Gli stemmi personali nel diritto positivo

La brevità del tempo a disposizione dell’oratore consiglia – o piuttosto esige – l’omissione degl’indirizzi di saluto e delle espressioni di apprezzamento. Prego pertanto di considerare queste che non sono mere formalità calorosamente compiute e perfezionate, sebbene in forma implicita e sottintesa.
Parimenti converrà attenersi strettamente al tema degli stemmi personali, senza sconfinare in tematiche analoghe, salvo quando esse possano aiutare a definire la fattispecie. A titolo d’esempio, mi riferisco in particolare ai cosiddetti diritti della persona, primo fra tutti il diritto alla tutela del nome e dello pseudonimo. Restringere in tal modo l’àmbito della disamina – sia pure per un intento lodevole come è quello della sinteticità – non sarà sempre possibile, perché, dopo il cambiamento istituzionale, le disposizioni della costituzione e, ancor più, l’interpretazione che di queste ha dato buona parte della giurisprudenza, prima fra tutte, quella costituzionale – la cosiddetta giurisprudenza eversiva dei diritti nobiliari – ha privato di tutela specifica gli stemmi delle famiglie nobili.

Mi riferisco alla sentenza del 26 giugno 1967, n° 101 con la quale la Corte costituzionale sancì per l’appunto la completa portata eversiva della disposizione XIV. In un certo senso, però, l’accennata sen- …E LA QUOTA 2010…? Sempre 30 euro… 2 tenza, con tutta la giurisprudenza che ne discese, ha se non altro avuto il pregio di estendere a modo suo il tema da trattare.
Esso, dunque, non è più circoscritto agli stemmi personali legittimamente riconosciuti sotto il Regno d’Italia con atto idoneo, ad esempio un Regio Decreto o anche un Decreto Ministeriale, poiché, in qualunque forma ciò fosse avvenuto, la cosa è ormai giuridicamente irrilevante e improduttiva di effetti iuxta leges. Pertanto, anche in questa sede, converrà trattare solo di stemmi, comunque acquisiti, inerenti alla persona. Quindi, agli stemmi nobiliari in senso stretto sembra corretto equiparare quelli innalzati per lungo uso, con il risultato che ormai distinguere gli uni dagli altri non è più un problema sostanziale, ma talvolta piuttosto probatorio.
È questo il motivo per il quale si è preferito usare in esordio l’espressione stemmi personali allo scopo di inquadrarli nel diritto positivo attuale. Non mancano in proposito brillanti costruzioni dottrinali intese a configurare l’esistenza di un diritto positivo specifico a tutela degli stemmi, ma – come si vedrà quasi subito – la realtà è tutt’altra, ossia: gli abusi sono sanzionabili solo allorché comportino la violazione di altre norme. In sostanza si riproduce la medesima situazione – per di più in forma attenuata – che si sta consolidando in tema di tutela del nome ed eventualmente di quella sua parte integrante, il predicato.
Pertanto, almeno sino ad ora, le impostazioni dottrinali sono rimaste generalmente prive di favorevoli ricadute giurisprudenziali.

Occorre però rilevare almeno due aspetti non scevri di pregio. In primo luogo, nonostante quanto detto, talvolta la dottrina – si rammenti il Bigiavi e il suo imprenditore occulto – genera la giurisprudenza; in secondo luogo – forse perché habent sua sidera lites – alcuni abusi sono stati corretti stragiudizialmente in via transattiva, grazie anche a queste considerazioni dottrinali.
In estrema sintesi, vale per la salvaguardia degli stemmi delle famiglie nobili il principio che essi – in quanto tali – non fruiscono di una vera tutela. Comunque mai essa potrebbe discendere dalla loro natura nobiliare, a causa della famigerata sentenza eversiva della Corte costituzionale. Salvo il caso di fattispecie nelle quali si rilevano altri illeciti, quindi esulanti dal tema qui dedotto, forse l’unica copertura praticabile consiste nell’equiparazione fattiva degli stemmi ai marchi.
Questo procedimento implica, però, una serie d’inconvenienti. È oneroso, temporaneo e incompleto: oneroso, perché comporta il deposito all’Ufficio brevetti dello stemma; temporaneo, perché la registrazione va rinnovata periodicamente; incompleto, par vari motivi che spaziano dall’eccezione di non uso, sino alle difficoltà di individuazione e tipicizzazione.
A tal proposito va tenuto presente che altro è la blasonatura verbale e altro la sua rappresentazione grafica sia a colori, sia in bianco e nero.
Queste, specie in caso di elementi al naturale, possono essere tanto svariate da indurre la giurisprudenza a ritenere che non vi sia confusione tra stemmi che, se- 3 condo la nostra scienza, sono i medesimi, ma che obbiettivamente possono essere molto diversi all’occhio del pubblico, che è poi quello che ha rilevanza giuridica, data l’equiparazione con i marchi.

Queste considerazioni non possono non essere complete se non si soggiunge che talvolta uno stemma, magari di un’illustre famiglia, può entrare nella titolarità di altri che l’abbia depositato come marchio (o addirittura ne abbia anche solo fatto uso commerciale pregresso e diuturno).

Ebbene, allora tutto quello che sembra rimanere dei diritti degli appartenenti alla nobile famiglia de qua è l’uso strettamente personale del proprio stemma, ad esempio sulla carta da lettere, sulle suppellettili e il vasellame, sui portoni di casa e… sulle tombe! Ma quid iuris, se, ad esempio, la carta da lettere fosse quella dell’amministrazione di famiglia, magari produttrice di vino, e lo stemma fosse divenuto il marchio di altro analogo produttore? Aspettiamo, fingers crossed, la risposta della giurisprudenza quando si consoliderà; ma per il momento essa non lascia molto adito alla speranza!

 

di Luigi Michelini San Mar di San Martino, presidente del Corpo della Nobiltà Italiana