Evanescenze materne nella storiografia. Figli a metà come Carlo di Borgogna e Diana di Francia

di Elisa Gribaudi Rossi Il mondo animale, inconsapevole e irresponsabile quanto saggio per natura, non si domanda se ciò che vede e ciò di cui si nutre gli derivi da un’autoorganizzazione del caos o da un creazionismo vero e proprio, diatriba che oggi serpeggia in America.
Noi uomini, invece, di noi consapevoli, con atto di tipo narcisistico amiamo scavare nel passato sia nostro che altrui. e il sesso maschile, il più vanaglorioso dei due, produce sovente (e soprattutto ha prodotto) alcuni ricercatori che cadono nella trappola della parzialità, tendente a diventare lacuna grave. Rimanendo in campo europeo, codesta trappola o lacuna, riduce a metà la valutazione del carattere e dell’agire di molti personaggi storicamente rilevanti, i quali restano mùtili della loro unica certezza, cioè la madre che li ha generati.
L’oblio materno invalida dunque la ricerca riducendo della metà le caratteristiche del personaggio indagato, come appunto ho detto.

Dalla scienza alla storia, la scoperta del dna, cioè due fattori perfettamente uguali in quanto a distribuzione, sottopone senza scampo l’indagatore a ricerche difficili e talvolta tormentose, quali appunto sono quelle sulle troppo trascurate donne. Dunque entro nel merito della questione.
E’ noto come oggi per noi, avidi lettori, una buona biografia possa supplire all’attuale esiguità della buona narrativa; e fu così che spulciando qua e là tra i libri di casa, incappai nella magnificenza di Carlo di Borgogna scritta in una sua vita di trent’anni fa dall’Accademico di Francia Marcel Brion.
Nel’400 questo Carlo sognava di far perno sul suo Ducato di Borgogna per riunire le Fiandre al Mediterraneo e ritagliarsene un gran regno, che avrebbe tenuto lontani i continui litigi tra la Francia e il Sacro Romano Impero di Germania per i confini di Alsazia e Lorena. Carlo di Borgogna era figlio e nipote dell’Ardito e del Senza Paura, frutto dunque di volitive e robuste generazioni, lui steso detto Carlo il Temerario.
Insomma mi trovai di fronte un sovrano molto ambizioso e fremente d’agire, ma, ahimè, anche preda di improvvise afflizioni d’animo e bizzarre malinconie. Fu allora che, quasi nei panni di una mamma che si arrovella su un suo figliolo un poco precario e fa voti perché il bambino non abbia preso troppo da lei, mi accorsi con sgomento che, tra le pur ottime biografie un tempo lette, nessuna aveva messo nel dovuto risalto la madre, alla quale il personaggio indagato doveva la vita. Carlo il Temerario, di cui stavo leggendo, mancava dunque di metà del suo dna e quindi del propellente naturale che andava determinando il suo comportamento.

era una Braganza del Portogallo e subito mi accorsi della difficoltà di indagine a cui sarei andata incontro, trattandosi oltretutto di un secolo che stava a mezzo tra lo spirare del medioevo e i primissimi vagiti dell’era moderna. Ma siccome non sono uno scienziato come Gustavo Mola o Enrico Genta e altri qui presenti, mi accingo a formulare sull’ignorata Dama di Braganza almeno una ipotesi di valutazione, solo basandomi sull’intuito e, lo confesso, sulla solidarietà femminile, che sono prerogative di noi donne Che i Braganza abbiano regnato su Brasile e Portogallo dal ‘600 sino al ’900 non tocca la mia Dama; la quale semmai poteva trarre tormenti dalla consanguineità con Giovanni il Crudele e Pietro il Severo, Braganza a lei coevi in quella conturbante terra di Portogallo che ognuno di noi ha conosciuto il Re Umberto II.

Ripensiamoci, accantonando un momento la tristezza per l’esilio del nostro Sovrano andando in visita a S. M. siamo lì, accanto a questa evanescente dama di Braganza, affacciati sul nulla che la bontà divina ha riempito d’acqua. Siamo sul lembo estremo delle terre europee che ci stanno alle spalle e sembrano averci spinto lontano dalla loro consuetudinarietà. Facendo ricorso al mappamondo, il nostro nido millenario, la nostra abituale Europa diventa piccolissima, minima.
E in questa sua estrema striscia di terra l’immensità dell’oceano che sfuma davanti a noi conduce l’animo, quasi sospeso e sradicato dalle sue terre europee, a una pacata malinconia, indicibile e intraducibile come la parola “saudage” che ne è l’essenza. Tale doveva essere lo spirito della nostra trascurata Dama di Braganza, da lei poi ereditato almeno per metà da suo figlio Carlo di Borgogna che così impastava la temerarietà paterna con la mestizia derivatagli dalla madre. Questo brevissimo excursus avrebbe la pretesa di evidenziare che per un ritratto a tutto tondo di Carlo di Borgogna occorrerebbe indagare su sua Madre. Potrebbe darsi che allora comprenderemmo meglio da una parte l’amore per il fasto del giovane Duca e la sua temerità, e dall’altro, il disorientamento, l’insicurezza e l’ostinazione che lo portarono al disastro di Nancy.

Mille cadaveri martoriati da terribili ferite, avvolti dal fango e dal gelo, sbranati dalla fame dei lupi. Dov’è Carlo? Dove il suo fastoso cimiero ducale? Il suo ritrovamento e persino la sua sepoltura subiscono tuttora l’affronto dell’incertezza. Il Duca di Borgogna ha 42 anni. immaginiamo che se fosse ancora vivente (e non lo sappiamo) la Madre portoghese impazzirebbe del tutto per la tragicità della morte del figlio e la dissoluzione del Regno.

Dunque ho detto di Carlo di Borgogna come di un figlio quasi senza madre: ma lui almeno, in quanto uomo, fu oggetto di tanti studi storici. Invece la figlia di cui brevemente vado a parlare, oltre ad essere frutto di una madre totalmente obsoleta e volutamente negletta, è lei stessa, in quanto donna, molto meno ricordata di quanto il suo valore storico e morale meriterebbero. Di lei desidero dire almeno qualcosa perché fu figlia d’una nostra conterranea, che citerò solo nella conclusione del discorso appunto perché, secondo il comune metro di giudizio, fu totalmente senza importanza.

Vediamo intanto che la nonna paterna della Dama in questione era Luisa di Savoia, eccezionale figura femminile, che a fine ‘400, mentre il destino bistrattava fratello e fratellastri impigliandoli in una complessa eredità del ducato sabaudo, lei veniva collocata a nozze con un modesto cadetto del ramo francese dei Valois. ma talvolta il destino è un girandola ed ecco Luisa trovarsi sul trono di Francia, regina madre dal fiuto politico molto sabaudo e di totale appoggio a suo figlio Francesco I, straordinaria figura fra i sovrani d’oltralpe e innamorato dell’Italia. Quanto influisce su questo Re la figura materna! Ma temo che su di lei altro non resti se non la lodevole monografia di Maria Clotilde Daviso di Chervansod. Oltre a Francesco I, Luisa di Savoia, Regina di Francia, ebbe altri due figli: Enrico il Delfino e Margherita diventata duchessa sabauda per il suo matrimonio col nostro Emanuele Filiberto.
Il quale, secondo il mio neppur troppo azzardato giudizio, ci fu padre, padre di noi piemontesi. Figuriamoci quanto memore affetto dobbiamo dunque a Madama Margherita, colta e buona, che in non giovane età riuscì inoltre a darci un maschio, ristabilendo definitivamente la sequenza ereditaria del trono sabaudo. Quand’era in corte di Francia, Margherita, zia della mia Dama negletta, le diede tutto l’amore materno che le mancava, insieme con l’educazione del cuore e la cultura del tempo, di cui lei, Margherita era fervente studiosa.

Dobbiamo però lasciare da parte le Signore di Savoia, spostarci in terra di Francia ed appuntare la nostra attenzione sul Delfino Enrico, al quale in giovanissima età fu data in moglie Caterina de Medici, nipote del Papa. Era il 1533 e ambedue gli sposi non avevano che 14 anni. Dopo un quinquennio senza l’atteso vagito, incominciano le preoccupazioni di corte. Persino la nascita d’una bimba sarebbe gradita, a costo di rimaneggiare l’intoccabile Legge Salica! C’è chi con intelligenza imputa la culla vuota alla défaillance pari pari dell’uno e dell’altro, la sposa e lo sposo; ma i maggiori sospetti, naturalmente, si dirigono su Caterina. povera Caterina! Solo suo suocero il Re Francesco la compatisce e la circonda di affetto, respingendo l’idea di lei che improle è pronta a tornarsene in Toscana.
A tutelare l’onore (si fa per dire) di Enrico, si evidenzia a Corte il suo legame con la duchessa Diana di Poitiers, ormai vicina ai quarant’anni ma pur sempre sua iniziatrice ai misteri dell’amore. Dirò tra parentesi che Caterina avrà la fortuna di potersi vendicare dopo un decennio di matrimonio, quando in una dozzina d’anni partorirà un via l’altro nove figli, pur conducendo una vita di perpetua amazzone corredata d’ogni possibile strapazzo.

Tre dei suoi figli vedrà sul trono, felice e partecipe purtroppo degli insolenti e spudorati regni di quel tempo tanto crudele. Frattanto però, a diciannove anni, suo marito Enrico il Delfino dimostra fuori del matrimonio, e per una fortuita volta, la sua capacità di generare. Il quando e il come vedremo dopo, perché è sull’inattesa figlia di lui che vorrei portare l’attenzione. Chiamano Diana questa bambina che prende il nome di Diana di Poitiers, la favorita. Ella, Diana non ne è la madre, ma è colei che, onde aver mano più libera, si prodigava per la nascita dell’erede al trono, esortando Enrico a frequentare assiduamente il talamo nuziale. Quando nasce l’inattesa bambina è il 1538. E, felice di poter dimostrare che non è stata vana la sua educazione sessuale nei confronti del Delfino, Diana di Poitiers s’affaccenda, alacre e gioiosa, attorno alla culla della bambina, che le crudeli convenienze sottraggono subito alla madre naturale.

Non la abbandona il padre, naturalmente, poiché la bambina è vessillo della sua virilità e, subito legittimata come figlia del sangue, ella porta il nome di Diana di Francia, duchessa d’Angouleme. Secondo le convenienze politiche e le smanie sponsoriali della matrigna Caterina de Medici, ad appena 12 anni Diana fu data in sposa a Orazio Farnese, fratello del Duca di Parma e Piacenza e nipote di papa Paolo III.
Il matrimonio termina dopo sei mesi perché il Duca di Castro muore nella battaglia di Hesdin. Sempre secondo le convenienze la vedovanza di Diana dura tre anni e quindi, trastullo in mani altrui, ella viene data in moglie al duca Francesco di Montmorency, primogenito del connestabile Anne di Montmorency, che del regno, prima con re Francesco e poi con re Enrico, ha in mano le redini. A questo punto mi sentirei a disagio se non ricordassi a me stessa e a voi, indulgenti amici, che vado tranquillamente dipanando fatti e date sullo sfondo di un secolo, il ‘500, che, rammentiamolo, soprattutto in Francia fu straziato dalle guerre di religione. Da una parte la famiglia reale e i Lorena-Guisa, dall’altra la casata dei ChatillonColigny e i loro accoliti ugonotti. La lotta tra cattolici e calvinisti comportò reazioni indegne della civiltà europea, ma tra le rapaci casate di Francia possiamo salvare dai crimini sanguinosi almeno i Montmorency, che a mio parere, si giostrarono sapientemente tra le loro parentele cattoliche e quelle protestanti. Semmai Francesco di Montmorency mostrò una certa riluttanza a sposare Diana di Francia, perché suo padre il Connestabile imponendogli quel matrimonio lo strappava di brutto al suo sogno di nozze con una fanciulla di modesta nobiltà. Il matrimonio di Diana e Francesco durerà ventidue anni, ma dalla regale culla all’uopo preparata si alzerà un solo vagito ben presto spento dalla morte.
Altri bambini non ne verranno, e mentre Francesco deve battersi qua e là per ricomporre l’ordine di una Francia che sembra impazzita, Diana evita lo sconquasso di Parigi soggiornando a lungo nei maritali castelli di Ecouen e Chantilly. Nessuno può però sottrarla all’impegno del suo sangue reale e la biografia che ci manca varrebbe a narrarci (più dettagliatamente di quanto faccia la grande storia) i suoi diplomatici interventi per frenare le dissolutezze, la ferocia e le stramberie dei fratellastri che, dopo la morte del padre Enrico II (1559), si susseguono sul trono di Francia. E poiché non è scritto, dobbiamo immaginare noi la trentennale accortezza e la grande prudenza degli interventi di Diana per non destare la suscettibilità di Caterina, fiera e compartecipe, come ho detto, degli sgangherati regni dei figli. Andò avanti così sino al 1589, e, per essere meno tagliata fuori dalla complessità di quegli anni, Diana di Francia eresse un suo palazzo in piena capitale. Ma qual è? Alla fine dei nostri anni sessanta, durante uno dei miei vagabondaggi per Parigi, girellavo nel Marais che cominciava a diventare di moda e notai la ristrutturazione in corso di un bel palazzo in rue Pavée.

Penetrai nell’androne, ma il cantiere mi bloccò il passo. Dissero comunque che si trattava dell’Hotel d’Angouleme, costruito nel ‘500 e dal ‘700 sede della biblioteca della città di Parigi; aggiunsero pure che l’attuale ristrutturazione era necessaria per il continuo aumento del numero dei volumi. Ma… tra quel mare di libri non c’è una biografia di Diana di Francia? Pare di no. Esiste un volume di quasi 280 pagine, edito nel 1995, attraverso il quale Isabelle Pébay e Claude Troquet, avendo accuratamente fatto lo spoglio dei documenti di Diana e del contenuto cinquecentesco del palazzo, offrono gli uni e l’altro alla nostra attenzione. Ne deduciamo una ricchezza e un train de vie altamente regale, ma soprattutto rimaniamo ammirati dalla generosità del testamento con cui la duchessa d’Angouleme tratta le sessanta persone di servizio e le sue sei damigelle d’onore. Ma per una Signora così regale, le notizie che di lei si traggono da questo volume sono davvero scontate. Manca la narrazione dell’importanza che Diana, per origine paterna e parentele matrimoniali, per l’intelligenza sua e il suo equilibrio, ebbe anche nelle tragiche vicende francesi del secolo. Il che è deducibile dagli accenni che di lei si fanno nella grande storia e nelle altrui bibliografie, ma non da una sua propria.

ngouleme muore qui, nel suo bel palazzo del Marais, il venerdì 11 febbraio 1619. ha dunque superato gli 80 anni, cosa assai rara per quei tempi; le erano infatti premorti 9 fratelli della casa reale di Francia, nonostante che il maggiore avesse 7 anni meno di lei; e le erano anche premorti i 5 cognati della casa di Montmorency.
Immaginiamo quale discendenza di nipoti e quale pépinière di pronipoti, dei quali vi risparmio le illustri alleanze matrimoniali, che, messe insieme, fornirebbero la storia di Francia nei più minuziosi dettagli. Cercando tra la solita ecatombe dei tempi, troviamo un unico erede superstite che fu Carlo di Valois, figlio naturale di re Carlo IX e dunque pronipote della defunta, ma su questo Carlo, qualora avesse preso dal suo strambo padre, non metterei la mano sul fuoco; mentre della madre – mi pare logico – non c’è memoria. Per concludere con l’evanescente madre di Diana di Francia, dobbiamo rifarci un attimo alla grande storia, all’affascinante duello in cui stavano giostrando l’imperatore Carlo V, bolso di viso come alcuni Asburgo, e il re di Francia Francesco I, dal volitivo naso d’aquila e alto due metri. Le belle terre di qua dall’Alpi, ricche di pascoli e di messi, dove stavano rinascendo le lettere e le arti, erano palcoscenico ideale per il grande duello.

E quelle terre erano le nostre. Ma noi rimpiccioliamo la visuale dei guerreschi passaggi di truppe e animali e puntiamo la lente sui nostri paesi tra Torino e Carmagnola, dove Francesco ha inviato con la sua avanguardia il diciannovenne figlio Enrico. Sui colli ridenti sta una città bellissima, Moncalieri e lì, nella piazza principale, possiede un palazzo Cristoforo Duc. Era costui un grande personaggio, dispensatore di ambascerie sia alla Francia che all’Impero, gran gentiluomo della corte di Francesco I: perché dunque non approfittare della sua ricca dimora? Ecco entrare in città, da vincitore, il codazzo d’oltralpe, spavaldo e pronto a ricevere onori che, se non arrivano, prenderà da sé.
E’ così che tra le fanciulle in fiore della città, Filippina Duc, d’antichissima famiglia dei paraggi e cugina di Cristoforo, deve sottostare alle bramosie del Delfino di Francia. L’ipospadia, o difficoltà d’erezione, che affligge il giovane Enrico e lo affliggerà forse per un quinquennio ancora, miracolosamente non impedisce alla virtuosa Filippina di concepire quella bimba che sarà Diana di Francia, presto rapita dal regale padre e da Diana di Poitiers. E di Filippina Duc, che ne è? Filippina non ha diritti, quindi non è nessuno. Come tante altre infelici madri, scompare nel buio d’un monastero, oppure, secondo altre voci, è mandata in Turenna presso suoi parenti della famiglia Duc. Forse dalla sua vita sacrificata trae vantaggio l’unico suo fratello, Claudio Duc, che, diventato zio di Diana di Francia, Troviamo citato qual signore di Cressier e scudiere del Re di Francia. Già, ma lui non era una donna e la sua dignità andava salvata.

Bibliografia consultata. Pébay, Isabelle e Troquet, Claude Philippe Desducs, mère de Diane de France, in Bibliothèque de l’Ecole des Charter, Parigi, t.148, 1990, pp. 151 – 160. Diane de France et la famille Desducs en Touraine, in Bulletin de la Société archéologique de Touraine, t. XLII, 1990 Diane de France et l’hotel d’Angouleme en 1619, Paris musées, 1995 Bertier, Simon, Les reines de France au temps des Valois, Editions de Fallois, S. E. P.C. 1994