirpe la cui storia si confonde con quella della Russia imperiale.

Diventammo presto amici e innumerevoli furono gli episodi della sua vita passata che Alessio Orlov (passammo presto al “tu” nonostante la mia assai più giovane età) mi raccontò con divertente «verve», episodi tutti più o meno centrati nell’elegante ambiente militare della Guardia Imperiale russa, a San Pietroburgo dove la Guardia stessa fu sempre, quasi esclusivamente, destinata.

Alessio era, come già detto, di grande famiglia russa, del ramo comitale (l’altro ramo, primogenito, era decorato del titolo principesco) e fu lui ad avermi introdotto anche nel Circolo russo-imperiale di Roma in Via delle Colonnette dove l’ambiente, pur decoroso, non poteva però nascondere la povertà materiale dei soci e di tutto l’insieme. Tuttavia l’atmosfera generale era comunque di grande dignità, addirittura con l’osservanza di precedenze protocollari rigorose, secondo le antiche regole imperiali, mentre i pochi dipinti nonché oggetti vari facevano rivivere appieno le tradizioni di un mondo perduto che quasi risuscitò, prodigiosamente, una certa sera quando la stessa Granduchessa Xenia Alexandrovna, sorella superstite dell’ultimo Zar, fu accolta entusiasticamente dal Circolo in occasione di una visita a Roma dell’illustre ospite, solitamente residente in Francia.

Conobbi attraverso i racconti di Alessio la “scapigliatura” dei giovani ufficiali della Guardia (tutti rigorosamente di antica nobiltà) negli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale, le sanguinose battaglie di quest’ultima con le enormi perdite umane, l’altrettanto sanguinosa guerra civile della “Guardia Bianca” contro i bolscevichi, la ritirata finale in Crimea nel 1920 e l’esilio di tutto un esercito rimasto a lungo inquadrato anche all’estero, sempre fedele agli ideali dell’Impero.

Lo stesso Alessio viveva in grandi ristrettezze guadagnandosi da vivere modestamente come consulente dei nostri “Servizi”, ospitato da casa Colonna in una mansarda del principesco palazzo omonimo mentre più di un proprietario gli affidava il proprio cavallo da “lavorare”; in tutto il suo modo di essere egli dimostrava sempre una grande signorilità con cultura linguistica e generale veramente internazionale mentre particolarmente suggestivi erano i pochi ricordi materiali rimastigli come alcune lettere dello Zar Nicola II e della Zarina Alessandra, insieme a poche fotografie della brillante vita di un tempo.

Altro personaggio russo di quell’ambiente equestre romano era l’anziano barone baltico Paolo von Zidroevsky che ricordo come partisse quasi ogni giorno, di primissimo mattino, dalle scuderie della Società Ippica della Farnesina (vicino all’attuale Ministero degli Esteri), con una «charrette» tirata dal suo robusto «poney» “Dudù”, dietro la quale trottava “sotto mano” l’altro suo destriero, “Sciampagne”, una vecchia cavallona di razza prussiana Trakennen che costituivano nell’insieme la modesta struttura del barone, per l’istruzione a cavallo di bambini ed adulti a Villa Borghese.

Von Zidroevsky era anche esso un ex ufficiale dei Lancieri della Guardia di Sua Maestà Imperiale (ne trovai traccia negli antichi Annuari durante la mia permanenza in Russia) e, sia pur infagottato in un vecchio pastrano militare grigioverde con un semplice berretto da palafreniere in testa, dette sempre prova della sua naturale signorilità, ma la elevatezza del suo animo si espresse specialmente quando decise di mantenere comunque in scuderia come «pensionata» la vecchia cavalla “Sciampagne”, ormai azzoppatasi per sempre a causa dell’età, con gravissimo aggravio per le proprie povere finanze: così erano fatti quei superstiti di un ceto che illustrò per tanto tempo la Russia Imperiale, dai quali ho voluto iniziare sentimentalmente prima di dilungarmi sotto il profilo tecnico sulla storia dello stesso ceto, a cominciare da un grande della letteratura europea.

Lo scrittore russo Fedor Mikhailovich Dostojevsky, antico ufficiale del Genio dell’esercito imperiale, figlio di un cavaliere degli Ordini di San Vladimiro e di Sant’Anna trucidato dai propri contadini in una delle frequenti “jacqueries” del tempo, era nobile di antica razza quale discendente da un bojaro del XVI secolo proprietario del villaggio di Dostojevo da cui venne appunto il cognome della famiglia.

Particolarmente sofferto dovette quindi essere stato per lui questo suo brano terribilmente profetico, scritto già nel 1877, sulla nobiltà russa: “Quei sibariti, quei luculli che divorano i bei resti delle loro fortune nei locali alla moda parigini non prevedono certo che i loro figli, i piccoli angioletti di oggi con i loro vestitini all’inglese, si vedranno ridotti a mendicare attraverso l’Europa oppure a lavorare come semplici operai in Francia od in Germania …”.

Ma se la profezia del nobile Dostojevky ha avuto purtroppo una tragica conferma per la generalità dell’antica classe dirigente dell’Impero Russo, quest’ultima non poteva invece assolutamente identificarsi, nel suo complesso, con quella frangia minoritaria anche se appariscente che si dedicava, specie negli ultimi tempi dello Stato zarista, a quella vita dissipata tanto fustigata dal grande autore de “I fratelli Karamazov” e di molti altri capolavori.

In realtà quella classe, in quanto tale, era tutt’altro che oziosa, salvo sempre evidentemente le non infrequenti eccezioni individuali, tanto che la propria dedizione al servizio dello zar e quindi dello Stato costituiva per essa un vero e proprio obbligo pubblico sancito inizialmente per legge dallo stesso Pietro il Grande con il suo famoso Ukaze del 24 gennaio 1722, istitutivo di quello che venne chiamato il sistema della “Tavola dei Ranghi”.

Trattavasi cioè di un quadro generale delle carriere statali con l’elencazione dei vari gradi nelle singole amministrazioni (cioè le Forze Armate, tra cui “in primis” la Guardia Imperiale, il Servizio Civile, il Servizio di Corte ed in seguito anche l’Università degli Studi ed il Clero) comparando i gradi stessi tra loro ai fini della collocazione nella gerarchia dello Stato mediante la divisione in 14 livelli di importanza.

Pur non facendosi alcun riguardo in tale Tavola alla nascita degli individui appartenenti alle varie carriere in quanto solo il grado gerarchico faceva testo a tutti gli effetti, incluse le precedenze, l’Ukaze di Pietro il Grande stabiliva anche contestualmente quelli che resteranno fino all’ultimo i principii fondamentali per la nobiltà russa e cioè: ogni individuo nobile era tenuto, salvo comprovate eccezioni ammesse, a prestare il proprio servizio in una delle carriere statali previste dalla “Tavola dei Ranghi” ma preferibilmente nelle Forze Armate che furono sempre privilegiate, specie la Guardia (in questa ultima, ad esempio, i gradi degli ufficiali equivalevano al grado superiore degli ufficiali dei Corpi di Linea); ogni famiglia nobile rimasta assente dal servizio allo Stato per due generazioni consecutive perdeva la propria nobiltà venendo iscritta addirittura nelle liste dei “contadini di condizione libera esenti da imposta” (ricordiamoci che a quell’epoca esisteva in Russia la servitù della gleba durata fino al 1861) …; l’accesso al servizio statale era paritetico per nobili e non nobili, iniziante per tutti indistintamente dall’ultimo grado della “Tavola dei Ranghi” senza privilegi di sorta per alcuno.

Solo i nobili oltre al diritto, avevano però anche l’obbligo di “servire” ed anzi, nella fase iniziale del nuovo sistema, i nobili aspiranti alla carriera militare dovevano addirittura iniziare da soldati semplici della Guardia Imperiale; per contro veniva attribuita la nobiltà ereditaria al raggiungimento di determinati gradi nelle varie carriere, a seconda di come queste venivano considerate dal Sovrano. Così ad esempio per il Servizio militare si accedeva già subito alla nobiltà ereditaria con il grado di Sottotenente (14° livello, ultimo cioè nella “Tavola dei Ranghi”) mentre per il Servizio Civile occorreva attendere l’8° livello ed accontentarsi nel frattempo della nobiltà personale … Lo zar si riservava sempre naturalmente il potere di creare nuovi nobili e di elargire titoli nobiliari autonomamente da questo nuovo sistema: Pietro il Grande, può considerarsi il fondatore della nobiltà russa moderna e la storia precedente della più antica nobiltà può infatti essere tralasciata in questa sede perché irrilevante con il nuovo assetto durato fino alla Rivoluzione del 1917.

Dall’epoca di Pietro la nobiltà si apre veramente a tutti, con la nobilitazione tramite la “Tavola dei Ranghi”, tanto che dal primo censimento del 1737 in cui risultavano circa 250.000 individui nobili inclusi le donne, si passa a quello del 1812 con 800.000 individui mentre nel 1912, poco prima del crollo, i nobili erano addirittura arrivati alla cifra di 1.900.000 per entrambi i sessi, equivalenti a circa 100.000 famiglie nobili: la percentuale sulla popolazione totale russa (circa 165 milioni nel 1912) rimase tuttavia pressoché stabile, intorno all’1% dal principio del XIX secolo alla fine dell’Impero.

Si può quindi sottoscrivere la definizione data da un valido studioso russo nel 1875, proprio nel periodo quindi del già citato scritto profetico di Dostojevsky: “La nobiltà russa ha caratteristiche speciali, uniche per certi aspetti e non presenti altrove in Europa. Due cose la distinguono specialmente: anzitutto il fatto che essa non è mai stato altro che uno strumento del potere Sovrano, inteso esclusivamente come una unione di uomini dediti al pubblico servizio e poi che l’accesso alla nobiltà stessa è stato sempre aperto con un rinnovo incessante dal basso …”.

Anche se la nobiltà creatasi attraverso la “Tavola dei Ranghi” ebbe comprensibilmente il maggior impatto numerico è chiaro comunque che accanto ad essa continuava ad esistere l’antica nobiltà preesistente alle riforme di Pietro, alla quale veniva ad aggiungersi la nuova nobiltà creata autonomamente dagli zar al di fuori della “Tavola dei Ranghi”: tutti però dovevano sottostare, ed è bene sottolinearlo ancora, all’obbligo del servizio (da ultimo si trattò ormai solo di un dovere morale-sociale e non più strettamente giuridico, ma fu sempre sentitissimo).

Tale situazione generale era rispecchiata anche dal successivo ordinamento integrativo sulla nobiltà istituito da Caterina II il 21 aprile 1785, pure esso durato fino al 1917, secondo cui ogni Governatorato dell’Impero doveva tenere aggiornati i registri nobiliari, per famiglie ed individui, della propria regione, divisi in sei parti: nella I venivano scritte le famiglie ed i propri componenti nobilitate con Lettere Patenti del Sovrano al di fuori della “Tavola dei Ranghi”, nella II parte venivano iscritte le famiglie nobilitate grazie al Servizio Militare della “Tavola” stessa, nella III parte quelle nobilitate per Servizio Civile o per essere state insignite delle classi nobilitanti dei vari Ordini cavallereschi imperiali (quelli cioè di Sant’Andrea, di Santa Caterina per sole dame, di Sant’Alessandro Nevsky, che fu addirittura riesumato dallo Stato Sovietico, dell’Aquila Bianca, di Sant’Anna, di San Stanislao, di San Vladimiro e soprattutto quello di San Giorgio, solo per militari, ineguagliato quanto a prestigio di valore e di gloria).

Continuando diremo che nella IV parte di ciascun Registro nobiliare dei Governatori venivano iscritte le famiglie di origine straniera alla Russia propriamente detta e quindi anche quelle polacche, baltiche, georgiane e mongole. Nella V parte venivano iscritte le famiglie fregiate di titolo nobiliare indipendentemente dall’origine della loro nobiltà mentre infine nella VI parte venivano iscritte le famiglie di antica nobiltà, anteriore cioè al 1685.

Fatalmente sotto il profilo sociale erano quasi sempre le famiglie fregiate di titolo ad avere il maggior risalto anche perché quei titoli erano oggettivamente o di antica origine oppure, per i più recenti, erano la indubbia conseguenza del favore sovrano per meriti speciali acquisiti nei confronti dello zar, il tutto accompagnato in genere da ingenti patrimoni raramente riscontrabili tra le famiglie della massa nobiliare non titolata.

Fino a Pietro il Grande l’unico titolo esistente in Russia era quello di principe e le famiglie che ne erano insignite discendevano quasi tutte da Rurik, il sovrano fondatore della prima dinastia russa intorno all’800 dopo Cristo (citiamo a caso, tra la quarantina di casate ancora esistenti gli Obolensky, i Bariatinsky, i Dolgorouky) oppure discendevano da Gedimin primo re di Lituania morto nel 1341 (da cui ad esempio i Golitzine, i Troubetzkoy, eccetera) oltre ai principi georgiani come i Tchavchavadze, gli Eristov, i Bagration, assimilati solo più tardi all’impero: tutte famiglie queste che godevano del titolo principesco “ab immemorabili” essendo di ascendenza quasi sovrana.

Fu proprio Pietro il Grande, occidentalizzante anche in questo, ad iniziare la prassi dei conferimenti di nuovi titoli nobiliari, con relativa creazione «ex novo» di stemmi prima inesistenti in Russia, aggiungendo al titolo di principe anche i titoli di conte e di barone (l’unico titolo di duca ed i soli quattro titoli di marchese della nobiltà russa erano di origine straniera) con trasmissibilità a tutti i discendenti, maschi e femmine.

Anche in questo contesto appare chiara la imparzialità del favore Sovrano volta solo a riconoscere gli effettivi servizi eccezionali ottenuti: così accanto al bojaro di antica schiatta Boris Petrovich Cheremetev, maresciallo di Russia, eroe della battaglia di Poltava che ricevette nel 1706 il primo titolo di conte dell’Impero Russo, vediamo il nuovo venuto Alessandro Danilovitch Menchicov, ex pasticciere divenuto valletto di camera di Pietro il Grande e quindi suo grande favorito, per le indubbie qualità che in mancanza di raffinatezza aristocratica lo portarono tuttavia alla carica di feldmaresciallo (fu in effetti un ottimo capo militare), creato principe.

Altra grande famiglia “nuova” fu quella, già citata in precedenza, dei principi e conti Orlov fondata da Giovanni Orlov, soldato del corpo scelto degli streliti, condannato a morte per ribellione insieme a migliaia di suoi compagni, graziato e poi prediletto da Pietro il Grande che restò colpito dal suo intrepido coraggio, assistendo alle esecuzioni in massa come era suo barbaro costume. Infatti il giovane soldato chiamato a sua volta alla mannaia e trovato il passo impedito dalla testa mozzata di un compagno che lo aveva preceduto nel supplizio, le diede spavaldamente un calcio apostrofandola forte: “fatti in là, devo farmi strada anch’io”! Ben a ragione ebbe da allora il soprannome di “Orel”, cioè l’Aquila, da cui il cognome Orlov.

Alla fine dell’Impero, nel 1917, le famiglie fregiate di titolo erano circa 800, delle quali 250 principesche (ormai solo 1/6 tra loro discendevano da Rurik o da Gedemin mentre tutte le altre erano di origine polacca, georgiana, mongola oppure di nuova estrazione); le famiglie comitali erano in numero di 300, quelle baronali di 250, mentre come già detto vi erano solo quattro famiglie marchionali ed una unica ducale. La ricchezza delle famiglie titolate era in generale notevole, basata specialmente su estese proprietà terriere che erano però molto spesso ipotecate per far fronte al dispendiosissimo tenore di vita (nel 1916 ben il 56% di tali proprietà erano gravate da ipoteche).

Innumerevoli volte le famiglie della nobiltà russa espressero figure di grandissimo rilievo in ogni campo: così iniziando ad esempio dal principe Odoievsky (autore del Codice di Diritto del 1649), si può passare alla singolare figura del principe Kropotkin che fu uno dei più famosi capi anarchici del XIX secolo e quindi ai moltissimi capi militari quali i famosi Suvorov e Koutouzov. Tra i geni letterari e poetici rammenteremo oltre al già citato Dostoievsky, Gogol, Puschkine ed il meno conosciuto all’estero, nobile Boratisnky, anche esso grande poeta, Lermontov, Leone Tolstoi, Turgenev, Gontscharov; tra i musicisti Rimsky-Korsakov, Tchaikowsky, Glinka, Moussorgsky e poi il principe scultore Troubetzkoy, fino agli ultimi tempi prima della Rivoluzione (guidata, quest’ultima, dal nobile Vladimir Ilijc Ulianov, il famigerato Lenin …) con il chimico Mendeleiev, il coreografo Diaghilev, i musicisti Rahmaninov e Skriabine, il biologo Timiriasev, lo scrittore Alessio Tolstoi, cugino di Leone, divenuto poi Accademico delle Scienze Sovietico ed ai tempi nostri Nabokov il noto autore di “Lolita” … tutta una serie illustre di personalità che già da sole giustificano il rinnovato interesse degli studiosi sulla nobiltà russa cui esse appartennero, tra i quali Patrick da Gmeline ai cui scritti sono dovute tante notizie.

Ma le più avvincenti di queste le appresi, per quanto riguarda specialmente le vicende umane, dalla viva voce di altri personaggi, simili a quelli ricordati all’inizio, da me incontrati durante una mia indimenticabile residenza professionale in Russia negli ultimissimi tempi dell’ “Impero del male” ovvero sovietico, ma questa è un’altra esperienza la cui rievocazione risparmio ai cari consoci di VIVANT, almeno per ora …

Gustavo di Gropello