Un personaggio scomodo: Maria Carolina di Borbone Due Sicilie, Duchessa di Berry

Nata il 5 novembre 1798 da Francesco 1 delle Due Sicilie e da Maria Clementina d’ Absburgo nella reggia di Caserta, essa ebbe un’infanzia e una prima giovinezza assai travagliate , con due esilii familiari che la portarono da Napoli a Palermo, a seguito delle vicende napoleoniche , ma i ricordi del regno paterno e delle due città in cui si svolsero i suoi giovani anni rimasero impressi per tutta la vita nel suo carattere.

Nelle sue vene scorreva sangue spagnolo e austriaco, ma la sua vivacità, la sua prontezza di spirito in ogni circostanza venivano indubbiamente dalle sue origini napoletane. Non era bella, ma decisamente graziosa di piccola statura e con un leggero regard de Vénus che rendeva il suo viso vispo ed interessante, specchio di una viva intelligenza che nessuno però si preoccupava di coltivare. Era affabile, benevola con tutti, fiera della sua origine, ma cortese tanto con i poveri che con i ricchi.

A 18 anni, dopo una lunga trattativa diplomatica, andò sposa a Carlo di Borbone Artois, Duca di Berry e Delfino di Francia, nozze volute soprattutto dal Re Ferdinando, nonno di Carolina, a cui interessava imparentarsi con il futuro Re di Francia, per consentire al regno della Due Sicilie di risollevarsi e riprendere in pieno la sua posizione nel consesso delle nazioni, dopo gli ” sconquassi napoleonici”.

All’atto delle nozze, Re Luigi XVIII diceva così della sua prossima nipote “Yeux, nez, bouche, rien de joli, mais tout est charmant”.

1 primi anni del matrimonio si svolsero nel migliore dei modi. Il Duca riservava alla giovane consorte tutto il suo amore, che già aveva anticipato durante il viaggio di Maria Carolina da Napoli a Marsiglia, con frequenti e appassionate lettere.

Da parte sua Maria Carolina a poco a poco si era completamente integrata nella sua nuova situazione di moglie del Delfino, adattandosi anche ad accettare le frequenti “scappatelle” del consorte, di cui ben presto si rese conto: il Duca fra l’altro aveva già contratto un matrimonio morganatico con una signora inglese durante il periodo di esilio napoleonico in Inghilterra, e da queste nozze erano nate due bimbe.

Anche la coppia Ducale, dopo due parti prematuri, fu rallegrata dalla nascita di una bimba che sembrò anticipare la nascita di un erede maschio, tanto attesa non solo dalla Famiglia, ma da tutta la nazione.

Tra partite di caccia, balli, ricevimenti e manifestazione varie, si giunge così alla sera del fatale 13 febbraio 1820, in cui il Duca di Berry, all’uscita dell’Opera, mentre accompagna alla carrozza la Consorte che lo precede a casa, viene pugnalato da uno sconosciuto “bonapartista ” con un punteruolo che lo raggiunge al cuore. Trasportato in un salottino del teatro, trascorre in agonia il resto della notte e muore alle prime luci del giorno, dopo aver più volte richiesto la grazia per l’assassino nel nome del figlio che Maria Carolina porta in seno e dopo aver raccomandato alla consorte le due bimbe nate dalle sue nozze “inglesi “: la povera Maria Carolina, affranta dal dolore, lo rassicura che “da quel momento non ha una sola, ma tre figlie”: a questo impegno essa si atterrà per tutta la vita.

Rattristata e prostrata dal terribile evento, la Duchessa giunge così alla notte tra il 28 e 29 settembre 1820, in cui nasce Enrico Duca di Bordeaux, quello che dovrebbe divenire Enrico V.

La madre è costretta a partorire di fronte a testimoni considerati imparziali che debbono attestare che il nascituro è effettivamente “Il figlio del miracolo” così come lo ha definito il poeta e scrittore Chateaubriand, grande estimatore ed amico di Madame.

Prima del parto essa aveva rivolto all’ostetrico l’invito a ricordare che il bimbo che essa portava in seno “è figlio della Francia: quindi contrariamente all’uso costante, in caso di pericolo non esitate a salvare lui, anche a pena della mia vita”.

Questi due episodi segnano una svolta decisiva nella vita di Madame: in avvenire essa non agirà più per sé stessa, ma come Madre del futuro Re di Francia e come futura Reggente se, come sembra probabile, il figlio dovesse giungere al trono prima della maggiore età. A questo scopo essa dedicherà tutta la sua esistenza, senza mai deflettore nelle avversità.

L’attrito latente tra il nuovo Re e la nuora tendeva ad aumentare perché Madame, pur essendo anch’essa legittimista, almeno per gli interessi del proprio Figlio, futuro Re di Francia, non approvava i programmi dell’attuale Sovrano, che avrebbe voluto riportare la monarchia francese ai tempi dell’ “ancien régime”.

La Duchessa, come madre del futuro re, riesce però ad ottenere incarichi speciali che la portano a visitare varie regione del Paese.

Nel 1828, durante uno di questi viaggi nell’occidente della Francia, essa si sofferma particolarmente in Vandea, terra da sempre legata alle sorti della Dinastia borbonica, ove viene accolta insieme con il figlio da un vero trionfo da parte della popolazione, che spera di poter contare, in avvenire, sul nuovo Re Enrico V per sollevare le sorti piuttosto languenti del Paese: essa si ricorderà di questa accoglienza qualche anno più tardi, ma ahimè in una situazione molto diversa.

Luglio 1830; il Sovrano sempre più legato alla politica retriva del suo primo ministro, l’ultraconservatore Conte di Polignac, viene messo in minoranza da una mozione dell’assemblea e Polignac, con l’approvazione del Re, sospende le garanzie costituzionali.

Alla notizia della nomina, da parte dell’assemblea rivoluzionaria di Parigi, di Luigi Filippo d’Orléans a luogotenente del Regno, Carlo X, da Rambouillet ove sì è frattanto trasferito con tutta la corte, decide di abdicare e con lui il figlio Duca di Angouleme “giocando la carta” di chiamare al trono il piccolo nipote Enrico di otto anni, cercando così di suscitare entusiasmi intorno alla causa lealista.

Maria Carolina però non accetta di essere separata dal figlio e, in virtù di antiche leggi della monarchia francese, intende governare coma reggente in nome del figlio minore.

Deve però poi prendere la via dell’esilio verso l’Inghilterra.

La Duchessa è oggetto di frequenti visite da parte di suoi sostenitori che giungono dalla Francia e, un poco per convinzione, ma molto per adulazione, fanno comparire alla duchessa, come una certezza o quasi, il ritorno imminente in patria che invece non è che una vaga speranza non suffragata dai fatti.

Madame si trasferisce poi nel Ducato di Modena.

Luigi Filippo e il suo governo seguivano con apprensione i movimenti della Duchessa di Berry, temendo che essa riuscisse a suscitare nel paese, come era nelle sue intenzioni, un movimento insurrezionale che minasse le basi non troppo solide del nuovo regime.

Carlo Alberto continuò a seguire invece con simpatia le vicende di Madame, e questa simpatia si concretizzò con la somma di 780.000 franchi, messi a disposizione dal patrimonio privato del Sovrano, a favore del movimento della Duchessa di Berry.

Maria Carolina, dopo il suo arrivo a Massa, riprende a tessere le fila dei contatti con persone e movimenti a lei favorevoli.

In uno dei suoi frequenti viaggi a Roma, Maria Carolina ebbe occasione di incontrare dopo tanto tempo, un suo amico dei teneri anni trascorsi a Palermo: è il Conte Ettore Lucchesi Palli, Duca della Grazia e Principe di Campofranco, di un’illustre famiglia siciliana. Su questo personaggio avremo occasione di ritornare.

La notte tra il 23 e il 24 aprile 1832 Madame con il suo seguito si imbarca clandestinamente su una nave che porta il nome beneaugurante di “Carlo Alberto “: la nave si dirige verso Marsiglia; città che doveva insorgere in suo favore. La duchessa, travestita da marinaio, sbarca su una spiaggia deserta e trascorre il resto della notte nella capanna di un guardiacaccia.

La mattina seguente le giunge inattesa la dolorosa notizia che la rivolta è fallita.

Che fare? Dopo un primo momento di smarrimento essa reagisce e ricorda un sogno in cui il defunto Consorte le era comparso, assicurandole il successo del suo piano insurrezionale non nel Midi ma in Vandea, la cui fedeltà alla monarchia era stata dimostrata dalla rivolta della popolazione durante il periodo rivoluzionario, confermata durante il viaggio della duchessa nel 1828 e dove anche ora essa aveva parecchi amici e sostenitori. A chi le fa presente le difficoltà del viaggio verso il Nord, attraverso un territorio “nemico” e nell’immediato l’impossibilità di trovare una carrozza o un altro mezzo di trasporto in grado di sfuggire alle ricerche della polizia governativa, ella risponde “Me ne andrò questa sera stessa, anche a piedi, se necessario, approfittando della notte per allontanarmi non vista”.

Quella sera stessa, accompagnata da pochi fedeli, lascia la capanna del guardiacaccia e, travestita da contadina, inizia una marcia notturna di 5 ore; dopodiché si abbandona sfinita sui cappotti dei suoi compagni di avventura e cade in un sonno profondo.

Il giorno seguente inizia il viaggio verso Il Nord: ora in carrozza, ora a cavallo e talvolta anche a piedi, essa “vola” da un castello all’altro di nobili francesi, amici fidati, cambiando spesso il travestimento.

La duchessa riprende i contatti con il suo fiduciario e amico, il vandeano Barone Charette, ma questi è piuttosto perplesso sull’esito di tutta l’impresa, anche perché il comitato dei legittimisti vandeani, riunitosi nell’ottobre 1831, aveva dichiarato che la Vandea avrebbe “levato il bianco stendardo borbonico” solo nel caso di esito positivo di una insurrezione nel Midi, oppure se a Parigi venisse proclamata la repubblica, ovvero in caso di invasione straniera.

E’ stabilito che Madame sarà presente in Vandea, per elettrizzare con la sua presenza i combattenti, ed essa si prepara già ad allestire per l’occasione la sua “grande mise ” non troppo dissimile da quella mostrata a suo tempo allo suocero nel castello di Rambouillet.

Purtroppo il rinvio della data dell’insurrezione, col relativo contrordine che spesso non giunge a conoscenza della formazioni vandeane, compromette l’esito della rivolta e le azioni isolate intraprese dalle forze ribelli volgono sempre a favore delle truppe governative.

La impari lotta ha termine dopo 6 giorni di sparatorie, massacri ed arresti, colla disfatta totale dei legittimisti, non organizzati e male armati.

La duchessa, invece di trarre le logiche conseguenze dall’insuccesso, si rifiuta di abbandonare l’impresa come da più parti le viene suggerito e già l’8 di giugno, in uno dei suoi ormai consueti travestimenti, giunge a Nantes, ove trova rifugio sicuro in una mansarda, dotata di nascondiglio segreto, di proprietà delle sorelle Guiny fedelissime legittimiste.

Tra gli inviati di Madame nelle corti europee vi è un certo Simon Deutz incaricato di chiedere un prestito di 40 milioni al Re del Portogallo: gli incontri con Deutz si moltiplicano, finché questi dichiara a Maria Carolina il suo amore e la sua intenzione di portarla via con sé. Al netto rifiuto della duchessa, Deutz decide di vendicarsi denunziandola al generale Dermoncourt che fa accerchiare e perquisire la casa, ma senza risultato, poiché Maria Carolina con i suoi fidi ricercati come lei è entrata nel nascondiglio posto sul fondo di un camino e occultato da una lastra metallica.

Durante la notte i pochi militari rimasti di guardia nella mansarda accendono il fuoco nel camino per riscaldarsi. A poco a poco la lastra diviene incandescente: il nascondiglio si riempie di fumo e per le quattro persone nascoste, già costrette per ore in piedi in un ristrettissimo spazio, la situazione diviene insostenibile, mentre le fiamme cominciano a bruciacchiare le vesti di Madame: essa è allo stremo ed è costretta ad arrendersi.

La Duchessa venne quindi condotta, in stato di detenzione, nella fortezza di Blaye, alle foci della Gironda presso Bordeaux, ove giunse il 15 novembre 1832.

Ma le vicissitudini di Madame non si fermano qui: dopo qualche tempo infatti essa si rende conto di essere in stato interessante avanzato e se in un primo momento cerca di nascondere le sue condizioni, ciò non potrà durare a lungo tanto più che la curiosità dei militari che la circondano ed ancor più del governo parigino su questo futuro parto misterioso diventano ossessivi.

Occorre far qualcosa per cancellare o almeno frenare lo scandalo montante, ed a ciò si presta la contessa Du Cayla, una matura gentildonna, già amica di Luigi XVIII ed ora in volontario esilio all’Aja in Olanda, quale accesa legittimista. Essa si rende subito conto del dramma della duchessa e della necessità di coprire il fallo commesso con il manto della rispettabilità.

All’Aja si trovava in quel tempo, come ambasciatore del Re delle Due Sicilie, il Conte Ettore Lucchesi Palli, che abbiamo già incontrato durante il soggiorno romano di Maria Carolina nel 1831, per aver avuto un amichevole ed affettuoso incontro con la sua antica compagna di gioventù. Durante questo incontro, secondo l’attuale versione della Contessa, vi sarebbe stato qualcosa di più, cioè tra i due sarebbe stato contratto un matrimonio segreto.

Una certa difficoltà si presenta subito: cioè persuadere un perfetto gentiluomo come il Conte palermitano ad assumere la qualità di “padre putativo”, ma il profondo affetto che la univa alla duchessa, anzi amore, se, come sostenevano in molti, tra i due vi era stato anche un flirt, nonché il profondo rispetto per la causa di cui essa era paladina ed inoltre l’indubbia abilità diplomatica della Contessa Cayla lo inducono ad aderire alla macchinazione.

Madame attende così con fiducia il momento del parto che giunge nella notte del 9 e 10 maggio ed avviene di fronte a una corte di testimoni da far invidia a quella di 13 anni prima alle Tuileries. Nasce così Anna Maria Rosalia, la piccola che Chateaubriand chiamerà questa volta “la figlia del mistero” perché, pur essendo dichiarato nella denuncia di nascita che la bimba è figlia legittima di Maria Carolina e di Ettore Lucchesi Palli, in conformità alla pergamena che la madre non ha mancato di esibire, i dubbi permangono e della questione si sarebbe ancora parlato a lungo se, a meno di un anno dalla nascita, un’improvvisa polmonite non avesse spento la breve esistenza della piccola.

Secondo gli accordi, nel giugno 1833, il governo di Parigi decide di rimettere in libertà Madame ed ai primi di luglio la nave “Agathe” con a bordo la duchessa giunge nella rada di Palermo. Ad attenderla vi è lo sposo Ettore Lucchesi Palli al braccio del quale Maria Carolina si presenterà poco dopo ai presenti in coperta della nave.

A questo punto l’avventura politica di Maria Carolina può considerarsi chiusa.

La morte eviterà a Maria Carolina l’estrema beffa di vedere il figlio Enrico rinunziare al trono di Francia offertogli dall’assemblea nazionale nel 1870, dopo la sconfitta di Sedan, rifiutandosi di accettare il vessillo tricolore.

Era proprio la fine di un mondo, ma Maria Carolina riuscirà ad inserirsi anche in quello che sta sorgendo, questa volta come Contessa Lucchesi Palli. Amata da un marito perfetto, che da vero gentiluomo rispetta le regole che l’etichetta impone, ma nell’intimità sa essere anche un amante adorabile, Madame fissa la sua dimora a Venezia nel palazzo Vendramin sul Canal Grande ove vivrà fino al 1848, quando la rivolta dei veneziani la induce a trasferirsi nel castello di sua proprietà a Brunnsee in Austria.

Col passare degli anni la nostra eroina, pur continuando a seguire per quanto le è possibile le vicende di Luisa ed Enrico, è sempre più presa dai quattro figli avuti dalle sue seconde nozze e, verso la fine della sua vita, anche da un folto gruppo di nipoti, fra i quali voglio ricordare la mia Nonna materna, Silvia, figlia d’Isabella Lucchesi Palli e del mantovano Marchese Massimiliano Cavriani.

Nel 1864 muore il marito Ettore e pochi anni dopo, il 17 aprile 1870, Maria Carolina cessa di vivere nel castello di Brunnsee, ove verrà sepolta a fianco dell’amato consorte.